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Dove c’era la giungla

 

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Il porto più sorvegliato del mondo

Per rivedere il mio speciale “Dove c’era la Giungla” andato in onda il 18 febbraio su RaiTre, clicca qui.

Su Facebook potete trovare i pezzi andati in onda al Tg3, eccoli:

Grand Synthe, l’altra (diversa) Calais

Gli angeli di Calais, i volontari

La sicurezza che non basta mai

Fango, Pietre, Lacrimogeni

Calais, andata via la jungla i migranti restano

 

Senza (biglietto di) Ritorno

Senza (biglietto di) Ritorno

Il fotoracconto dello sgombero de “la Jungle” di Calais, nel nord della Francia, la baraccopoli dove vivono tra le 4 e le 5mila persone; negli ultimi dieci anni cresciuta su una discarica a pochi passi dall’autostrada e dal molo passeggeri del porto, punti dai quali tentare di arrivare clandestinamente nel Regno Unito.

 

La “jungla” sotto assedio

La “jungla” sotto assedio

Calais è ormai una zona militarizzata, tutti i possibili punti di passaggio verso l’Inghilterra sono presidiati dalla polizia e difesi da recinzioni, filo spinato e sorveglianza elettronica. Nella jungla – l’ormai “storico” campo profughi vicino al porto di Calais – in migliaia vivono inseguendo il loro “sogno inglese”. Ecco il mio servizio dal Tg3 delle ore 19 del primo febbraio 2016

La jungla sotto assedio from Nico Piro on Vimeo.

Tutti i diritti riservati Rai 2016. Per l’edizione integrale:
www.tg3.rai.itwww.rai.tv

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Kabul, Irlanda

C’è un bizzarro ombrellone di ferro, colorato di blù, ad ogni incrocio di Kabul. Lo chiamano “Ring of Steele” come c’è scritto anche sui tabelloni che accompagnano ognuno di questi posti di blocco, individuato da un numero. E’ un sistema di sicurezza, gestito dalla polizia afghana, che crea una sorta di rete…se un sospetto passa al check point 20 e non viene fermato, via radio, la segnalazione arriva al 21, al 22 e così via. L’idea – mi spiegava il capo di una squadra di guardie private, qualche giorno fa – è stata importata dai britannici che l’hanno utilizzata negli anni più buii del conflitto in ‘Irlanda del Nord. Non so quanto dipenda da questo nuovo sistema (il dubbio mi viene perchè in molti posti di blocco continuo a vedere il classico bivacco sonnacchio dell’ANP, la polizia locale) e quanto dagli effetti dello schieramento di truppe occidentali intorno alla città, cominciato con la surge di Bush quasi due anni fa. Eppure l’unica buona notizia della giornata del voto è che a Kabul non è successo nulla, tranne che per i razzi lanciati la notte precedente che sono però un tipo di attacco difficilmente fermabile come tutto quello che cade dal cielo.

In un momento in cui scoppiavano incidenti in praticamente tutto il Paese, un record senza precedenti, la capitale è rimasta tranquilla tanto da offrire scene impensabili di donne che si accalcavano con allegria sei seggi e pulmini di candidati che portavano tranquillamente gli elettori ai seggi. Non poco se si considera che fino a qualche mese fa (vedi la peace jiirga di fine primavera) Kabul è stata bersaglio di attacchi clamorosi e spavaldi della guerriglia quanto devastanti, pensiamo per esempio all’attacco al quartier generale della Nato pochi giorni prima delle presidenziali di un anno fa.

C’è da esserne felici
ma l’immagine che continua a tornarmi in mente è quella della Kabul di Najibullah e dei sovietici in genere, una città dove la modernità avanzava (come avanza oggi, con tutte le contraddizioni del caso ora come allora) dove si viveva una vita da capitale se consideriamo il paragone con il medioevo rurale che inizia già a pochi chilometri dalla sua periferia, eppure quella era una città sotto assedio. Un assedio certo virtuale perchè il nemico non era alle porte e non ci sarebbe riuscito ad arrivare che in anni, ma il grosso del Paese era fuori controllo.  Non siamo ancora a quel livello, ma guardando la mappa degli incidenti della giornata del voto, per la prima volta forse, quasi uniformemente diffusi in tutto il territorio, beh il ring of steele mi consola molto poco.

Non chiamateli incidenti

Nemmeno leggendo la stampa spagnola (che riprende l’opinione del governo sulla premeditazione dell’attentato – vedi el pais; el mundo) si capisce bene la dinamica dell’attacco di ieri a Qal-e-Now costato la vita a due poliziotti e ad un interprete iberici. Come fa ad Herat la Task Force Grifo della guardia di finanza italiana, la Guardia Civil spagnola addestra le forze di sicurezza locali nella base di qal-e-now, capitale della remota provincia di Badghis dove gli spagnoli gestiscono il locale Prt, che fa non poca fatica ad uscire dai dintorni della città. Ieri un afghano ha impugnato le armi e sparso altro sangue – inizialmente sembrava si trattasse di reclute, ora si parla dell’autista del comandante della polizia locale. Anche se in questo caso la posizione del governo spagnolo è molto chiara, episodi del genere si moltiplicano (militari o poliziotti afghani che ammazzano e feriscono elementi delle truppe occidentali – tre episodi del genere solo nell’ultimo mese se la memoria – mia e della Reuters – non inganna). La tentazione è quella di descriverli come “argument”, ovvero delle liti, degli incidenti appunto. Mi sembra invece chiaro che l’infiltrazione nelle forze di sicurezza locali dei talebani è ormai molto forte, come accadeva ai tempi dei russi (Steve Coll per esempio cita l’invito dei mujaheddin agli infiltrati a non disertare perchè più utili all’interno); in un quadro per giunta dove il reclutamento va avanti a manetta, purchè si riempiano gli organici in vista del passaggio alle forze di sicurezza locali. In sintesi, direi che l’infiltrazione deve essere presa e considerata come un dato di fatto.
Non so invece se le dure e violente manifestazioni all’esterno della base spagnola, ieri, siano state davvero organizzate come dice il governo spagnolo: le voci in Afghanistan hanno la forza di un tornado, più si diffondono e più prendono quota…immagino la voce di un afghano ucciso dagli spagnoli che si diffonde tra la gente e magari dopo un’ora si parla di un plotone di esecuzione per decine di concittadini. Di certo fa pensare rivedere le immagini dell’assalto alla base, la stessa dalla quale partono i convogli umanitari e le distribuzioni in primo luogo destinate alla città che ieri si è ribellata.
Per chiudere, i link della stampa spagnola sulle tre vittime di ieri: Jose Maria Galera, Leoncio Bravo e l’interprete, naturalizzato spagnolo da lungo tempo, Taefik Alili.