Tag: RC-West

Mazzette ai talebani, la seconda puntata

Il Times di Londra non molla, in ossequio alla sua tradizione (quella di uno dei giornali più prestigiosi ed indipendenti del mondo) pur di fronte alle smentite del governo italiano (che vi ha aggiunto una minaccia di querela), della Nato e dei diretti interessanti (i francesi); oggi il quotidiano britannico pubblica una seconda puntata (qui il link) alla sua denuncia di presunti pagamenti alla guerriglia effettuati dai servizi italiani per comprarsi un po’ di pace nelle aree di operazione delle nostre truppe.

Ieri l’articolo provava a smontare uno dei casi di maggior successo dell’Isaf in Afghanistan, quello di Sorobi (vedi la sintesi in un post di questo blog), affermando che in realtà la pace era stata comprata per giunta senza dirlo agli alleati, causando così indirettamente la strage dei parà francesi appena subentrati agli italiani nell’agosto del 2008.

Oggi, invece amplia il fenomeno estendendolo anche al Rc-West, in pratica all’area dove è concentrato il grosso delle nostre truppe con base ad Herat ma attive anche nelle due difficilissime province di Bala Morghab e Farah. Secondo l’articolo di oggi (vedi una sintesi in italiano qui):

A Taleban commander and two senior Afghan officials confirmed yesterday that Italian forces paid protection money to prevent attacks on their troops.

Mr Ishmayel said that under the deal it was agreed that “neither side should attack one another. That is why we were informed at that time, that we should not attack the Nato troops.” The insurgents were not informed when the Italian forces left the area and assumed they had broken the deal. Afghan officials also said they were aware of the practice by Italian forces in other areas of Afghanistan.

A senior Afghan government official told The Times that US special forces killed a Taleban leader in western Herat province a week ago. He was said to be one of the commanders who received money from the Italian Government. A senior Afghan army officer also repeated the allegation, adding that agreements had been made in both Sarobi and Herat.

Non sono in grado esprimermi sulle accuse del Times
(per giunta rivolte ai servizi più che ai militari italiani), di certo appaiono surrogate da fonti diverse e citano persino intercettazioni telefoniche dei servizi americani, ma è altrettanto sicuro che nell’ovest soprattutto negli ultimi sei mesi (ma ricordiamo anche la scorsa “calda” estate con l’Aeromobile nelle stesse zone) gli italiani sono stati in combattimento quasi ogni giorno, che è un elemento sicuramente contraddittorio rispetto al quadro delineato da questi articoli.

Un’osservazione personale. Fermo restando che la tentazione che potrebbe emergere è quella di derubricare tutto alla voce “pessimi rapporti tra Berlusconi e la stampa internazionale” (insomma che piuttosto di affrontare la questione si dica che è solo frutto di screzi e dispetti) e che, comunque, gli effetti sull’immagine internazionale del nostro premier (quello che lui stesso ha definito lo “sputtanamento”) dopo la vicenda escort, non aiuti a dare forza alle pur categoriche smentite governative. Secondo me il punto di tutta questa storia è però un’altro: c’è bisogno di chiarire tutto e farlo subito, non solo per motivi di decoro nazionale (…perdita della faccia…mettiamola così) ma soprattutto perchè i militati sul campo, quelli che rischiano la vita ogni giorno, possono essere seriamente penalizzati da una storia del genere se non chiarita o lasciata (italicamente) perdere per essere poi dimenticata. Chi si trova in prima linea con addosso accuse del genere rischia di non essere più considerato un buon alleato da chi combatte al suo fianco (afghani, americani, francesi, spagnoli che siano) ovvero rischia di ritrovarsi “isolato” e quindi rischia di rischiare molto di più.

