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Che cos’è la guerra?

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KABUL – Se volete rispondere davvero a questa domanda – che cos’è la guerra – questa volta potete farlo senza grosse difficoltà, senza dovervi sorbire gli esperti di turno o leggere qualche impegnativo saggio. Guardare questi tre bambini, sono tra le dozzine di feriti arrivati oggi all’ospedale di Emergency a Kabul. Li ho seguiti da quando sono entrati attraverso il “main gate”, l’ingresso dove arrivano taxi carichi di feriti, ambulanze e dove si accalcano i parenti, feriti, una folla a volte persino feroce; l’ingresso dove stamattina un agente dell’NDS (i servizi afghani) mi ha chiesto di togliermi da lì perché aspettavano che l’attacco di un kamikaze un giornalista che faceva riprese avrebbe “incentivato” l’azione, alzano il valore del target colpito. Continua a leggere “Che cos’è la guerra?”

Democrazia Kabul-i

Karzai non si ricandiderà, lo ha annunciato oggi l’ufficio del presidente. Dopo praticamente tre mandati (ha governato il paese nel post-2001 con una nomina “commissariale” per poi essere eletto nel 2004 e, tra le polemiche, nel 2009) Karzai comunica che nel 2013 si farà da parte, come del resto prevede la costituzione. Insomma una non notizia.

Se volete fare un po’ di ironia, potete interpretare questo annuncio come l’ennesima campana a morto per la democrazia afghana che potrebbe non esserci più se non nel 2013, diciamo dopo il 2014 quando le truppe occidentali si ritireranno. In realtà Karzai ha oggi annunciato l’ovvio, il comunicato può essere tradotto come “rispetterò la costituzione”. Perchè l’ha fatto? Non perchè teme di essere scalzato come Saleh (Yemen) o Mubarakat (Egitto) da una primavera afghana che non esiste ma perchè sta completando il suo assalto al parlamento e quindi ha bisogno di una mossa ad effetto che gli consenta di calmare le acque e assestare il colpo.

Quale colpo? Riavvolgiamo il nastro: a settembre del 2010 si è votato per le parlamentari, quasi un anno dopo i risultati non sono stati ancora ufficializzati…la crisi elettorale più lunga che la storia ricordi. Di mezzo c’è stato il tentativo di Karzai (scontento per i risultati delle elezioni che sottorappresentano la sua etnia, quella pasthun, ma anche i suoi diretti alleati ed amici) di posporre l’apertura della Camera e poi di invalidare i risultati utilizzando la magistratura, alle sue dirette dipendenze, per neutralizzare l’unico organo costituzionale con poteri di revisione dei risultati elettoriali, ovvero la IEC e la ECC. Karzai è riuscito intanto a fare perdere il posto in parlamento, proprio tramite questa revisione “fatta in casa”, a 62 deputati. Mercoledì però ha emesso un decreto per risolvere il problema e quindi il conflitto costituzionale, ovvero ha affermato che effettivamente la titolarità della revisione dei risultati è della commissione elettorale ma allo stesso tempo ha stabilito che la commissione elettorale faccia propri i risultati della revisione stabiliti dai giudici su incarico di Karzai. Un vero colpo da statista…Se pensiamo che la guerra in Afghanistan è stata giustificata (almeno negli ultimi anni) proprio dalla necessità di consolidare la democrazia afghana…c’è davvero da star sereni…

Parlamento addio!

Quando si parla di Afghanistan, l’affermazione del diritto di voto viene sempre sbandierata come un successo, uno dei pochi della presenza occidentale. E’ vero, salvo mille postille, asterischi, precisazioni che si dovrebbero aggiungere a dichiarazioni del genere. Purtroppo dal 23 gennaio in poi, potrebbe essere alquanto imbarazzante fare affermazioni del genere. Quel poco che è in piedi dell’impianto formale della democrazia afghana potrebbe definitivamente crollare. Ma andiamo con ordine.

