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La ‘badar’ contro gli italiani

Negli ultimi trent’anni di conflitti in Afghanistan, la primavera ha sempre sancito l’inizio della stagione dei combattimenti, con i rinforzi per i ribelli (mujaheddin ieri, talebani oggi) in arrivo dalle basi del vicino Pakistan attraverso le montagne finalmente sgombre dalla neve. Ma quest’anno i talebani l’offensiva di primavera l’hanno annunciata formalmente, con inizio il primo maggio, denominandola Badar, come una storica battaglia contro gli infedeli.
L’ultimo mese in Afghanistan è stato segnato da attacchi clamorosi come i due giorni di combattimenti a Kandahar, l’attacco all’ospedale militare di Kabul e l’ultimo attentato suicida nel nord del Paese che ha gravemente ferito il capo delle truppe tedesche e ucciso il locale capo della polizia. Un tour dell’orrore, partito dal sud e che – con l’attacco di oggi ad occidente – ha praticamente colpito tutti i quadranti del Paese.

E’ in questo contesto che si inserisce l’attentato di oggi contro la città di Herat, una città relativamente tranquilla rispetto al resto del Paese tanto che è previsto a brevissimo il passaggio di consegne tra militari italiani e forze di sicurezza locali. La prima tappa nel percorso previsto dalla coalizione Isaf che dovrebbe portare entro il 2014 gli afghani ad essere responsabili della sicurezza nel loro Paese, con il ritiro degli occidentali. Per questo l’attacco di oggi ha un particolare valore simbolico

I talebani hanno colpito la base del Prt, il provincial recostruction team ovvero l’unità della missione italiana che si occupa della ricostruzione, degli aiuti ai civili, e che in questo semestre è gestito dal 132esimo reggimento della Brigata Ariete. Una base nel cuore della città, stretta tra gli edifici, intitolata al Capitano Vianini, che morì in un incidente aereo nella missione di ricognizione che portò poi alla creazione del Prt italiano. Una base particolarmente vulnerabile, adatta alla tecnica dell’esplosione kamikaze e poi dell’irruzione del commando armato, grazie proprio alle case vicine ed elevate dove – pare – siano rintanati alcuni ribelli, stando alle prime frammentarie ricostruzioni. Un obiettivo scelto anche per questo rispetto al super protetto Camp Arena la base principale italiana e multinazionale nei pressi dell’aeroporto di Herat.

Fare Scuola

Posa della prima pietra - Scuola "Ramadù - Pascazio"
Posa della prima pietra - Scuola "Ramadù - Pascazio"

Mentre, lunedì, a Bala Morghab il convoglio italiano finiva sotto attacco, più a sud nella provincia di Herat, quasi in contemporanea, il Prt italiano posava la prima pietra di una scuola. Verrà intitolata al sergente maggiore Massimiliano Ramadù e al caporal maggiore scelto Luigi Pascazio, i genieri della brigata alpina Taurinense uccisi proprio in quell’attacco. La notizia è arrivata dal comando italiano, poco dopo la fine dei funerali dei due caduti. Gli americani di solito intitolano ai caduti le loro basi (Fob Tillman, Camp Blessing…), gli italiani hanno scelto una scuola – mi sembra una differenza non da poco, al di là della retorica della missione di pace a cui ormai non crede più nessuno. Un gesto che, tra l’altro, forse contribuirà anche a dare un po’ di sollievo a famiglie dei due alpini, il cui dolore sarà comunque incancellabile.
Mi ha fatto piacere leggere quel comunicato – subito dopo, però, ho provato a guardare al 2020 o forse solo al 2015. Mi sono chiesto che cosa sarà di quella scuola tra dieci anni? Qualcuno in Afghanistan proverà a leggere quei due cognomi stranieri pensando a quello che hanno contribuito a fare per il loro paese o il tempo, la guerra, il caos avranno intanto cancellato tutto? Insomma mi chiedo quanto durerà la guerra e cosa resterà di quello che gli occidentali stanno facendo, nel bene e nel male, in Afghanistan. Sarà il dolore per queste due nuove vittime italiane, per gli altri occidentali che continuano a morire in giro per il paese, per le tante vittime afghane che “non fanno notizia” ma ogni giorno è sempre più difficile credere che il 2013 sia un obiettivo realistico per la fine della guerra.