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Ma allora le bombe non servono?

Herat, Camp Arena, giornata di TOA ovvero di cambio di contingente per la missione italiana. Dopo sei mesi durissimi, lasciano gli alpini della Taurinense e arrivano, come da programma, quelli della Julia. Un collega fa una domanda al comandante (uscente) dell’RC-West, ovvero dell’area ovest della missione Isaf, ovvero quella a comando italiano. La domanda, rivolta al generale Claudio Berto, riguarda il dibattito (che tanto ha tenuto banco nei giorni destinati al lutto per la morte dei quattro alpini della Julia, uccisi in Gulistan) sull’armamento dei caccia italiani, jet utilizzati per ricognizione e non dotati di bombe; “dotazione” che invece il Ministro La Russa vorrebbe autorizzare non senza polemiche e scetticismi.

Ecco quanto riporta l’Ansa:

Con i caccia Amx armati di bombe ci sarebbe stata maggiore sicurezza per i militari italiani in Afghanistan? Si sarebbero evitate vittime? E’ una ”domanda difficile” alla quale il generale Berto, che per sei mesi ha comandato la regione ovest della missione Isaaf preferisce non rispondere. ”C’e’ pero’ da dire una cosa: che gli assetti aerei non sono mai mancati” a supporto del contingente nazionale. Questo perche’ ogni volta che sono stati chiesti, spiega il generale Berto, ”la Nato ha provveduto” a portare soccorso. ”Per quanto riguarda invece gli elicotteri – aggiunge il generale – il contingente nazionale ha tutti gli assetti necessari per operare autonomamente”

Perchè rischiare vittime civili?

Le salme dei quattro alpini della Julia uccisi a Farah sono arrivate a Ciampino; piove senza sosta a Roma quasi a voler rendere l’atmosfera ancora più cupa. Domani le esequie dei caduti italiani nel lontano Gulistan, ai quali – sono sicuro – va il pensiero di tutti gli italiani, è una magra consolazione per le famiglie ma fa bene saperlo in giorni di retorica più o meno interessata. Eppure il grosso dell’attenzione mediatica è sulle bombe da mettere sui nostri caccia in Afghanistan. Il ministro La Russa è un ministro molto attento alle richieste dei militari, come lo era il suo predecessore Parisi ma con una Rifondazione in meno. Non è una cosa di per sè sbagliata, è come un ministro all’Educazione che tiene a cuore ed ascolta le richieste di professori ed alunni. Durante la conferenza stampa convocata poco dopo la diffusione della notizia della strage del Gulistan, sabato, il ministro La Russa ha parlato anche del tema delle bombe sugli aerei italiani. Non so se l’ha fatto sull’onda dell’emozione o perchè, da navigato politico, pensava che quella sarebbe potuta essere l’occasione giusta per rilanciare un dibattito (da mesi “intestino” alle forze armate) in un momento di grande emotività per l’opinione pubblica.

Sono necessarie le bombe? La risposta probabilmente è sì, sono necessarie. In Afghanistan senza copertura aerea è praticamente impossibile per i militari occidentali tirarsi fuori dai guai, vincere alcune battaglie o almeno “pareggiarle”. Sin’ora i militari italiani sono stati “coperti” nelle operazioni di CAS (close air support) dagli elicotteri d’attacco italiani Mangusta, che però hanno dei limiti (per esempio la velocità d’impiego, quella per arrivare da un punto all’altro) e dai caccia americani. Gli americani però sono sempre più impegnati nell’Helmand e a Kandahar per poter rispondere a tutte le richieste d’intervento e quindi a volte sono “unavailable”. L’Italia ha due predator, aerei senza pilota, disarmati e diversi caccia AMX che hanno sostituito i Tornado, utilizzati prevalentemente in ricognizione ma per i quali è stato poi autorizzato l’utilizzo del cannoncino di bordo. Un’autorizzazione, a quanto pare, simbolica visto che notizie sul suo utilizzo non ne sono mai arrivate, del resto sparare con una mitragliatrice in picchiata da duemila metri è roba da mandrake.

