CORRISPONDENZE AFGHANE Storie e persone in una guerra dimenticata (ottobre 2019)
Questo libro è l’ideale (e cronologica) continuazione di “Missione Incompiuta”,racconta di cosa sta accadendo in Afghanistan, dando voce a storie e persone che vivono in mezzo ad un feroce conflitto tra disperazione, sorprendente resilienza e voglia di guardare al futuro.
In Afghanistan la guerra non è finita dopo il ritiro del grosso delle truppe occidentali nel 2014, come invece il grande pubblico è spinto a credere dal silenzio dei media e della politica.
Nonostante i miliardi spesi e le vite sacrificate dall’Occidente (Italia compresa) per un conflitto più lungo della Seconda guerra mondiale, l’Afghanistan è nel caos: il numero di vittime civili ha raggiunto il suo massimo storico, la produzione di oppio non è mai così alta, il corrotto governo “democratico” controlla solo metà del territorio, gli americani sono pronti a riconsegnare il Paese ai talebani; gli afghani sono pronti ad una nuova grande fuga verso l’estero.
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MOJO Mobile Journalism
Come progettare, girare, montare e distribuire video professionali con il telefonino e…poco altro
Con il contributo di Enrico Farro
Centro di Documentazione Giornalistica (settembre 2018), pag.283, Euro 29,00
Questo libro spiega, pagina dopo pagina, come trasformare uno smartphone in un strumento di ripresa professionale, in un mezzo per produrre e distribuire contenuti multi-piattaforma. L’Autore illustra, nello stesso tempo i fondamenti della “grammatica” dell’immagine e le tecniche di ripresa. In dettaglio, poi, approfondisce il funzionamento delle applicazioni più idonee a riprendere, a montare e a distribuire filmati, sia in ambito iOS che Android. Evidenzia, infine, i pro e i contro degli accessori utilizzabili con lo smartphone.
È il primo manuale italiano sul Mobile Journalism (MoJo), realizzato per coloro che si cimentano con il racconto della realtà, attraverso le immagini, e apprendere come passare dalla realizzazione di un prodotto amatoriale a uno professionale.
Nella prima parte è precisato che il Mobile Journalism è indicato per i giornalisti radio, per quelli della carta stampata, per addetti stampa e free-lance, per i giornalisti della Tv “tradizionale” .
In dettaglio il libro affronta il tema dei “ferri del mestiere”, della produzione e della post-produzione mobile, della “grammatica” dell’immagine e del passaggio dal giornalismo “immobile” a quello “mobile”.
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La copertina del libro – Foto di Robert Nickelsberger
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pagine 715
formato brossura – 14 x 21,5
ISBN 9788899401061
prezzo € 28.00
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Un conflitto durato più della seconda guerra mondiale. Una missione internazionale costata milioni di euro e migliaia di vite, comprese quelle di molti italiani. Un Paese lontano migliaia e migliaia di chilometri dalle capitali del pianeta, senza accesso al mare, bloccato in un tempo che agli occidentali appare come «medioevale». Eppure l’Afghanistan è da sempre il crocevia delle rotte commerciali che attraversano l’Asia, la terra di conquista delle grandi potenze, da Alessandro Magno ai britannici, fino ai sovietici: il «cimitero degli Imperi», dove nessun straniero è mai riuscito a vincere. Una casta di politici locali si è arricchita con la «democrazia» a spese del proprio popolo, che invece ha pagato un enorme tributo fatto di vittime civili.
E mentre nuove missioni internazionali e nuove guerre si affacciano all’orizzonte, abbiamo il dovere di ricordare, ricostruire, capire. Afghanistan Missione Incompiuta 2001-2015 è scritto da uno dei giornalisti italiani che ha dedicato maggior attenzione a questo Paese. Attraverso un racconto in prima persona di episodi minori e di altri entrati a far parte della Storia, il libro racconta gli errori, le bugie, i cambiamenti di rotta in questi 15 anni di missione internazionale. È un viaggio fatto di date, fatti, cifre, ma narrato con il passo della letteratura di viaggio. Un racconto crudo ma carico di dettagli, per condurci in uno dei luoghi più pericolosi e complessi al mondo.