Dalla Folgore alla Sassari, e non solo

Folgore ad Herat, 2 ottobre 2009 np©09
Folgore ad Herat, 2 ottobre 2009 np©09

Nelle prossime settimane, la brigata Folgore lascerà l’Afghanistan al termine del suo turno di dispiegamento iniziato formalmente con il toa (il “trasferimento di autorità” come recita l’acronico inglese) del 4 aprile scorso quando gli alpini della Julia passarono la bandiera della missione proprio ai paracadutisti. Il posto della Folgore verrà preso per i prossimi sei mesi dalla brigata Sassari, i cui effettivi stanno già arrivando da qualche giorno proprio ad Herat.

Ultimo ammaina Bandiera alla Fob di Musahy
Ultimo ammaina Bandiera alla Fob di Musahy ©Pio Kabul 09

In contemporanea, anche con il trasferimento all’Anp (la polizia afghana) della fob “Sterzing” della valle del Musahy, a sud di Kabul, si prepara la “fine” da mesi annunciata della presenza italiana nella capitale, dove la base di Camp Invicta verrà passata al contingente turco. Una scelta che si inquadra nelle necessità di Isaf di presidiare il resto del territorio piuttosto che la capitale affidata alle forze di sicurezza locali.

Il terzo battle group (anche se adesso nella dicitura ufficiale si preferisce chiarmale task force) verrà così trasferito nell’RC-West dove si rafforzerà la presenza nella zona di Shindand, distretto più meridionale e più travagliato della provincia di Herat, per giunta zona pastù in area tagika. Una zona strategica perchè va a colmare sulla “mappa” un vuoto tra la presenza italiana a Farah e le due basi di Herat lungo la ring road (o “highway one”) la strada più importante di tutto l’Afghanistan. Inoltre Shindand, che era una base importantissima per le truppe sovietiche (che per giunta vi hanno lasciato un enorme deposito di munizioni, a lungo mal sorvegliato dalle forze di sicurezza locali…), diventerà il caposaldo sul versante occidentale del paese della ri-nascente aviazione afghana. Al momento non si tratta che di pochi elicotteri e qualche mig, ma ridare al governo afghano il controllo dello spazio aereo è un passaggio chiave per ridurre (in un futuro per ora lontano) la presenza militare straniera nel paese. La presenza italiana a Shindand inizialmente si limitava ad un gruppo di OMLT, i consiglieri militari che addestrano l’esercito afghano del 207esimo corpo d’armata, da luglio però vi opera la task force elettorale messa sù proprio per il periodo del voto (le altre due TF sul terreno sono quella nord e quella sud) e che nei prossimi mesi lascerà il proprio posto alle nuove truppe non più impegnate a Kabul.

Venerdì ad Herat è stato il presidente del Senato, Renato Schifani. Una visita, che ho seguito per il Tg3, e che è stata la prima di un esponente istituzionale dopo il peggior attacco mai subito dal contingente italiano in Afghanistan, quello del 17 settembre. Ad Herat, per l’occasione, c’era anche una rappresentanza del 186mo reggimento della Folgore, che opera a Kabul e di cui facevano parte i sei caduti della airport road.

Allarme rosso ad Herat

Ismail Khan guida la prima riunione dei mujaheddin anti-sovietici (herat, museo della jihad)
Ismail Khan guida la prima riunione dei mujaheddin anti-sovietici (herat, museo della jihad) ©np 09

E’ passato inosservato sull’informazione italiana e non, l’episodio di questa mattina ad Herat, principale città del Nord-Ovest del paese, nonchè principale base delle nostre truppe in Afghanistan. Eppure è un episodio assolutamente preoccupante che sancisce come i talebani siano sempre più attivi in aree a loro non “etnicamente” nè “storicamente” favorevoli.

Il convoglio di Ismail Khan si stava dirigendo verso l’aeroporto quando è esplosa una IED che non l’ha ferito (tanto che ha poi raggiunto, per via aerea, la sua destinazione, Kabul) ma ha fatto – al solito… – tra le tre e le quattro vittime civili (vedi la notizia qui) oltre a circa diciassette feriti tra i passanti, pare poco distante da una scuola.
Ismail Khan è uno dei principali capi Mujaheddin nonchè attuale Ministro dell’Energia e delle risorse idriche, ministero che di fatto ha trasferito nella “sua” Herat.