Armare i caccia è una mossa opportuna? La risposta è probabilmente no. La missione italiana sin’ora – per quanto è dato sapere dalle comunicazioni ufficiali, in zona mancano fonti indipendenti – ha fatto registrare una sola vittima civile, la bambina letteralmente decapitata da un colpo di mitragliatrice calibro 50 sulla strada verso l’aeroporto di Herat, nel maggio 2009. Si trattò all’epoca di uno dei tristemente classici (in Afghanistan) incidenti di “escalation of force”: la macchina corre, viene avvertita dall’equipaggio del veicolo militare, non si ferma, i miltari pensano sia un kamikaze…e poi, poi…
Iniziare a bombardare per gli italiani significa correre il serio rischio di entrare nel “settore” delle vittime civili, dal quale sin’ora ci siamo tenuti per fortuna fuori. In Afghanistan, il grosso delle vittime civili uccise dalla coalizione, viene uccisa in bombardamenti aerei, non a caso la prima direttiva di McChrystal riguardava proprio una restrizione all’utilizzo di supporto aereo. Il suo precedessore McKiernan era “saltato” dopo la strage nella provincia di Farah, area a controllo italiano, dove i commando afghani e gli statunitensi avevano ammazzato “per sbaglio” oltre cento innocenti scambiati per talebani. Una brutta storia che il New Times svelò, dopo i tentativi di copertura militare.
Tra l’altro iniziare a bombardare significa farlo non solo per le proprie truppe, di cui magari puoi conoscere lo scrupolo nella richiesta di Cas, ma anche per tutte le altre. E’ giusto correre un rischio del genere? Ne vale la pena? Probabilmente no. Se ne parlerà in Parlamento – leggo – spero se ne parli con cognizione di causa, cosa che sin’ora è raramente avvenuta, preferendo le posizioni ideologiche alla competenza.

Le parole. Torniamo a parlare di “parole”, sulla scia del post di ieri. Ogni volta che c’è stato un caduto nei tempi recenti, il ministro La Russa ha tirato in ballo anche tecnicismi militari. Dopo la morte del parà Alessandro di Lisio, mitragliere di un Lince saltato in aria proprio a Farah, il ministro aveva parlato di torrette blindate per proteggere il mitragliere. E’ una storia esemplare per capire di cosa stiamo parlando: una decina di Lince con torretta modificata (ovvero automatizzata quindi senza mitragliere “esposto” all’esterno) sono arrivati in Afghanistan e – per quanto se ne sa – non sono stati quasi mai usati perchè troppo pesanti, a rischio di “ribaltamento” e soprattutto perchè quello che l’ “uomo in ralla” riesce a vedere non è quello che si “vede” attraverso una telecamera.  Si è poi discusso dei nuovi mezzi Freccia, per poi scoprire l’acqua calda ovvero che non possono sostituire i Lince, proprio come un fuoristrada non può sostituire un pulmino. Ora invece stiamo parliamo di armare i caccia. Non metto in dubbio che lo spirito di fondo sia quello di dare più pezzi e più protezione ai nostri soldati, il punto è che tutti questi tecnicismi allontano il cuore del problema: quella afghana è una guerra e come tale ha dei rischi altissimi, ad ogni blindatura più resistente si risponde con un esplosivo più potente. L’Italia è pronta a correre i rischi di questa guerra? Ad accettarla per quello che è? Oppure di volta in volta, di caduto in caduto, si continuerà a cercare di parlare d’altro, di dettagli magari mediaticamente intriganti ma pur sempre dettagli?

Sparano i Tornado, polemiche militari

Dopo la morte del primo caporal maggiore Alessandro Di Lisio a Farah, il Ministro La Russa durante la sua visita in Afghanistan (alla quale ho partecipato per il Tg3)  aveva annunciato una serie di interventi per rafforzare la sicurezza del contingente, fuori dalla metafora politica io direi per tenere il passo dell’escalation bellica in corso nel Paese.

