::::::IN CONTINUO AGGIORNAMENTO:::::::::ULTIMO UPDATE 6/11/19::::::::::::
Mentre attendiamo l’arrivo delle prime copie del mio nuovo libro sull’Afghanistan dalla tipografia, grazie all’entusiasmo di tante persone a cui sta a cuore il racconto della crisi afghana – la crisi dimenticata per eccellenza – stiamo organizzando un calendario di presentazioni in giro per l’Italia.
Gli incontri sono tutti ad ingresso gratuito. Nell’elenco che segue cliccando sul luogo dove si svolgono, caricherete indirizzo e indicazioni stradali. Ecco tutti gli appuntamenti:
Tag: roma
Come partecipare ai seminari di Mojo Italia
Mojo Italia offre un fitto programma di seminari con top expert italiani del mobile journalism e della comunicazione digitale, tutti gratuiti. I seminari sono accreditati Sigef quindi validi ai fini della formazione obbligatoria regolata dall’Ordine dei Giornalisti. Una quota di posti è riservata alla partecipazione di non iscritti all’ordine: filmaker, comunicatori, videomaker, curiosi.
Come iscriversi? Prima di tutto consultate il programma (QUI) scegliete il seminario o i seminari che vi interessano e poi…
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Riccione e Roma
“Raccontare le crisi senza telecamera”, un titolo provocatorio (ma nemmeno tanto) per il seminario che, domenica 3 giugno, ho tenuto al festival DIG di Riccione (Documentari Inchieste Giornalismo, evento che ha raccolto il testimone del Premio Ilaria Alpi), un workshop nel corso del quale ho affrontato il tema del racconto per immagini attraverso strumenti diversi dalla classica telecamera a spalle: dalle mirrorless agli smartphone, dalle camere a 360 gradi fino alle GoPro.
A Stampa Romana è tornato invece il corso avanzato di mojo, il 5 e il 6 giugno, con Enrico Farro. Di tutti i corsi di mobile journalism, quello avanzato (nel burocratico linguaggio della formazione “di secondo livello”) è il mio preferito perché è un workshop i cui partecipanti hanno già “i fondamentali” grazie al “primo livello”; quindi ci si può divertire simulando conferenze stampa, realizzando still life come per video recensioni, costruendo storie di Instagram e servizi da tg. Anche questa volta, il tutto tenuto insieme dal collante dell’entusiasmo.
“Aiutiamoli a casa loro”…già fatto!
Afghanistan al Centro Astalli from Nico Piro on Vimeo.
Il 16 maggio sono stato ospite del Centro Astalli all’Università Gregoriana, per il suo corso di formazione (provocatoriamente) intitolato “Aiutiamoli a casa loro” che in questo suo primo appuntamento era dedicato al caso afghano.
Beh, sull’Afghanistan c’è da dire che “a casa loro” li abbiamo aiutati (noi occidentali), dall’invasione sovietica a tutt’oggi. E non sembra sia andata bene…”Missione Incompiuta”.
Prossimi appuntamenti con il MOJO
Sono tre i prossimi appuntamenti con il mobile journalism, nell’attesa di una sorpresa che a breve vi sveleremo.
Benevento, 20 maggio
Durante il festival “Porti di Terra” della Caritas, con Enrico Farro, terremo un seminario (gratuito) sul mojo per il sociale: “Dare voce a chi non ha voce”. Qui per iscriversi.
Riccione 3 giugno
“Raccontare le crisi per immagini – Come realizzare un servizio senza telecamera” è il titolo del seminario (gratuito e accreditato OdG) che terrò durante il festival DIG e nell’ambito del suo ricco programma di seminari. Qui per saperne di più
Roma 5-6 giugno
Ritorna il corso avanzato di mojo a Stampa Romana, per saperne di più cliccate qui.
Il corso è accreditato con l’Ordine dei Giornalisti ed è in piattaforma Sigef.
Da Roma a Kabul
Oggi al liceo Mamiani di Roma, la FNSI e l’associazione Articolo 21 hanno celebrato la giornata mondiale per la libertà di stampa. Sono stato invitato a parlare della situazione dei giornalisti afghani, la giornata è stata dedicata ai 10 colleghi uccisi nel Paese il 30 aprile, ma ha affrontato le minacce all’informazione dalla Turchia all’Italia.