LA CAMPAGNA
Questo libro è stato pubblicato grazie ad un crowdfunding, sostenuto da centinaia di persone, gruppi e associazione che hanno creduto nella necessità di non dimenticare l’Afghanistan e non ripetere i nostri errori.
La campagna è durata 45 giorni e si è conclusa con un risultato del +174% (662 copie pre-vendute contro le 380 di obiettivo iniziale) sulla piattaforma Ulule.
RECENSIONI/INTERVISTE
Missione Giornalismo
di Roberto Reale
Viaggio in 15 anni di guerra
di Ilaria Romano (Reset)
Un’opera “definitiva” sull’Afghanistan
di Filippo Golia
Perché ho voluto raccontare la “lunga guerra” da RadioCorriere Tv
(ripubblicato da PerseoNews)
La Radio ne parla
Interviste radiofoniche
Il giornalismo di guerra tra diretta e retroscena da Media Periscope
di Christian Ruggiero
Intervista
da Petrarca TGR
I VIDEO DELLA CAMPAGNA
AFGHANISTAN MISSIONE INCOMPIUTA – NOTA DELL’AUTORE from Nico Piro on Vimeo.
AFGHANISTAN: MISSIONE INCOMPIUTA – IL LIBRO from Nico Piro on Vimeo.
La copertina di “Missione Incompiuta” from Nico Piro on Vimeo.
Un’edizione “limitata” from Nico Piro on Vimeo.
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CYBERTERRORISMO
Come si organizza un rapimento virtuale
Castelvecchi 1998
ISBN 10: 8882100499
Versione cartacea esaurita (disponibili copie usate on line)
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COME SI PRODUCE UN CD ROM
Tecniche, metodi, lavoro di squadra: comunicare mixando media
304 pagine
Codice EAN 9788882100292
Castelvecchi 1997
Versione cartacea esaurita (disponibili alcune copie usate qui)
Disponibile in elettronico sullo store Google Play
Ciao Nico, mi hai preceduto sul filo di lana.
Ci conosciamo da in mucchio di anni, sai che mi occupo di fotografia, quindi di racconti. Il tuo libro è un racconto che sono riuscito a visualizzare. Mi hai trasportato in Afghanistan facendomi ingoiare polvere e sudore.
Pecco di invidia, quella sana, perché ci sarei voluto essere. Sei stato bravo, complimenti sinceri
Antonio
Il racconto intenso e pieno di incanto per un paese che fu ed è il crocevia di una storia millenaria. Nico Piro si rivela in queste pagine uno scrittore ricco di grazia e precisione. Un narratore epico e avventuroso che non dimentica mai di essere un uomo capace di stupore e di pietà.
Un lavoro impegnativo, serio e raccontato con grande sensibilità giornalistica. Un libro che fa riflettere e meditare anche sugli attuali e i futuri scenari geopolitici
Un libro che si legge tutto d’un fiato, assolutamente molto di più di un lavoro di ottimo giornalismo. Una scrittura rapida e coinvolgente, un racconto dei fatti asciutto, una chiave di lettura semplice. Ho apprezzato molto anche le bellissime descrizioni dei paesaggi e, infine, la documentazione puntuale, assieme a tutti i riferimenti bibliografici. Si sente che l’Afghanistan ha preso il cuore di chi ha scritto questo libro, e la cosa bella è che questo sentimento se lo ritrova in fondo al proprio cuore anche il lettore.
Grazie davvero per questo ottimo lavoro. Cordoni Luciana
Che dire? Dopo essere quasi arrivato in fondo al libro, credo di avere capito il perché la “grande” editoria ti ha “evitato”: troppa sincerità, troppo amore per quei luoghi e quella gente, troppa critica al mainstream delle guerre “giuste” e dell’esportazione ignorante e sanguinosa di “democrazia”
Quelle che sono le virtù di questo libro, sono aliene al marketing dell’editoria.
Lo leggi e insieme guardi.
Scopri. Pensi. Rifletti. Cerchi.