Il Ministro aveva parlato di più predator (aerei senza pilota da ricognizione, al momento ce ne sono due ad Herat), torrette per il mitragliere più protette sui Lince (tra le ipotesi torrette motorizzate comandabili dall’interno, in maniera tale da evitare che il mitragliere spari dall’interno) e il ricorso ai Tornado anche per fare fuoco. I Tornado sono i jet italiani arrivati in Afghanistan nell’autunno scorso (fanno base a Mazar-i-Sharif) e da allora utilizzati solo per ricognizione non per bombardare. Durante il volo verso l’Afghanistan, il Ministro ci aveva detto di pensare all’utilizzo dei Tornado anche come “copertura aerea” ma non con le bombe bensì con il cannoncino di bordo assimilabile allo stesso degli elicotteri Mangusta (utilizzato e come, da tempo). Oggi in questa intervista al Corriere, La Russa conferma che si è entrati nella fase operativa: “Dopo aver informato le Ca­mere, ho dato via libera ai co­mandanti. A loro valutare. Parliamo non delle bombe, che sull’aereo non portiamo neanche. Ma del cannoncino dei Tornado, simile a quello degli elicotteri Mangusta”


Una scelta che ha già sollevato polemiche e per giunta autorevoli.
Nel fine settimana, all’Ansa, l’ex-capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il Generale Tricarico, aveva detto (il maiuscolo è un problema di formattazione che non riesco a risolvere): “FAR FUOCO CON I CANNONCINI DEI TORNADO NON SOLO E’ INUTILE, MA ANCHE PERICOLOSO PERCHE’ IN SCENARI COME QUELLO AFGANO IL RISCHIO DI DANNI COLLATERALI E’ CERTO”.

“COLPIRE UN TALEBANO CON LE ARMI DI BORDO DI UN TORNADO E’ FACILE COME VINCERE AL SUPERENALOTTO, MENTRE IL RISCHIO DI CENTRARE BERSAGLI DIVERSI, CIVILI INNOCENTI, E’ ALTISSIMO”

“TECNICAMENTE E’ COSI’, TUTTI LO SANNO. PROPRIO PER QUESTO LE ARMI DI BORDO DEI CACCIA NON SONO
STATE MAI USATE NEPPURE NEI 78 GIORNI DI OPERAZIONI AEREE SUI BALCANI”,

Secondo Tricarico se si vuole offrire copertura aerea ai militari impegnati a terra senza rischi di vittime civili (io direi, limitando questo rischio) bisogna armare i predator. Gli italiani hanno una versione di questi aerei senza pilota che non ha armi ovvero non senza missili “hellfire” anche detti “fire and forget” ovvero spara e dimenticatene (non è un riferimento alla morale ma alla loro capacità di seguire il bersaglio). Tra l’altro Tricarico ricorda la vecchia polemica di Rifondazione che contestò il nome aggressivo di questo veivolo come segno della natura bellica della missione durante le divisioni “afghane” all’interno del governo Prodi.

Un’ultima osservazione sull’intervista al Ministro. Almeno temporalmente noto che dopo la mia intervista al Generale Castellano (vedi post più sotto, all’interno il link al pezzo del Tg3), per la prima volta sulla stampa italiana si parla dei talebani uccisi. Ecco il passaggio, sempre dall’intervista di oggi al Corriere:

Se viene ucciso un militare italiano, la Difesa lo dichiara: dal 2001 in Afghanistan ne sono morti 15. Manca però un dato: quanti mili ziani afghani sono stati uccisi dai nostri soldati in scontri a fuoco?
«Il numero preciso non vie ne tenuto. Non c’è una conta bilità anche perché è difficile accertarlo. Di certo il numero degli insorti — talebani, trafficanti di droga, tutti coloro che compiono atti ostili — è superiore alle perdite subite dai contingenti internaziona li. E di molto».

Quelli colpiti da italiani?
«Anche per i nostri il rapporto è di sicuro più alto. Quando i nostri sono stati costretti a difendersi, gli altri hanno subito perdite. Tra i contingenti siamo quelli che hanno avuto meno lutti, an che se non per questo meno dolorosi».