A “soli” quattro mesi dal voto per le parlamentari, dopo una tormentata conta dei voti non meno tormentata di quella delle presidenziali di un anno fa (un terzo i suffragi cancellati per falsificazioni e brogli) , Hamid Karzai aveva convocato per il 20 gennaio la nuova assemblea, poi slittata al 23 per il suo viaggio in Russia. Era chiaramente una mossa tattica, del “gattopardo” dell’Arg (il palazzo presidenziale di Kabul ndr). Lo stesso Karzai mesi prima aveva coinvolto nella conta e controconta dei voti, nonchè nell’analisi dei reclami, il procuratore generale. Una mossa chiaramente illegittima e anticostituzionale, perchè spetta alla Ecc (la commissione per i reclami elettorali) occuparsi della validità del voto. Cosa che l’Ecc aveva fatto, ritrovandosi per giunta diversi suoi membri sotto inchiesta. Adesso la magistratura (quella che Karzai aveva coinvolto appunto) ha ordinato al presidente di rinviare di un altro mese l’insediamento del parlamento. Un ordine che il presidente ha accolto volentieri.

Qual è il problema? Karzai sta perdendo consenso nel Paese o meglio in quel ceto affaristico e di potere che ha dimostrato di controllare il consenso elettorale. Alle parlamentari ha visto molti dei suoi candidati esclusi, ha visto clamorose esclusioni nel sud, ovvero nella patria della sua etnia (che pur male rappresenta), quella pasthun, aree dove pur ha pesato sul voto l’assenza di sicurezza. Basta pensare che tutti gli eletti della provincia di Ghazni (i cui risultati sono stati proclamati per ultimi, vista la delicatezza del nodo da sciogliere) sono appartenenti alla minoritaria etnia hazarà. Il risultato finale è stato drammatico per il presidente che ha poco da temere dal Parlamento (grazie alla costituzione all’americana) ma che ha già ricevuto sgarbi dalla camera bassa per esempio sulla lista dei ministri del suo gabinetto.

Lo scenario che si profila adesso è quello di un annullamento delle elezioni o almeno è questo quello che vuole il procuratore generale. Se già a fine anno, le tensioni crescevano a Kabul, adesso c’è il rischio di arrivare al collasso. Domenica, i vincitori ufficiali insediamento il Parlamento, lo stesso. In un Paese dove gli equilibri sono sempre fragili non è improbabile ipotizzare nuove violenze. Inoltre con l’ulteriore crepa nella pericolante casa della democrazia afghana viene meno un altro pezzo della “mission” e della legittimazione della missione occidentale. A proposito gli occidentali? Beh, loro sono imbarazzatissimi…tutti (dall’Onu alla diplomazia occidentale) sanno benissimo che la mossa del presidente assomiglia molto ad un colpo di stato, felpato…come il passo di un gattopardo, appunto.

Chi ha vinto le elezioni?

Bella domanda! Alla quale forse avremo una risposta la settimana prossima, quasi due mesi dopo il voto per le parlamentari del 18 settembre. Ma in realtà le cose potrebbero andare ulteriormente per le lunghe e non solo perchè si è scoperto che, dopo la diffusione dei risultati provvisori, dalle province sono arrivate solo negli ultimi giorni almeno altri 700 verbali elettorali e relative schede. Dopo le decisioni dell’IEC, l’organismo autonomo che gestisce il processo elettorale, di annullare 1,3 milioni di voti ovvero quasi un quarto di quelli validi, dietro le quinte pare si stia consumando una braccio di ferro che potrebbe contribuire all’ulteriore fallimento di queste consultazioni. In strada invece continuano le manifestazioni dei candidati sconfitti o comunque penalizzati dalle decisioni anti-brogli (ecco un po’ di link a notizie di proteste e manifestazioni: ToloTV, Reuters, Csm). Se un panorama di proteste tanto vasto è in qualche modo legato all’alto numero di candidati (quasi 2500), meno fisiologiche sono le tensioni che vanno emergendo.