Peccato averlo finito. .Da non addetta ai lavori, mi é piaciuto l’alternarsi di reportage da “giornalista in zone di guerra” con dettagli e riferimenti precisi a “giornalista viaggiatore” appassionato di quanto vede seguendo anche quanto letto nel passato. Molte le informazioni da rielaborare e rileggere con calma.
Grazie.
Io non l’ho ancora finito, ma il libro è avvincente e ti fa conoscere e capire l’Afghanistan. Sembra di essere là. Bravo Nico!
Storia, giornalismo serio e professionale, accurata citazione delle fonti ma soprattutto il racconto avvincente di un Afghanistan fuori dagli stereotipi diviso tra la quotidianità della guerra e paesaggi di grande bellezza.
Grazie per averci fatto vivere e capire un po’ di più questa parte del modo così vicina e così lontana allo stesso tempo.
‘Afghanistan Missione Incompiuta 2001-2015’ resta un libro solo al primo impatto, nel momento in cui la significativa e destabilizzante fotografia di copertina ed il numero di pagine ti fanno immaginare cosa ti attende, sin dalla prima pagina. Da quel momento intraprendi un viaggio, bellissimo ed emozionale, in un Paese così sapientemente descritto da Nico, mediante una narrazione in prima persona che ti fa percepire ogni singola sfumatura come se la vivessi tu stesso. Sentirai l’odore della polvere e della terra, i tuoi occhi restaranno abbagliati dal cielo afghano, ascolterai i rumori del conflitto, il tuo corpo e la tua mente saranno segnati dal continuo susseguirsi di emozioni che ti troverai ad affrontare pagina dopo pagina. Un percorso in cui storia, geografia, cultura e politica si fondono insieme, alternandosi in un ritmo serrato a momenti delicati e coinvolgenti che ti faranno comprendere la complessità di questo conflitto ed i suoi personaggi. Ti sembrerà di aver conosciuto in prima persona il popolo afghano.
Una magistrale narrazione, permeata da sentimenti profondi, che rappresenta una lezione di giornalismo. Per conoscere, comprendere e riflettere.
Complimenti Nico, ‘missione compiuta’.
Mentre leggevo “Afghanistan missione incompiuta” ho iniziato a segnare alcuni passaggi che mi piacevano con un foglietto colorato. Alla fine il libro assomigliava a uno di quei fili di bandierine, con una preghiera ciascuna, che i buddisti stendono in Bhutan e Tibet.
“Il mondo è un vaso spezzato. Il sacrificante tenta di ricomporlo, lentamente, pezzo per pezzo. Ma certe parti sono sbriciolate. E, anche quando il vaso è ricomposto, lo solcano molte ferite. C’è chi dice lo rendano più bello.”
Come in questo passo dei Veda, che furono concepiti proprio al di là di quella catena dell’Hindu Kush che in “Afghanistan missione incompiuta” rappresenta una frontiera costante – da attraversare, attraversata, insuperabile – il libro è un tentativo di rimettere insieme tutti i pezzi di un puzzle impossibile.
L’ossatura è data dal resoconto di fatti vissuti in prima persona come inviato a più riprese in Afghanistan, spesso come giornalista embed, con le truppe statunitensi e italiane. Ma resoconto nella linea di una tradizione, per lo più britannica, di giornalisti e viaggiatori, che con il viaggio, il luogo, gli eventi, intraprendono una lotta per conquistarne l’anima.
Nemmeno per un momento Piro si sogna di vivere come un limite il fatto di trovarsi a raccontare gli eventi dal punto di vista dei soldati occidentali. A garantire l’obiettività del resoconto non è tanto l’etica del giornalista quanto l’assunto alla base di tutto il libro: l’ultima guerra in Afghanistan è una guerra assurda, impossibile, dagli esiti paradossali, come quelle che l’hanno preceduta. L’Afghanistan stesso è patria d’elezione dell’assurdo e del paradosso, ben rappresentati dal gioco nazionale del buzkashi, in cui i cavalieri inseguono una pelle di capra: un tutti contro tutti senza regole, che sembra fatto apposta per allibire un occidentale.