Ismail Khan era un ufficiale dell’esercito afghano quando alla fine degli anni ’70 avvio la rivoltà (oggi celebrata in un museo proprio ad Herat) contro i soprusi dell’esercito filo-sovietico. E’ stato anche fiero avversario dei talebani (che lo costrinsero alla fuga in Iran) fino alla loro cacciata nel 2001.
Senza girarci troppo intorno è un’espressione (pur tra le più alte) della frammentazione del Paese e dell’organizzazione del potere per aree di stampo feudale. Ma il fatto che venga colpito in maniera tanto clamorosa nella “sua” Herat, per giunta con un’esplicita rivendicazione talebana (per bocca del portavoce Zabihullah Mujahid), è la riprova che i guerriglieri stanno sempre più lavorando sul fronte nord (est ed ovest). Fronte che ha una doppia valenza: strategica, perchè anche negli anni ’90 da qui passò la conquista dell’intero paese, e politica, perchè agire qui significa colpire Italia e Germania, alleati indispensabili per l’America nel conflitto afghano ma esposti ai dubbi dell’opinione pubblica interna e quindi ritenuti particolarmente fragili verso attacchi ad alto impatto mediatico.

In serata ho visto che la Bbc si è occupata della vicenda, vedi qui

Sparano i Tornado, polemiche militari

Dopo la morte del primo caporal maggiore Alessandro Di Lisio a Farah, il Ministro La Russa durante la sua visita in Afghanistan (alla quale ho partecipato per il Tg3)  aveva annunciato una serie di interventi per rafforzare la sicurezza del contingente, fuori dalla metafora politica io direi per tenere il passo dell’escalation bellica in corso nel Paese.

Il Ministro aveva parlato di più predator (aerei senza pilota da ricognizione, al momento ce ne sono due ad Herat), torrette per il mitragliere più protette sui Lince (tra le ipotesi torrette motorizzate comandabili dall’interno, in maniera tale da evitare che il mitragliere spari dall’interno) e il ricorso ai Tornado anche per fare fuoco. I Tornado sono i jet italiani arrivati in Afghanistan nell’autunno scorso (fanno base a Mazar-i-Sharif) e da allora utilizzati solo per ricognizione non per bombardare. Durante il volo verso l’Afghanistan, il Ministro ci aveva detto di pensare all’utilizzo dei Tornado anche come “copertura aerea” ma non con le bombe bensì con il cannoncino di bordo assimilabile allo stesso degli elicotteri Mangusta (utilizzato e come, da tempo). Oggi in questa intervista al Corriere, La Russa conferma che si è entrati nella fase operativa: “Dopo aver informato le Ca­mere, ho dato via libera ai co­mandanti. A loro valutare. Parliamo non delle bombe, che sull’aereo non portiamo neanche. Ma del cannoncino dei Tornado, simile a quello degli elicotteri Mangusta”


Una scelta che ha già sollevato polemiche e per giunta autorevoli.
Nel fine settimana, all’Ansa, l’ex-capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il Generale Tricarico, aveva detto (il maiuscolo è un problema di formattazione che non riesco a risolvere): “FAR FUOCO CON I CANNONCINI DEI TORNADO NON SOLO E’ INUTILE, MA ANCHE PERICOLOSO PERCHE’ IN SCENARI COME QUELLO AFGANO IL RISCHIO DI DANNI COLLATERALI E’ CERTO”.

