La settimana scorsa i parà della Folgore hanno cominciato a lasciare l’Italia, destinazione Herat. Tra pochi giorni ci sarà il TOA ovvero il trasferimento del comando dagli alpini appunto ai paracadutisti. L’Afghanistan è stato mediaticamente fagocitato dalle vicende libiche, semplicemente non se ne parla più, “non c’è spazio in pagina”; del resto molti dei giornalisti internazionali normalmente impegnati in quel Paese li ho rivisti al confine libico-tunisino o li leggo/vedo da quel di Benghazi.
Sta capitando sui media di tutto il mondo ma in Italia non era poi così difficile dimenticarsi dell’Afghanistan, vista la già scarsa e intermittente attenzione riservata dalle testate di casa nostra alla missione di un Paese a tutti gli effetti in guerra. Eppure questo semestre di missione per i parà sarà molto duro, con le loro capacità militari – che hanno già dimostrato nel 2009 – sono chiamati a mettere mano ad una serie di problemi non da poco: a cominciare dal Gulistan e da tutto l’area dell’ex-opbox Tripoli nella parte sud-orientale della provincia di Farah, senza dimenticare la turbolenta Bala Morghab. Questa volta, per giunta, conoscono meglio il terreno e quindi è presumibile che si muoveranno più in profondità e con più sicurezza anche verso obiettivi e no-go zone (per gli occidentali) ancora “intatte”.
Il tutto in un quadro nuovo, con l’incognita della sicurezza ad Herat in fase di passaggio alle forze afghane, un quadro fluido che libererà altre truppe per l’impiego in aree più calde rispetto alla tranquilla Herat ma non esclude che gli italiani avranno occasione di correre in supporto di ANA e ANP in caso di grossi guai nella capitale provinciale.
Saranno sei mesi caldi, cominciano nel silenzio – con sommo sollievo, ipotizzo, del mondo politico – ma è un silenzio che non durerà. Auguri ai parà. Auguri all’Afghanistan.
Tag: paracadutisti
Ritorno a casa

La missione afghana appena conclusa (aprile-ottobre 2009) dai paracadutisti verrà ricordata probabilmente sia nella storia della Folgore che in quella dell’impegno militare italiano in Afghanistan, per diversi motivi. Mi limito per ora ad enunciarli come argomenti da approfondire – tra questi ci sono sicuramente i fatti del 17 settembre, il peggior attacco subito dalla missione italiana nel paese, quella che molti hanno definito la Nassyria afghana per fare un parallello con il terribile attentato in terra irachena. C’è soprattutto il nuovo “passo” dato all’azione italiana sul terreno (non senza polemiche, seppur meno di quanto ci si potesse aspettare) con la Folgore coinvolta in sei mesi in più “contatti”, alias combattimenti, di tutti i contingenti militari italiani che l’hanno preceduta, messi insieme. In questi mesi, vista anche la popolarità dei parà, il mondo politico ha gareggiato nel portare la “vicinanza” del Paese alle truppe sin dall’inizio della missione; un fatto nuovo nel panorama italiano, c’è poco da dire (tema a parte resta la capacità di affrontare in profondità il dibattito sull’afghanistan del mondo politico nostrano, tutto).
Un fatto nuovo è stata anche la cerimonia di “coming home”, del saluto per il ritorno a casa della brigata sabato scorso a Livorno, coincisa quest’anno con il 67esimo anniversario della battaglia di El Alamein e con il cambio di comando, dal generale Rosario Castellano che abbiamo conosciuto in questi mesi di impegni afghani, dove ha comandato l’RC-West, al generale Federico D’Apuzzo, anch’egli dai recenti trascorsi afghani dove fino a pochi mesi fa è stato consigliere militare alla nostra ambasciata a Kabul. Per la cronaca, entrambi campani.
Definisco un fatto nuovo la festa del 14 novembre, per via delle sue dimensioni (la cerimonia si è svolta allo stadio di

Livorno per poi continuare sul lungomare) e la partecipazione sia di parà (reduci ed ex inclusi) che di pubblico, un qualcosa molto vicino alla tradizione americana di radicamento sul territorio dei diversi corpi militari, direi molto inusuale per il nostro paese. Personalmente è stata l’occasione per rivedere “senza giubotto ed elmetto” (aggiungerei anche sane e salve) molte persone con le quali ho lavorato in questi mesi sul campo, in condizioni non sempre facili ma devo dire sempre ricevendo una grande collaborazione. Chissà se, alla luce di questi elementi di novità, in futuro in Italia si potrà affrontare in maniera laica il tema del rapporto militari-società e forze armate-politica – è una speranza che coltivo da quando mi occupo, via Afghanistan, anche di militari…
Per un breve reportage fotografico sulla festa vedi qui
La battaglia di Parmakan
Il link all’edizione integrale del Tg3 delle 14.20
Il link al servizio ripreso da Repubblica.it
Il link al servizio ripreso da Corriere.it
Al Tg3 delle 14.20 di oggi è andato in onda un mio pezzo realizzato da Herat nei giorni scorsi con immagini esclusive da me ottenute da fonti non ufficiali. Le immagini documentano la battaglia del 23 e del 24 settembre scorsi nella Zyrko valley, distretto di Shindand, la parte più meridionale e più rischiosa della provincia di Herat. Una battaglia avvenuta in episodi distinti, sostanzialmente nella zona del villaggio di Parmakan e che ha visto impegnati i parà della folgore.