La guerra osservata da questo crinale non ha più aggressori e aggrediti ma solo vittime da guardare con la stessa identica pietà. Anche se il giornalista non fa sconti a nessuno – meno che mai agli italiani – e in quell’assurdo fruga fino allo sfinimento, per scovare cause, errori, ipocrisie, falsità, piani falliti, progetti accantonati, sprechi e follie. Così può ben scrivere, ricordando il lavoro del fotografo Tim Hetherington, “il giornalismo embed – demonizzato nell’Italia dei dogmi ideologici – può essere comunque buon giornalismo se conserva le giuste distanze e le regole base del “mestiere”.
Il resoconto dà al libro solo lo scheletro, su cui si inserisce una quantità impressionane di aneddoti, divagazioni, ricerche, excursus storici, citazioni di altri reportage o articoli o racconti di viaggio. Piro è consapevole di star maneggiando un Cubo di Rubik, che mentre fai una faccia un’altra si disfa: per questo non tenta un percorso unico: né sceglie un unico ingresso, né cerca un’unica uscita dal dilemma Afghanistan; ma prova tutte le porte del labirinto, in tutte le direzioni si avventura e in ogni direzione è disponibile a valutare un’uscita.
La drammatica ritirata inglese del 1842 da Kabul lungo la Jalalabad Road, un unico superstite in una colonna composta da oltre 16mila persone, viene raccontata due volte nella prima parte del volume, una intrecciandola al ricordo di un viaggio in macchina dell’autore, camuffato da afghano, da kabul a Sorobi; un’altra entrando dalla porta del National Army Museum di Chelsea a Londra, che all’Afghanistan del Grande gioco dedica una mostra. I due racconti si riprendono e completano a vicenda. La storia dell’invasione russa dell’Afghanistan torna decine di volte in tutto il libro, come esempio, modello, apologo, miniera di esperienze e storie. E così veniamo a sapere delle brigate musulmane dell’armata rossa, del museo della Jihad antisovietica ad Herat e dell’ex soldato russo convertito che ci lavora. Così seguiamo la fuga del presidente fantoccio dell’Afghanistan sovietico Najibullah, detto a Mosca Najib, fin sulla porta delle Nazioni Unite a Kabul.
L’ombra di Alessandro Magno, che attraversò con il suo esercito queste terre 2340 anni fa, è pronta ad affacciarsi dietro ogni pagina, e accompagna l’autore, alla fine di un viaggio mozzafiato, fin dentro i ruderi di Alessandria Oxiana, il punto di massima penetrazione a oriente del condottiero macedone.
C’è una tensione etica a denunciare tutti gli errori fatti dalla coalizione occidentale, a fare chiarezza e a spiegare cosa era, cosa potrebbe essere e cosa è diventato l’Afghanistan. Ma c’è anche un movimento diverso che porta a voler rivivere tutto quello che è accaduto, ad entrare in ogni particolare, a restituire ogni arma usata, ogni proiettile sparato, con il modello, il calibro, la provenienza, il costo. Fino a veri e propri elenchi, scrupolosi per dovere di testimonianza, come quello in cui si numerano gli episodi di soldati dell’esercito afghano che hanno sparato sui propri alleati della coalizione, nel capitolo Sohna ba shohna (spalla a spalla).
E, contrariamente a quanto si crede, è proprio quando si arriva agli elenchi che il passaggio verso la letteratura è prossimo, come sa qualsiasi appassionato di epica. Del resto, da quando la realtà si racconta in continuo da sola, giornalismo e letteratura si trovano di fronte alla stessa identica sfida: quella di fornire un racconto del mondo più interessante e completo di quello in diretta, in rete, onnipresente.
Ne nascono, da entrambe le parti, cose che non sono né solo romanzi, né solo racconti, né solo reportage giornalistici ma vengono chiamate oggetti narrativi, in cui è fondamentale, per sfidare la complessità del reale, il genio del montaggio. E questo è il caso di “Afghanistan missione impossibile”.
Che si avvale anche di una scrittura capace di veri aforismi: “La guerra sembra monotona come quei macelli industriali dove entrano i manzi ed escono ritmicamente le scatolette”; di colorismi da pittore: “La luce dorata si stava ormai ritirando all’orizzonte come un fiotto d’acqua azzurra che colava verso il fondo di un imbuto, carico di tinte bluastre” e di metafore lucide e allucinate: “[L’Afghanistan è] una scatola foderata di specchi all’interno della quale ritrovarsi ad aprire quelle stesse piaghe che si stava tentando di curare”.