La giornata della libertà di stampa a Roma from Nico Piro on Vimeo.
La libertà di stampa in Afghanistan from Nico Piro on Vimeo.
Per riascoltare tutti gli interventi clicca qui (da Radio Radicale)
Effetto Mojo
Negli ultimi cinque giorni, da lunedì 23 a venerdì 27 ottobre, abbiamo affrontato due corsi, quello di Bologna (base) e quello di Roma (avanzato), sempre con lo stesso obiettivo tentare di diffondere tra i colleghi (di ogni ordine, grado e soprattutto “media”) gli strumenti di produzione che la rivoluzione degli smartphone ci mette a disposizione, possibile risposta alla crisi (economica) del giornalismo assediato dalla transizione digitale.
Questi corsi sono pensati come momenti di condivisione, il grosso flusso evidentemente va da noi che “insegniamo” (brutto termine ma non volevo ripetere la parola condividere) e chi partecipa. In realtà si tratta di momenti in cui, tutti imparano: noi per primi. Impariamo qualcosa in più sulle esigenze dei colleghi, distribuiti in campi e generi spesso lontani (dall’ufficio stampa di un comune di medie dimensioni ad un documentarista per testate di livello mondiale, passando per il cronista di un tg tra i più visti del Paese); impariamo qualcosa in più dagli strumenti che le richieste della platea spesso portano al limite.
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The Program
Faccio fatica a scrivere questo post ma in molti possibili iscritti ai corsi di Stampa Romana sul mobile journalism (qui il comunicato di Asr) me lo chiedono.
Ecco allora una bozza di programma per il corso base e per quello avanzato, ma prima un chiarimento: perché faccio fatica? Perché il programma di questo tipo di corsi è necessariamente flessibile e quindi non può essere scritto sul marmo.
Il mobile journalism è uno strumento talmente trasversale al mondo del giornalismo che magari ti ritrovi una “classe” piena di colleghi che non hanno mai avuto alcun rapporto con il mondo dell’immagine in movimento e quindi come docente devi ampliare lo spazio dedicato alla “grammatica del video”, “restringendo” altri temi che finirebbero con l’essere solai pesanti su pilastri troppo deboli. Ci sono casi in cui, invece, in classe ci sono molti professionisti dell’informazione televisiva e quindi ci si può spingere più rapidamente avanti.
Tutto ciò, senza considerare che nel tempo che trascorrerà fino ai prossimi corsi, ci possono essere novità (come l’ultima volta che Filmic 6 è uscita pochi giorni prima dell’aula!) e ci possono venire nuove idee.
Detto questo (insomma non prendetelo come un testo sacro) ecco il programma:
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“Mio Eroe”, cura per la memoria (e tormento per l’anima)
Al teatro biblioteca del Quarticciolo, a Roma, ho finalmente visto “Mio Eroe” di Giuliana Musso, dopo averlo sin’ora inseguito senza successo in giro per l’Italia.
E’ un’opera di una potenza scenica assoluta, il cui cartellone riparte dopo l’estate e per vedere la quale vale la pena percorrere qualche chilometro; anche se non ve la trovate sotto casa ma nella vostra regione, andateci.
In un monologo di 75 minuti, Giuliana da in sequenza voce a tre donne che nulla hanno in comune (né il livello culturale, né la storia personale, né lo sfondo sociale in cui si muovono) salvo il fatto di aver perso un figlio in Afghanistan, caduto di una guerra che nessun italiano – tra le migliaia che l’hanno combattuta -ha potuto chiamare tale.
Ne viene fuori un affresco che non cala mai di tensione emotiva, a dispetto di una scena spoglia – dove le quinte e gli effetti speciali non trovano posto – ma riempita fino all’ultimo centimetro cubico dall’ansia, dal dolore viscoso, dalle ossessioni gelatinose di chi ha perso la persona più preziosa al mondo – un figlio – senza potersi darsene ragione.
