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Geronimo goes to Hollywood

Finì ad esibirsi alle fiere di paese Geronimo, il capo indiano, il cui nome è stato utilizzato per definire il bersaglio Bin Laden durante l’operazione in cui è stato ucciso meno di tre mesi fa. Bin Laden (da morto) finirà ad Hollywood e questo era già chiaro a tutti, ma la trasposizione cinematografica del raid più famoso della storia delle forze speciali sta già causando un gran dibattito nell’America travolta dalla recessione dove questo successo di Obama sembra già dimenticato di fronte agli indici di borsa in picchiata.
Pochi giorni fa Maureen Dowd, opinionista del Ny Times, ha svelato che la Casa Bianca (che ha poi smentito) sta passando informazioni riservate ad un produzione della Sony sull’uccisione di Bin Laden, un’iniziativa che non ha fatto piacere ai Repubblicani i quali hanno già chiesto un indagine al riguardo (ricordiamo che sulla diffusione anche di un dettaglio cruciale per convinvere gli scettici, ovvero le foto del corpo di Bin Laden, si sollevo’ un dibattito di alto livello negli Stati Uniti).
Intorno alla storia del capo di Al Qaeda sono giorni caldi, il New Yorker nel numero dell’8 agosto ha pubblicato uno straordinario racconto “play-by-play” come si dice nel football americano, diciamo passo dopo passo, di quanto accaduto la notte di Abbottabad. E’ il primo resoconto del genere mai pubblicato e merita di essere letto, qualcuno pero’ nella stampa americana se l’è presa sottolineando come l’autore in realtà non ha precisato di aver mai parlato con i Seal protagonisti dell’operazione.
I nemici, a volte, sanno essere un problema anche da morti.

Cattiva informazione o fonti cattive?

La notizia diffusa ieri sera dall’edizione on line del London Times, ovvero che avrebbero confessato i tre italiani arrestati (perchè ormai di fermo non si può più parlare) dai servizi segreti afghani, è stata smentita dalla sua stessa fonte, ovvero il portavoce del governatore di Helmand, intervistato oggi da Fausto Biloslavo per “il giornale” in un articolo molto completo e ricco di indiscrezioni anche dal lato dei nostri servizi (consiglio di leggerlo – tra l’altro, finalmente, dopo qualche ora dalla sua pubblicazione sul sito ha anche ricevuto un titolo all’altezza del corpo dell’articolo). Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, che pure ieri sera – dopo l’indiscrezione del Times – aveva rafforzato i toni delle sue dichiarazioni verso un ulteriore presa di distanza dalla vicenda (o almeno questa è stata la mia impressione), oggi “pur senza citarlo esplicitamente, ha accusato il britannico Times di aver dato ‘una notizia erronea’ ” – leggo sulle agenzie. Frattini ha espressamente parlato di cattiva informazione.

Restano però sul tappeto due elementi. Jerome Starkey l’autore dell’articolo per il London Times è un giornalista esperto, reduce da una clamorosa inchiesta nella quale ha sbugiardato la Nato su un raid delle forze speciali americane finito in tragedia e in un tentativo di copertura (ne ho scritto in questo blog), inchiesta costagli una durissima polemica con il comando centrale. Insomma, sarà pure britannico come i militari che sono intervenuti all’ospedale di Emergency (solo per bonficare gli ordigni esplosivi o come parte dell’operazione – resta un mistero) ma mi sembra al riparo da accuse di “connivenze”. Inoltre resta “agli atti” l’articolo della CNN di ieri che parla addirittura del coinvolgimento dei tre arrestati italiani nell’uccisione del producer di Daniele Mastrogiacomo, alla conclusione di quel tragico sequestro probabilmente l’origine della vicenda di questi giorni. Per dirla più chiaramente, non credo ad una negligenza giornalistica; al contrario vedo (anche dal tono della stampa internazionale in genere) una spinta in direzione “colpevolista” da parte di certe fonti. Tiro le somme e con Kipling ricordo che, in quelle terre, il grande gioco è così grande che non se ne vede la fine…Ovvero che siamo entrati in una fase ancora più confusa di questa vicenda (prescindendo dai fatti che l’hanno avviata e quindi dalla eventuali responsabilità da accertare) nella quale – come al solito in Afghanistan – si scontrano interessi e poteri non sempre coincidenti, autorità multiple e non-coordinate nel frammentato quadro del Paese (per esempio mi colpisce la cautela mostrata sin’ora dal portavoce del ministero degli Interni forse il segno di una rottura tra centro e periferia su questo caso). Tutti elementi che, se non si interviene presto, faranno assomigliare sempre più questa storia ad una matassa che continua ad aggrovigliarsi.