Quando l’elenco non è materialmente possibile, come per le vittime civili della guerra, un caso prende il posto di tutti. La straziante storia di khorshid, una bambina uccisa insieme ad altri minori come lei, in una strada di Kabul, vicino alla base americana, come al solito non ha un solo ingresso. Vi si arriva seguendo un terrorista confuso in motorino che sbaglia strada e bersaglio; entrando in un edificio dove un visionario arrivato dall’Australia ha trapiantato lo skateboard per i piccoli afghani e dove l’autore fa conoscenza con la futura vittima; passando da una redazione romana di Saxa Rubra, in una pigra domenica, dove arrivano le immagini dell’attentato , che come al solito sembrano lasciare tutti indifferenti. E infine guardando la foto di Khorshid, fatta da Nico Piro, il suo sorriso misurato, che ha i giorni contati.
Fino al centro del labirinto, per riportare indietro almeno quello, un brandello di vita di una delle vittime, con quel sorriso così titubante, come solo i bambini sanno farne.
Nel libro c’è una discreta quantità di refusi. Io ho letto una primissima versione dedicata a chi ha partecipato al crowdfunding, che ne ha permesso la pubblicazione. Immagino che quello arrivato nelle librerie sia già diverso. Ma nonostante gli elogi al coraggio di un editore, Lantana, che ha scelto di puntare sul tema e di imboccare la strada innovativa del lancio in rete, io credo che un testo come questo avrebbe meritato l’onore della copertina rigida, di un editore affermato e di un sano lavoro di editing, che permettesse anche di regolare qualche ripetizione non funzionale e probabilmente non voluta.
Dopo la lettura della prima parte di “Afghanistan missione impossibile”, ho dovuto fare una pausa. Come i diabetici di insulina, io ho bisogno di leggere cose che non abbiano nulla a che vedere con l’attualità, con il nostro presente assoluto. Mi sono quindi distratto con un libro che racconta storie di scrittori: “Hotel a zero stelle” di Tommaso Pincio, in cui sfilano tipi come Graham Greene, Philip K. Dick e David Forster Wallace.
Ma l’Afghanistan, così presente fino a poche ore prima, non poteva far altro che tracimare anche nel nuovo libro. Tommaso Pincio racconta anche di un suo amico, l’artista concettuale Alighiero e Boetti. Inizia così:
“Nel 1970, un anno dopo il ricalco del foglio a quadretti, Alighiero e Boetti cominciò a viaggiare…” Lo segue fino a Kabul, dove l’artista aprì un albergo, che si chiamava One Hotel. “Ma è certo – continua Pincio – che in Afghanistan Boetti trovò un modo per risolvere quel che per lui era la crisi dell’occidente, l’opprimente fede nell’individuo in quanto creatore ispirato… L’Afghanistan rappresentava la dimensione opposta. Un paese privo di cose create”.
Pincio riporta le parole dell’amico: “Le case afgane sono vuote: non ci sono mobili e quindi nemmeno gli oggetti che di solito si poggiano sopra i mobili. Ci sono soltanto i tappeti e i materassi sui quali la gente si distende, beve, fuma e mangia. Mi piace anche il fatto che gli afgani indossino gli stessi abiti giorno e notte. Nulla viene aggiunto al paesaggio. Le rocce vengono spostate e usate per costruire case cubiche. La determinazione con cui gli afgani si oppongono alla nostra idea di civiltà mi ha sempre stupefatto”.
“Russi prima e americani poi – conclude Pincio – avrebbero dovuto chiedere consiglio ad Alighiero prima di muovere guerra a quel paese; si sarebbero risparmiati un mucchio di grattacapi”.
Che poi è proprio la morale del libro di Nico Piro.
Quando lo ho ripreso in mano, lo ho fatto anche con la curiosità di sapere se in quelle 700 pagine, in cui sembra esserci tutto, ci fosse la storia del One Hotel.