“COLPIRE UN TALEBANO CON LE ARMI DI BORDO DI UN TORNADO E’ FACILE COME VINCERE AL SUPERENALOTTO, MENTRE IL RISCHIO DI CENTRARE BERSAGLI DIVERSI, CIVILI INNOCENTI, E’ ALTISSIMO”

“TECNICAMENTE E’ COSI’, TUTTI LO SANNO. PROPRIO PER QUESTO LE ARMI DI BORDO DEI CACCIA NON SONO
STATE MAI USATE NEPPURE NEI 78 GIORNI DI OPERAZIONI AEREE SUI BALCANI”,

Secondo Tricarico se si vuole offrire copertura aerea ai militari impegnati a terra senza rischi di vittime civili (io direi, limitando questo rischio) bisogna armare i predator. Gli italiani hanno una versione di questi aerei senza pilota che non ha armi ovvero non senza missili “hellfire” anche detti “fire and forget” ovvero spara e dimenticatene (non è un riferimento alla morale ma alla loro capacità di seguire il bersaglio). Tra l’altro Tricarico ricorda la vecchia polemica di Rifondazione che contestò il nome aggressivo di questo veivolo come segno della natura bellica della missione durante le divisioni “afghane” all’interno del governo Prodi.

Un’ultima osservazione sull’intervista al Ministro. Almeno temporalmente noto che dopo la mia intervista al Generale Castellano (vedi post più sotto, all’interno il link al pezzo del Tg3), per la prima volta sulla stampa italiana si parla dei talebani uccisi. Ecco il passaggio, sempre dall’intervista di oggi al Corriere:

Se viene ucciso un militare italiano, la Difesa lo dichiara: dal 2001 in Afghanistan ne sono morti 15. Manca però un dato: quanti mili ziani afghani sono stati uccisi dai nostri soldati in scontri a fuoco?
«Il numero preciso non vie ne tenuto. Non c’è una conta bilità anche perché è difficile accertarlo. Di certo il numero degli insorti — talebani, trafficanti di droga, tutti coloro che compiono atti ostili — è superiore alle perdite subite dai contingenti internaziona li. E di molto».

Quelli colpiti da italiani?
«Anche per i nostri il rapporto è di sicuro più alto. Quando i nostri sono stati costretti a difendersi, gli altri hanno subito perdite. Tra i contingenti siamo quelli che hanno avuto meno lutti, an che se non per questo meno dolorosi».

Due giorni da dimenticare

Il luglio del 2009 in Afghanistan verrà ricordato come il mese peggiore dalla caduta dei talebani per le truppe occidentali, in particolare per britannici e americani. Un primato triste che si è consumato tra il 25 e il 26 luglio mentre la città di Khost (nell’est del paese al confine con il Pakistan) era sotto attacco combinato di kamikaze e guerriglieri, un candidato alle elezioni presidenziali veniva attaccato nella (un tempo tranquilla) provincia di Kunduz e gli italiani finivano due volte sotto attacco a poche ore di distanza.

Con le ultime vittime di questa macabra contabilità, i britannici uccisi sono ormai 21 dall’inizio di luglio (su un totale di 185 dal 2001) mentre le vittime americane sono arrivate ormai a quota 39 (su un totale di 667). A luglio i militari occidentali uccisi sono ormai 68 (compreso l’italiano Alessandro Di Lisio) e il mese non è ancora finito…Numeri, purtroppo, fatti volare sia dall’offensiva anglo-britannica nell’Helmand che dal generale incremento degli attacchi della guerriglia in tutto il paese in vista delle elezioni. Mentre in Gran Bretagna si discute ormai non solo del costo in termini di vite umane ma anche del costo economico della guerra afghana, i britannici continuano a morire per colpa di mezzi inadeguati come i semi-blindati Viking o le Land Rover Snatch ottime per le molotov di Londonderry non per le IED talebane.