Nella valle si produce la maggior parte dell’oppio dell’Afghanistan occidentale (che è sostanzialmente una regione poppy-free), la Zyrko valley è inoltre una zona di etnia pasthu, tra le cui file la guerriglia è molto radicata. Una valle dove sin’ora non si avventuravano che le forze speciali, soprattutto americane. Nella zona, tra l’altro, da oltre due anni, si prova a costruire un ponte che sarebbe strategico per la mobilità nell’area.
Da luglio il generale Castellano, con l’obiettivo di portare la presenza del governo di Kabul nell’area (dove tra l’altro a breve si rafforzerà la presenza militare italiana e non, vedi questo post di qualche giorno fa) vi ha schierato la task force elettorale, un pugno di uomini e donne che stanno lavorando intensamente nell’area al comando del Tenente Colonnello Alessandro Abamonte.
Le immagini mostrano la risposta al fuoco, con le mitragliatrici dei Lince, i fucili d’assalto in dotazione personale ma anche con panzer faust (una sorta di rpg) e mortai; si concludono con alcune scene dell’evacuazione medica dei feriti in elicottero.
AFGHANISTAN: SUL TG3 LA BATTAGLIA DEGLI ITALIANI A PARKAMAN
(ANSA) – ROMA, 6 OTT – Militari italiani in battaglia in Afghanistan. Il Tg3 ha mandato in onda un servizio con immagini
esclusive, ottenute da fonti non ufficiali, dei combattimenti che i parà della Folgore hanno sostenuto il 23 e il 24
settembre nella Zirko Valley, nel distretto occidentale di Shindand.
Il filmato, in particolare, è stato girato il 23 nei pressi del villaggio di Parmakan, dove gli italiani sono finiti sotto
attacco. Si vedono i blindati Lince fermi ai margini di un pianoro. Dall’altra parte un nemico invisibile, nascosto tra la
vegetazione, ma che spara con tutti i mezzi a disposizione: kalashnikov, razzi rpg, mortai.
Gli italiani rispondono e il crepitio degli spari è la colonna sonora del video. Quella battaglia, in un’area dove si
produce la maggior quantità di oppio dell’Afghanistan occidentale, dura due ore.
Sparano i mitraglieri sulle torrette dei Lince, sparano i loro compagni a terra con i ‘panzerfaust’: non c’é rischio di
fare vittime civili, la zona lì intorno è disabitata.
In quei due giorni di combattimenti nella Zyrko valley tre militari italiani sono rimasti leggermente feriti: uno il 23,
colpito a un gomito mentre si trovava al suo posto di mitragliere in ralla, e due il 24, uno ferito a una mano e
l’altro al collo. Nel servizio di Nico Piro si vede anche l’evacuazione di questi parà in elicottero, tra una nuvola di
polvere e sabbia.
APCOM Afghanistan/ Tg3 manda in onda battaglia della Folgore a Parkaman
Attacco talebano con razzi e lanciagranate, evacuazione feriti
Roma, 6 ott. (Apcom) – Una vera e propria battaglia fra parà della Folgore e talebani nel distretto di Shindand, la parte più pericolosa della provincia di Herat in cui è schierata la maggior parte dei militari italiani: è l’esclusiva del Tg3 mandata in onda oggi e relativa a combattimenti dello scorso 23 settembre.
Le immagini del servizio di Nico Piro, girate nei pressi del villaggio di Parkaman, sono state ottenute da fonti non ufficiali: i paracadutisti vengono attaccati dai miliziani con kalashnikov e razzi rpg e mortai in una zona stepposa, e si scatena una vera e propria battaglia. I soldati italiani sono costretti infatti a rispondere con mitragliatrici e anche con i lanciagranate ‘Panzerfaust’ e possono farlo senza rischi per la popolazione civile: la zona per fortuna è disabitata.