E’ un’opera popolare nel senso più alto del termine, ovvero divulgativa, che esce dalla categoria ormai, per certi versi, consunta del teatro d’impegno civile e di denuncia. Un’opera che consente – senza necessità di preventiva lettura di trattati di geopolitica – di capire l’assurdità del conflitto afghano, che è poi l’icona per eccellenza dell’assurdità di ogni conflitto.
Il lavoro nasce dalle interviste condotte da Giuliana a madri di caduti in Afghanistan, storie che vengono trasfigurate e lasciano la dimensione strettamente personale (il singolo caso – seppur ancora individuabili da chi conosce la cronaca della “guerra più lunga”) per diventare degli archetipi.
Il lavoro merita di essere visto non solo perché aiuta a capire anche chi pensa che “beh…i militari sono pagati, è un rischio del mestiere” oppure che “In Afghanistan che si ammazzino tra di loro” ma soprattutto perché è un aiuto, forte ma palatabile per tutti, a rimuovere quell’oblio di piombo che è gravato dopo la fine sulla missione afghana e sul relativo investimento di vite e di denaro del contribuente italiano (insomma quello tanto attento all’uso del denaro pubblico che non paga il canone tv più basso d’Europa perché contesta lo spessore culturale del servizio pubblico radiotelevisivo).
Mentre in Paesi come gli Stati Uniti sulla missione afghana si è aperto un dibattito che attraversa i pacifisti come le forze armate, in Italia abbia rinunciato a discutere, ricordare,
"'Mio Eroe" from Nico Piro on Vimeo.
“Mio eroe” è un’opera da vedere anche per la sua straordinaria contemporaneità. E’ un’opera che può capire un adolescente, come qualcuno che dopo anni di militanza sta ingolfando le fila del partito dell’astensione. Il lavoro è privo di riferimenti ideologici, di quelle semplificazioni che negli ultimi vent’anni – a mio avviso – hanno messo al servizio delle carriere di pochi degli alti ideali, in nome dei quali milioni di persone hanno fatto sacrifici sperando in un mondo migliore. E’ privo quindi di quei sottintesi, di quelle citazioni, di quelle prospettive che lo renderebbero di lettura ostica a chi ha scoperto le ipocrisie di certa politica o semplicemente è nato dopo il crollo delle utopie.
In questo è un’opera rivoluzionaria perché pur confrontandosi con il tema più divisivo rimasto nella società italiana – il ruolo delle forze armate – non scade né nella retorica dei “nostri ragazzi” né in quella de “i fascisti in divisa”.
Si occupa invece di grandi enigmi contemporanei, valori sempre più liquidi dopo lo scioglimento dei ghiacci dell’ideologia ma sui quali è doveroso se non necessario continuare ad interrogarsi pur senza una bussola bicolore. Come quello, per esempio, dell’intervento militare all’estero (restiamo a guardare i massacri oppure interveniamo per complicare le cose?), del valore della patria (che è cos’altra dalla nazione), di chi è pronto a morire pur di sentirsi vivo, dell’idea stessa dell’eroe (il tema forse più abusato di sempre) e della decostruzione dell’immaginario della guerra dove a morire in minoranza sono i combattenti armati e dove, tra diarrea e puzza di cordite, di scenografico c’è ben poco.
Un’ultima nota finale, come il “disclaimer” di un elettrodomestico. L’opera è un lavoro originale di Giuliana – prodotto dalla sua compagnia, la Corte Ospitale – ma tra le sue fonti c’è anche il mio libro “Afghanistan Missione Incompiuta”, tanto che ieri ha sentito l’insana necessità di ringraziarmi a fine spettacolo. Non è per questo che ne scrivo bene, penso solo che vale la pena vederlo. Poi fatemi sapere se mi sono sbagliato
Se il mobile journalism germoglia
La notizia mi arriva da Facebook (con tag) ed è bellissima: l’agenzia di stampa DIRE sta realizzando il suo tg sulle notizie di Roma e del Lazio, con gli strumenti del mobile journalism. E’ un passo reso possibile grazie ad uno dei corsi che ho tenuto con Enrico Farro, dell’Associazione Italiana Filmaker, a Stampa Romana.
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