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Geronimo goes to Hollywood

Finì ad esibirsi alle fiere di paese Geronimo, il capo indiano, il cui nome è stato utilizzato per definire il bersaglio Bin Laden durante l’operazione in cui è stato ucciso meno di tre mesi fa. Bin Laden (da morto) finirà ad Hollywood e questo era già chiaro a tutti, ma la trasposizione cinematografica del raid più famoso della storia delle forze speciali sta già causando un gran dibattito nell’America travolta dalla recessione dove questo successo di Obama sembra già dimenticato di fronte agli indici di borsa in picchiata.
Pochi giorni fa Maureen Dowd, opinionista del Ny Times, ha svelato che la Casa Bianca (che ha poi smentito) sta passando informazioni riservate ad un produzione della Sony sull’uccisione di Bin Laden, un’iniziativa che non ha fatto piacere ai Repubblicani i quali hanno già chiesto un indagine al riguardo (ricordiamo che sulla diffusione anche di un dettaglio cruciale per convinvere gli scettici, ovvero le foto del corpo di Bin Laden, si sollevo’ un dibattito di alto livello negli Stati Uniti).
Intorno alla storia del capo di Al Qaeda sono giorni caldi, il New Yorker nel numero dell’8 agosto ha pubblicato uno straordinario racconto “play-by-play” come si dice nel football americano, diciamo passo dopo passo, di quanto accaduto la notte di Abbottabad. E’ il primo resoconto del genere mai pubblicato e merita di essere letto, qualcuno pero’ nella stampa americana se l’è presa sottolineando come l’autore in realtà non ha precisato di aver mai parlato con i Seal protagonisti dell’operazione.
I nemici, a volte, sanno essere un problema anche da morti.

Una diga in alto mare

Ognuno ha le sue passioni in fatto di viaggi, io ammetto che la diga Kajaki è nelle prime posizioni della mia personalissima lista di luoghi da visitare nel mondo. E da qualche giorno lo è ancora di più.

No non sono un appassionato della serie “megacostruzioni” su Discovery, quella diga più che un esempio di ingegneria estrema è uno dei simboli delle grandi contraddizioni dell’Afghanistan di oggi e della presenza occidentale nel Paese

Erano gli anni ’50, quando la provincia di Hellmand era considerata “la piccola america” perchè qui si concentravano gli aiuti statunitensi, in un quadro di generale disinteresse americano per il resto del Paese (nelle mani dei sovietici, in fatto di ricostruzione ed aiuti) e per tutta quell’area asiatica. All’epoca nessuno avrebbe mai potuto immaginare che mezzo secolo dopo questa provincia sarebbe diventata il campo di battaglia chiave per gli americani in Afghanistan nonchè la roccaforte e cassaforte (vista la produzione di oppio) dei loro nemici, i talebani.

Proprio in quegli anni la diga venne costruita dalla cooperazione americana, USAid, sfruttando le gole tra montagne pietrose, segnata dal bacino idrico del beluchistan. Poi tra il passare del tempo e i bombardamenti americani del 2001, c’è stato bisogno di ripararla e soprattutto è arrivato il momento di montare la sua turbina numero due per la quale venne lasciato uno spazio nella sala macchine, nel progetto originario. Una mossa che avrebbe consentito di portare elettricità (in totale) a quasi due milioni di afghani, facendo toccare loro con mano il senso della presenza occidentale e della ricostruzione nel paese.

Piccolo particolare, non trascurabile: la diga di Kajaki è nel distretto di Sangin ovvero nel cuore del territorio talebano dove anche muovere uno spillo occidentale o filo-governativo è un’impresa.

Non a caso il trasporto alla diga dell’enorme “turbina due” (alla fine dell’estate 2008) verrà ricordata come l’operazione logistica più importante svolta dalle truppe britanniche, dalla seconda guerra mondiale in poi: un convoglio lungo quattro chilometri con quattromila soldati impegnati nell’operazione e un’incessante copertura aerea. Un’operazione chiave per vincere il supporto della popolazione locale.

La zona della diga è però sistematicamente teatro di combattimenti e pochi giorni fa la ditta cinese che ha vinto l’appalto per l’aumento di potenza ha lasciato il campo, notte tempo, mentre si è ormai capito che il più banale trasporto su camion di un bel po’ di tonnellate di cemento, quelle necessarie a finire il lavoro, è irrealizzabile viste le condizioni di sicurezza e quindi i lavori (che sarebbero dovuti finire già nel 2007) sono in stallo totale.

Sarà sicuramente contento il generale McChrystal che della ricostruzione e dei benefici percepiti dalla popolazione locale ha fatto il cuore della sua strategia per vincere in Afghanistan, importante parte della quale è stato l’aumento delle truppe appena approvato da Obama