I militari italiani nei blindati lince combattono per circa due ore contro i nemici, e gli scontri si ripeteranno il giorno dopo: la zona, nota come Zirko Valley, è una delle più strategiche perché da qui viene la maggior della produzione di oppio dell’Afghanistan occidentale con cui i talebani si finanziano.
Per questo la coalizione Nato-Isaf sta cercando di ottenerne il controllo. E il generale Rosario Castellano, comandante della Regione Ovest Isaf sta utilizzando i parà della task force inviata per le elezioni.
Nei combattimenti di quei giorni vengono feriti tre parà italiani, per fortuna tutti in modo lieve: nelle immagini si vedono due di loro, colpiti alla mano e al collo, mentre sono evacuati in elicottero.
Due giorni da dimenticare
Il luglio del 2009 in Afghanistan verrà ricordato come il mese peggiore dalla caduta dei talebani per le truppe occidentali, in particolare per britannici e americani. Un primato triste che si è consumato tra il 25 e il 26 luglio mentre la città di Khost (nell’est del paese al confine con il Pakistan) era sotto attacco combinato di kamikaze e guerriglieri, un candidato alle elezioni presidenziali veniva attaccato nella (un tempo tranquilla) provincia di Kunduz e gli italiani finivano due volte sotto attacco a poche ore di distanza.
Con le ultime vittime di questa macabra contabilità, i britannici uccisi sono ormai 21 dall’inizio di luglio (su un totale di 185 dal 2001) mentre le vittime americane sono arrivate ormai a quota 39 (su un totale di 667). A luglio i militari occidentali uccisi sono ormai 68 (compreso l’italiano Alessandro Di Lisio) e il mese non è ancora finito…Numeri, purtroppo, fatti volare sia dall’offensiva anglo-britannica nell’Helmand che dal generale incremento degli attacchi della guerriglia in tutto il paese in vista delle elezioni. Mentre in Gran Bretagna si discute ormai non solo del costo in termini di vite umane ma anche del costo economico della guerra afghana, i britannici continuano a morire per colpa di mezzi inadeguati come i semi-blindati Viking o le Land Rover Snatch ottime per le molotov di Londonderry non per le IED talebane.
Sugli episodi che hanno riguardato gli italiani, provo a dare qualche dettaglio in più. Sabato 25 luglio i nostri militari sono stati attaccati in due episodio distinti (vedi il servizio dal Tg3 delle ore 14.20 del giorno successivo) riportando tre feriti (cinque in realtà considerando i due militari non ospedalizzati visto la lieve entità delle ferite). Il primo nell’ormai “solito” distretto di Bala Baluk dove una pattuglia mista bersaglieri (1mo reggimento) e parà (187esimo) è stata costretta ad una battaglia durata cinque ore e conclusasi con gli interventi degli elicotteri d’attacco Mangusta in una zona dove è impossibile utilizzare copertura aerea dei jet salvo mettere in conto vittime civili (ricordiamo il drammatico bombardamento americano in questa zona ai primi di maggio, il peggio “incidente” del genere di sempre). Nei combattimenti è rimasto ferito un bersagliere. Un attacco del genere non accadeva dall’11 giugno, data di una massiccia e ben coordinata imboscata contro gli italiani che sembrava aver fatto desistere i talebani da attacchi del genere ripiegando sui i più semplici attacchi IED. Cosa significhi tutto ciò è difficile da capire anche se viene da pensare a nuovi rinforzi, talebani in fuga dal sud che si rifugiano e si riorganizzano a Farah.
Il secondo attacco è avvenuto ad Adraskan, mezz’ora di auto a sud da Herat, una località lungo la ring road dove i carabinieri hanno una base e svolgono un programma (pubblicamente lodato da Petraeus) di addestramento di un particolare corpo della disastrata e corrotta polizia afghana. In quella zona stava transitando un convoglio di Omlt (i consiglieri militari italiani che addestrano l’esercito aghano, in questo turno di dispiegamento parà della Folgore) quando, era quasi sera, è esplosa una moto lasciata lungo il ciglio della strada e carica di esplosivo. Ad attivarla un comando a distanza. A minimizzare i danni (due i militari lievemente feriti dal ribaltamento del mezzo) sono stati il blindato Lince e la bravura degli autisti (lo racconto per esperienza personale avendo viaggiato con loro decine di volte) che guidano al centro della carregiata, cambiano traiettoria, si allontanano da ogni tipo di possibile pericolo (che in Afghanistan può essere anche solo qualcuno in bici con una teiera sul manubrio) cambiano strada ad ogni blocco del traffico e sono pronti a sterzare bruscamente quando c’è da evitare lo speronamento di un kamikaze.