Le agenzie riportano la notizia del tentativo di Ismail Khan, signore della guerra e padrone di Herat (ma la sua ri-nomina a ministro dell’energia è stata cancellata dal parlamento nell’inverno scorso), di fare pressioni su un alto funzionario della commissione elettorale nell’ovest dell’Afghanistan, funzionario che avrebbe registrato una lunga telefonata per poi (anonimamente) diffonderla e far scoppiare il caso. In questa marea montate di polemiche, si profila l’intervento del procuratore generale, che di fatto potrebbe fungere da braccio di Karzai e delle sue istanze visto che l’attorney general non può intervenire su vicende elettorali rimesse invece dalla costituzione ad organismi autonomi (la IEC e la commissione dei reclami che intanto sta lavorando su circa 400 denunce di irregolarità). Le Nazioni Unite si sono formalmente opposte a questa ipotesi, facendo capire quanto sia concreta. Eventualità che finirebbe con il minare ulteriormente l’indipendenza e la credibilità del processo di voto. Per ora ignorata dalle agenzie internazionali, c’è una nota dell’agenzia Kabul Pressistan che racconta dell’insoddisfazione del presidente per lo scarso numero di eletti di etnia pasthun (21 in meno rispetto alle precedenti elezioni) non poco in un Paese sempre più frammentato e dove i pasthun (l’etnia di Karzai e da sempre l’elitè afghana) si sentono sotto-rappresentati nelle istituzioni del dopo-2001. Una scarsa presenza in questo caso legata al fatto che nelle aree pashtù le condizioni di sicurezza non erano tali da predisporre un numero adeguato di seggi o di garantirne il funzionamento, con esiti paradossali come a Ghazni dove gli undici seggi disponibili sono tutti andati alla minoritaria etnia degli hazara.

Secondo KabulPressistan, il primo novembre Karzai avrebbe convocato il capo dell’IEC, Manawi, arrivando persino a mostrargli video di brogli elettorali per rendere più credibile la sua minaccia di un’annullamento delle elezioni proprio per via dei brogli massicci, non poco da un presidente eletto un anno fa proprio a dispetto di brogli massicci a suo favore. Ed arriviamo alle conclusioni per chi ha avuto la forza di arrivare fino a queste ultime righe in quella che sembra una storia di politica “politicata” della peggior specie e in quanto tale noiosa e irrilevante. Ma purtroppo (se non per i media italiani) irrilevante non lo è. Se le elezioni parlamentari avrebbero dovuto essere la prova d’appello per la credibilità della democrazia afghana rispetto, proprio, alle presidenziali del 2009, purtroppo stiamo passando dal fallimento di questa seconda prova al suo evolversi nella pietra tombale per l’idea stessa della praticabilità di elezioni nell’Afghanistan di oggi.

Kabul, Irlanda

C’è un bizzarro ombrellone di ferro, colorato di blù, ad ogni incrocio di Kabul. Lo chiamano “Ring of Steele” come c’è scritto anche sui tabelloni che accompagnano ognuno di questi posti di blocco, individuato da un numero. E’ un sistema di sicurezza, gestito dalla polizia afghana, che crea una sorta di rete…se un sospetto passa al check point 20 e non viene fermato, via radio, la segnalazione arriva al 21, al 22 e così via. L’idea – mi spiegava il capo di una squadra di guardie private, qualche giorno fa – è stata importata dai britannici che l’hanno utilizzata negli anni più buii del conflitto in ‘Irlanda del Nord. Non so quanto dipenda da questo nuovo sistema (il dubbio mi viene perchè in molti posti di blocco continuo a vedere il classico bivacco sonnacchio dell’ANP, la polizia locale) e quanto dagli effetti dello schieramento di truppe occidentali intorno alla città, cominciato con la surge di Bush quasi due anni fa. Eppure l’unica buona notizia della giornata del voto è che a Kabul non è successo nulla, tranne che per i razzi lanciati la notte precedente che sono però un tipo di attacco difficilmente fermabile come tutto quello che cade dal cielo.

In un momento in cui scoppiavano incidenti in praticamente tutto il Paese, un record senza precedenti, la capitale è rimasta tranquilla tanto da offrire scene impensabili di donne che si accalcavano con allegria sei seggi e pulmini di candidati che portavano tranquillamente gli elettori ai seggi. Non poco se si considera che fino a qualche mese fa (vedi la peace jiirga di fine primavera) Kabul è stata bersaglio di attacchi clamorosi e spavaldi della guerriglia quanto devastanti, pensiamo per esempio all’attacco al quartier generale della Nato pochi giorni prima delle presidenziali di un anno fa.