Sugli episodi che hanno riguardato gli italiani, provo a dare qualche dettaglio in più. Sabato 25 luglio i nostri militari sono stati attaccati in due episodio distinti (vedi il servizio dal Tg3 delle ore 14.20 del giorno successivo) riportando tre feriti (cinque in realtà considerando i due militari non ospedalizzati visto la lieve entità delle ferite). Il primo nell’ormai “solito” distretto di Bala Baluk dove una pattuglia mista bersaglieri (1mo reggimento) e parà (187esimo) è stata costretta ad una battaglia durata cinque ore e conclusasi con gli interventi degli elicotteri d’attacco Mangusta in una zona dove è impossibile utilizzare copertura aerea dei jet salvo mettere in conto vittime civili (ricordiamo il drammatico bombardamento americano in questa zona ai primi di maggio, il peggio “incidente” del genere di sempre). Nei combattimenti è rimasto ferito un bersagliere. Un attacco del genere non accadeva dall’11 giugno, data di una massiccia e ben coordinata imboscata contro gli italiani che sembrava aver fatto desistere i talebani da attacchi del genere ripiegando sui i più semplici attacchi IED. Cosa significhi tutto ciò è difficile da capire anche se viene da pensare a nuovi rinforzi, talebani in fuga dal sud che si rifugiano e si riorganizzano a Farah.

Il secondo attacco è avvenuto ad Adraskan, mezz’ora di auto a sud da Herat, una località lungo la ring road dove i carabinieri hanno una base e svolgono un programma (pubblicamente lodato da Petraeus) di addestramento di un particolare corpo della disastrata e corrotta polizia afghana. In quella zona stava transitando un convoglio di Omlt (i consiglieri militari italiani che addestrano l’esercito aghano, in questo turno di dispiegamento parà della Folgore) quando, era quasi sera, è esplosa una moto lasciata lungo il ciglio della strada e carica di esplosivo. Ad attivarla un comando a distanza. A minimizzare i danni (due i militari lievemente feriti dal ribaltamento del mezzo) sono stati il blindato Lince e la bravura degli autisti (lo racconto per esperienza personale avendo viaggiato con loro decine di volte) che guidano al centro della carregiata, cambiano traiettoria, si allontanano da ogni tipo di possibile pericolo (che in Afghanistan può essere anche solo qualcuno in bici con una teiera sul manubrio) cambiano strada ad ogni blocco del traffico e sono pronti a sterzare bruscamente quando c’è da evitare lo speronamento di un kamikaze.

Perdite

La guerra in Afghanistan è sempre più discussa in Gran Bretagna, nonostante questo sondaggio dimostri che il supporto alla missione è in leggero rialzo (pur a fronte di un’opinione pubblica divisa). Nei primi dieci giorni del mese, i britannici hanno subito quindici perdite, un dato che sta scuotendo l’opinione pubblica del paese. Sono perdite legate all’operazione nell’Hellmand e che toccano anche le truppe americane (il 6 luglio, sette soldati americani sono morti in diversi episodi in diversi luoghi del paese). Stamattina ho appena visto una nota dell’Isaf che comunica la notizia di due vittime, pur senza precisarne la nazionalità come da pressi del quartier generale della missione, mentre  dall’Hellmand arriva la notizia (ancora molto vaga) di un elicottero caduto; aveva civili a bordo, pare contractors.

Sempre sull’offensiva nell’Helmand e sui suoi temuti effetti di “push”, ovvero di spinta dei talebani a ricollocarsi in altre aree (un mero travaso quindi) come la confinante provincia di Farah (dove potrebbero complicarsi e di molto le cose per i militari italiani che operano nell’area), segnalo questo reportage da Lashkargah, una delle rare testimonianze dalla capitale provinciale.