Ed eccola, immancabilmente, a pagina 407: “Quella era la Kabul che poteva tornare a essere Kabul, la città degli anni ’70 dove ti infilavi in un piccolo albergo, il “Kabul 1” (“Kabul one” o “yek” a secondo se vogliate leggerlo in inglese o in dharì) e potevi trovarci Alighiero Boetti. Erano delle tessitrici afghane ad annodare gli arazzi dell’artista italiano, oggi esposti nei musei di tutto il mondo, anche se in pochi lo sanno o se ne ricordano”
Chi ha letto fino a qui (chi, quindi, mi auguro, ha letto o leggerà fino in fondo “Afghanistan missione incompiuta”) forse avrà notato perfino che nel libro di Pincio l’artista viene chiamato Alighiero e Boetti. Scelse lui lo pseudonimo con la congiunzione all’interno, negli anni 70, per mettere in crisi il concetto stesso di identità.
Quella “e”, sia per scelta o per caso, mi sembra l’unica cosa che manca nel libro di Nico Piro. Tutto il resto c’è.
Di questo, di tanto impegno, c’è da essergli sinceramente grati.
E non ci sarebbe bisogno di nessuna gratitudine particolare se il sistema editoriale e il mercato dei libri italiani fossero in grado di ricevere in modo adeguato un testo che, per ora, è quello definitivo sulla nostra (nostra in quanto occidentali, prima che italiani) guerra in Afghanistan.
Grazie Nico Piro.
Ho letto, spesso anche riletto più volte, sottolineato e scarabocchiato con domande e commenti tutte le 661 pagine del libro. A volte ho dovuto sospendere la lettura per respirare, per prendere aria. Mi sono commossa.
E’ un testo importante, accurato, veritiero ed infine umile per quanto l’autore si tiene sullo sfondo e lascia parlare i fatti e la storia.
Io non so se sia scritto bene o male, non riesco a giudicare questo aspetto, mi scuso… io so che ho ascoltato la voce di un testimone diretto, intellettualmente onesto e coraggioso. Una voce che ci può davvero aiutare a capire cosa sia successo in Afghanistan. Una voce umana.
E allora forse questa voce umana ci può anche consolare di tanta imbecille follia guerresca.
Grazie Nico Piro.
Un libro straordinario che ci avvicina all’Afghanistan e alla sua gente, ci permette di capire di più di quella guerra dimenticata che affligge il paese, e soprattutto del coinvolgimento italiano che rende sospetta questa ‘dimenticanza’.
Sempre più di frequente le guerre ci vengono presentate come “missioni”, ma cosa fanno esattamente i “missionari”? Quali compiti hanno? Quali obiettivi? Chi sono i nemici e chi gli alleati? e alla fine, con quale esito?
Le pagine scorrono veloci, il racconto dell’autore è appassionato e coinvolge il lettore quando ci parla delle esperienze personali, degli incontri con le persone, con i militari che rischiano la vita lontano da casa e con gli afgani, quelli della capitale e quelli isolati sui monti, dei ricordi e di tutto il vissuto che ci permette di immedesimarci.
Poi fa anche insorgere dubbi e interrogativi, suscita fastidio e a volte rabbia quando riflette sugli errori delle missioni internazionali e sui risultati ottenuti, sui compromessi al ribasso con i poteri locali, sulla distanza dei policy makers internazionali dal popolo che dovrebbero aiutare, sulle ipocrisie politiche…
Un libro bello e importante, da leggere tutto di un fiato!
Il libro che vedi sullo scaffale, magari lo compri pensando ‘interessante, ma non riuscirò mai a finirlo, più di seicento pagine poi!’
E poi invece ho letto le prime pagine e non mi sono più fermato.
Era pure agosto.
Un resoconto appassionato, vivido ed onesto. Un bell’esempio di ottimo giornalismo, che esce dalla comodità delle redazioni per prepararsi, studiare le fonti e poi andare a vedere, sentire, toccare, annusare … e raccontare. Bravissimo, Nico!
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Alla casa editrice consiglio di assumere un correttore di bozze un po’ più professionale prima di mandare in ristampa il testo. Il lettore ha il diritto di entrare nella narrazione senza essere disturbato dai frequenti refusi.