C’è da esserne felici
ma l’immagine che continua a tornarmi in mente è quella della Kabul di Najibullah e dei sovietici in genere, una città dove la modernità avanzava (come avanza oggi, con tutte le contraddizioni del caso ora come allora) dove si viveva una vita da capitale se consideriamo il paragone con il medioevo rurale che inizia già a pochi chilometri dalla sua periferia, eppure quella era una città sotto assedio. Un assedio certo virtuale perchè il nemico non era alle porte e non ci sarebbe riuscito ad arrivare che in anni, ma il grosso del Paese era fuori controllo.  Non siamo ancora a quel livello, ma guardando la mappa degli incidenti della giornata del voto, per la prima volta forse, quasi uniformemente diffusi in tutto il territorio, beh il ring of steele mi consola molto poco.

Lo stallo

Karzai al voto - copyright np 2010
Karzai al voto - copyright np 2010

La guerra dei numeri è già cominciata e durerà a lungo. Almeno l’anno scorso per le presidenziali, Karzai emise un bando governativo sulla diffusione delle notizie di attacchi durante il giorno delle elezioni.

Quest’anno invece, nel dopo-elezioni parlamentari, stiamo assistendo al balletto dell’interpretazione delle cifre, forse volto a guadagnare un po’ di tempo per capire davvero com’è andato questo voto. Ho letto una nota Isaf questa mattina che notava come il numero degli attacchi nella giornata elettorale è stato sì maggiore del 2009 ma con meno vittime. In realtà anche il numero delle vittime è in dubbio (21 secondo il ministero degli interni, 7 secondo Isaf senza contare anche i militari stranieri), esattamente come quello dell’affluenza (stimata ottimisticamente al 40%) la cui base di calcolo non appare chiara (17 milioni di tessere elettorali diffuse dal 2005? 12,5 milioni di elettori registrati?).

Quello che conta di queste elezioni non sono i risultati (i candidati si presentano individualmente, non in una lista di partito e il parlamento tutto sommato non conta che pochissimo nel sistema iper-presidenziale afghano) ma la portata dei brogli che ci sono stati di sicuro (episodi fisiologici, perchè siamo pur sempre in Afghanistan? Oppure frodi massicce, sistematiche e organizzate come un anno fa?) e appunto la partecipazione al voto che è direttamente collegata a violenze e disillusione degli afghani. Insomma queste elezioni contano in quanto prova d’appello per la credibilità della democrazia afghana, dopo la truffa delle presidenziali. Credibilità nei confronti degli afghani e soprattutto degli alleati stranieri (o meglio delle relative pubbliche opinioni). E’ ancora presto per esprimersi su questi punti ma i primi indizi sono più che negativi, di certo è apprezzabile la cautela dell’inviato dell’Onu, De Mistura, il quale afferma che è troppo presto per definire queste elezioni un successo. Domani la Fefa, la fondazione che autonomamente monitora le elezioni, in una conferenza stampa potrebbe emettere un giudizio drasticamente negativo, aspettiamo. In quanto alle violenze, il punto di tutta questa vicenda non è il numero di incidenti secondo me, ma il fatto che questa volta non si siano concentrati solo nel sud e nell’est ma si siano verificati in tutto il Paese. Notevole invece che a Kabul sia tutto filato liscio come l’olio, segno che il nuovo sistema di check point (ring of steele, di memoria nord-irlandese) ha funzionato. L’affluenza (per ora stimata a 4 milioni) di certo è inferiore a quella delle presidenziali, quando votarono 6 milioni di elettori sulla carta da cui detrarre un milione e mezzo di false schede e relativi elettori.

Se è un miracolo
che le elezioni si siano svolte nell’Afghanistan di oggi, è altrettanto chiaro che la guerriglia si è fatta sentire e non poco. Ma se i talebani non riescono a boicottare in pieno le elezioni, il governo non riesce a difenderle fino in fondo. Un altro segno dello stallo che sta vivendo questo paese. Una guerra che nessuno può vincere, nè gli uni nè gli altri. Quale sia la via d’uscita da questo “stand off” è difficile persino immaginarlo anche se Karzai domani presenta il suo “consiglio” per la pace…