Dal deserto di Farah

Il video- dal Tg3 dell’11 luglio ore 19

Ecco uno dei servizi girati con Mario Rossi per il Tg3 durante la nostra permanenza a Farah, alla Fob El Alamein. La provincia di Farah è l’estermo meridionale dell’RC-West, il quadrante della missione Isaf a guida italiana, ed è ormai il fronte sud dove gli italiani combattono, negli ultimi mesi, pressochè ogni giorno. Farah è una provincia chiave perchè confina al sud con l’Hellmand, la roccaforte talebana dove per giunta i Marines stanno conducendo un operazione che potrebbe determinare un “travaso” dei ribelli verso il nord. Farah apre quindi la strada al nord, storicamente (almeno la provincia di Herat) poco ospitale verso i talebani ma sempre più strategico per un attacco “circolare” a tutto il Paese.

Il “colpo di spada” che divide l’Isaf

Secondo fonti di stampa americana (ovvero l’agenzia del gruppo dei quotidiani McClatchy) l’operazione “colpo di spada” condotta dai Marines americani ha scatenato le polemiche dei vertici militari italiani e tedeschi. In pratica (vedi post precedenti), 4000 Marines stanno provando a spingere i talebani fuori dai loro covi lungo la parte bassa del fiume Hellmand, per “ingaggiarli”ed “eliminarli” in scontri a fuoco oppure costringendoli verso il Pakistan (dove le truppe locali sono “al lavoro” sulla frontiera) cosi’ da recuperare il controllo di un’area dove sin’ora la presenza britannica, anche in virtu’ di numeri ridotti , non ha garantito un controllo stabile dei principali villaggi (stabile leggasi 24 ore su 24, per rendere i paradossi della situazione). A latere, tra l’altro, e’ in corso anche un’operazione dei britannici, apparentemente pero’ marginale in un contesto dove ormai “comandano” gli americani.

Come gia’ avvenuto in passato, in questi casi i talebani sono bravi a fuggire evitando lo scontro  diretto con un nemico sovrastante per numero di unita’ e mezzi (in una settimana di operazione i marines hanno avuto solo una ventina di “contatti” con il nemico). Il pericolo (da qui le critiche dei generali italiani e tedeschi) e’ che in fuga i talebanai si spostino verso nord a complicare situazioni gia’ complesse. In particolare nella confinante provincia di Farah, dove i para’ della folgore e i bersaglieri dai primi giorni di giugno stanno finendo sotto attacco praticamente ogni giorno, concentrandosi su alcuni precisi distretti intorno alla capitale provinciale (altri due sono finiti nell’op box Tripoli, un’area dove possono operare solo i marines americani e che portera’ presto ad una revisione, presumibile, dei confini dell’RC-West di Isaf). Insomma se a Farah arrivassero (e non e’ detto che non siano gia’ arrivati) nuovi gruppi talebani, la situazione potrebbe precipitare. Ho cercato al comando italiano di Herat conferme all’indiscrezione senza trovarle ufficialmente… ma tutta la vicenda appare nella sua sostanza confermata.

Arrivano i rinforzi italiani

Qui ad Herat, continuano ad arrivare i rinforzi che l’Italia ha deciso di aggiungere al nostro contingente nel Paese per contribuire alla sicurezza delle prossime elezioni presidenziali di agosto, portandolo cosi’ da quota 3000 fino a quella di 3500 unita’.

Con me, il 4 luglio, ha viaggiato una compagnia (o parte di essa) del 187esimo Regimento della Brigata Folgore, ma ogni giorno continuo a vedere arrivi. Ufficialmente si tratta di un aumento temporaneo, in vista delle elezioni. La regione ovest, l’ Rc-West di Isaf, e’ grande come il portogallo e vedra’  l’apertura di 2500 centri elettorali per il voto.

Secondo indiscrezioni, pero’, l’incremento di truppe e’ destinato a diventare stabile (compatibilmente con i tagli al bilancio della Difesa visti i tempi di magra) per formare nell’area diu Herat il terzo battle group o “unita’ di manovra” ovvero la parte combattente del contingente.  Dopo le elezioni, a Kabul, dovrebbe “chiudere” Camp Arena concentrando tutti i militari italiani proprio nell’Rc-West.