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Per un pugno di pistacchi

Kabul, malintesa modernità np© 2010
Kabul, malintesa modernità np© 2010

 

Non so se sia illegale, in America lo sarebbe stato di sicuro, in Italia non so. Non me l’hanno chiesto in aereoporto, non me lo sono chiesto nemmeno da solo, per distrazione più che altro. Dal mio ultimo viaggio afghano ho riportato a casa un paio di chili dei miei pistacchi preferiti. Comprati da Salahuddin, nel suo negozio stracarico di frutta secca, pistacchi e mandorle nel cuore di Shar-e-Now a Kabul.
I pistacchi afghani sono magici, ogni volta che entri in casa – anche in quelle più povere – ti aspettano a terra in un piccolo vassoio assieme all’uva passa e a qualche caramella confezionata in Pakistan; novità recente, “del benessere” che ha soppiantato le caramelle artigianali vendute dai carretti per strada fino a qualche anno fa. Mentre la malintesa modernità segna le strade della capitale  assieme ai cantieri della speculazione edilizia, i pistacchi afghani vengono dal nord del Paese. Io amo quelli della provincia di Baghdis, dove crescono spontanei e sembrano quasi “foreste”. Sono più buoni di quelli iraniani che si riconoscono per la pennellata di giallo (zafferano?) sul guscio, qualcuno mi ha detto che una volta sono stati persino tra i protagonisti di Terra Madre a Torino. I pistacchi di Bagdhis costano più di quelli iraniani, devi insisterli per averli perchè si vendono con più difficoltà.
In Italia, li sguscio, li lavo e butto via una tonnellata di terra rossa, la polvere afghana che penetra dappertutto. Li offro agli amici o ci faccio un pesto che incanta tutti. Non sono salati i pistacchi afghani ma hanno più carattere, un gusto delicato ma più deciso di quelli italiani e mediterranei in genere, tanto che per un dolce non li userei mai. Insomma, sono quasi la sintesi di un Paese.

Che c’entra tutta questa storia sui pistacchi afghani con l’Afghanistan? Con la guerra? Con il corano bruciato? Con le sofferenze di un intero popolo? Beh, c’entra nella misura in cui a volte voglio pensare al Paese più bello del mondo per la sua bellezza, per l’ospitalità della sua gente, per i sapori regalati dalla fatica su terra desertica anche quando è fatta di pietre e non di sabbia. A Baghdis, c’è Bala Morghab, il fronte nord degli italiani, di quella provincia sentiamo parlare solo per i combattimenti non per “tesori” come questi. In quei pistacchi forse c’è una speranza per l’Afghanistan, come c’è nello zafferano, nei semi di sesamo, nei melograni, in un’agricoltura capace di ricostruire l’immagine di un Paese oltre che di sfamarlo.

Idioti transoceanici

Anche a Kandahar arriva l’onda di odio anti-occidentale che sta scuotendo l’Afghanistan. Una decina i morti, diversi i feriti, i giornalisti aggrediti e tenuti a distanza dal corteo che stamane ha attraversato la città patria del movimento talebano. Una nuova, probabilmente non l’ultima, manifestazione islamista come quella di ieri a Mazar-i-Sharif una delle città più tranquille dell’Afghanistan dove pero’ la folla inferocita ha dato l’assalto alla locale sede dell’Onu, quattro guardie – esperti gurka nepalesti – travolti dai dimostranti, uccisi come i tre funzionari delle Nazioni Unite, un norvegese, un romeno, uno svedese. La polizia che spara sulla folla e fa altre vittime, almeno cinque e diversi feriti. E’ il peggior attacco di sempre contro l’Onu in Afghanistan, persino peggiore dell’attacco alla foresteria di Kabul nell’autunno del 2009.

A scatenare questa violenza la notizia di un pastore americano, esponente di una chiesa minore (fatta in casa – in America si può), che sulla scia degli annunci fatti dal pastore Terry Jones in settembre, ha processato, condannato e bruciato una copia del Corano. E a chi lo accusa di aver causato quelle vittime oggi Jones risponde, non è colpa mia ma solo dello spirito violento della religione islamica.
Una storia che ci conferma come la stupidità bigotta che abita nella più remota provincia americana possa fare danni incalcolabili anche oltreoceano, a migliaia di kilometri. Ci dice anche un’altra cosa: fermo resto che la dinamica dell’assalto mi sembra ancora molto strana e che ci potrebbero essere stati errori nella sicurezza del compound Onu, se fosse vero che i talebani hanno agito mescolandosi alla folla si confermerebbe la loro ormai ridotta capacità di colpire obiettivi militari limitandosi a “soft target”. Stamane, inoltre, hanno provato a colpire camp Phoenix, la base americana nella città di Kabul, con un commando suicida vestito in burqa. Assalto fallito.