Ecco i prossimi appuntamenti con “Afghanistan, Missione Incompiuta”, si torna a Cagliari e a Roma, in due contesti totalmente nuovi in questo (per me entusiasmante) tour con il libro.
8 gennaio Cagliari – nell’ambito del festival Sequenze di Tempo, Maria Dolores Picciau presenta l’incontro con me e Filippo Golia, reporter del Tg2, parleremo di Afghanistan, di epidemie, di guerre e di aree di crisi. A seguire la proiezione di “Killa Dizez, vita e morte al tempo di Ebola”.
L’appuntamento è alle ore 18 nello storico Palazzo Siotto (via dei Genovesi 114). L’ingresso è gratuito.
11 gennaio Roma – La Linea d’Ombra | Lettori, sogni, autori | Storie transitorie in una casa di città.
Nel panorama spesso sconfortante dei “salotti romani”, quello di Francesca Piro (l’omonimia è solo una coincidenza della grande Grecia) è un’eccezione: un salotto letterario di altri tempi dove si incontrano autori e lettori in un clima intimo e personale.
I posti sono ovviamente limitati, l’evento è gratuito, per prenotarsi bisogna inviare una mail a lalineadombra.roma@gmail.com
Appuntamento alle 18.30 per un aperitivo, alle 19 l’incontro che sarà in diretta anche sulla pagina FaceBook www.facebook.com/lalineadombra.roma
Come sempre il mio grazie va a chi organizza eventi piccoli e grandi non solo perché mi danno l’occasione di parlare del mio libro ma soprattutto perché creano occasioni di incontro su temi spesso dimenticati dai media e dalle istituzioni ma sui quali c’è una gran voglia di informarsi.
Copie di “Afghanistan: missione incompiuta 2001-12015” saranno disponibili in entrambi gli incontri
La settimana scorsa i parà della Folgore hanno cominciato a lasciare l’Italia, destinazione Herat. Tra pochi giorni ci sarà il TOA ovvero il trasferimento del comando dagli alpini appunto ai paracadutisti. L’Afghanistan è stato mediaticamente fagocitato dalle vicende libiche, semplicemente non se ne parla più, “non c’è spazio in pagina”; del resto molti dei giornalisti internazionali normalmente impegnati in quel Paese li ho rivisti al confine libico-tunisino o li leggo/vedo da quel di Benghazi.
Sta capitando sui media di tutto il mondo ma in Italia non era poi così difficile dimenticarsi dell’Afghanistan, vista la già scarsa e intermittente attenzione riservata dalle testate di casa nostra alla missione di un Paese a tutti gli effetti in guerra. Eppure questo semestre di missione per i parà sarà molto duro, con le loro capacità militari – che hanno già dimostrato nel 2009 – sono chiamati a mettere mano ad una serie di problemi non da poco: a cominciare dal Gulistan e da tutto l’area dell’ex-opbox Tripoli nella parte sud-orientale della provincia di Farah, senza dimenticare la turbolenta Bala Morghab. Questa volta, per giunta, conoscono meglio il terreno e quindi è presumibile che si muoveranno più in profondità e con più sicurezza anche verso obiettivi e no-go zone (per gli occidentali) ancora “intatte”.
Il tutto in un quadro nuovo, con l’incognita della sicurezza ad Herat in fase di passaggio alle forze afghane, un quadro fluido che libererà altre truppe per l’impiego in aree più calde rispetto alla tranquilla Herat ma non esclude che gli italiani avranno occasione di correre in supporto di ANA e ANP in caso di grossi guai nella capitale provinciale.
Saranno sei mesi caldi, cominciano nel silenzio – con sommo sollievo, ipotizzo, del mondo politico – ma è un silenzio che non durerà. Auguri ai parà. Auguri all’Afghanistan.
Passaggio di consegne ad Herat (foto ufficio Pio Rc-West)
E’ stato un passaggio di consegne tra alpini, quello di Herat. Da oggi la regione ovest della missione Isaf, quella a comando italiana, è “affidata” alla Brigata Julia, che purtroppo ha già perso quattro uomini, pochi giorni fa in Gulistan, dispiegati per coprire la nuova task force south-east, in una sorta di “anticipo” dello schieramento odierno. La Taurinense lascia dopo sei mesi durissimi, impegnata nel semestre caldo meteorologicamente che è poi quello più “caldo” anche in termini di combattimenti, vecchia regola quasi mai smentita in Afghanistan. Gli alpini della Taurinense hanno subito duecento attacchi, più di uno al giorno, sessantuno gli ordini neutralizzati ma che altri cinque sono esplosi e hanno ucciso in due occasioni. “La minaccia è stata neutralizzata” in diverse occasioni, che tradotto dal glaciale gergo militare significa che sono stati uccisi un numero imprecisato (perchè non reso noto) di ribelli. Nei sei mesi peggiori di sempre per la missione italiana in Afghanistan, sono dieci i nostri soldati uccisi. Purtroppo una triste e matematica conferma dell’andamento di tutta la missione Isaf che nel 2010 ha perso più uomini che mai. Di seguito il comunicato finale sulla missione diffuso oggi dal Maggiore Mario Renna:
HERAT, Afghanistan (18 ottobre) – La brigata alpina Julia ha assunto oggi la guida per i prossimi sei mesi del Regional Command West, il comando NATO responsabile per la regione occidentale dell’Afghanistan forte di oltre 7000 militari di undici nazioni, tra cui 3.600 italiani, metà dei quali fanno parte del corpo degli Alpini.Il generale Marcello Bellacicco ha ricevuto oggi la bandiera della NATO dalle mani del generale Claudio Berto, comandante della Taurinense, alla presenza del Sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto e del comandante dell’ISAF Joint Command, il generale statunitense David Rodriguez.Nel periodo tra aprile e ottobre di quest’anno il contingente internazionale guidato dal generale Claudio Berto ha operato su un’area grande quanto l’Italia del nord, popolata da circa 3 milioni di persone, con molti risultati di rilevo all’attivo: zone un tempo terreno d’azione dagli insorti oggi pacificate e ripopolate, centinaia di progetti di sviluppo realizzati, migliaia di poliziotti e soldati afgani addestrati, centinaia di ordigni disinnescati dal genio.
Le operazioni sono state condotte in collaborazione con le forze di sicurezza locali secondo un approccio italiano che ha visto mettere la popolazione afgana al centro degli sforzi, coinvolgere le comunità e i leader locali nell’affrontare i problemi legati alla sicurezza e allo sviluppo, realizzare i progetti di ricostruzione tramite risorse locali, usare flessibilità senza rinunciare ad essere determinati, adoperare le armi solo se attaccati e quando necessario.A nord, a Bala Murghab il 2° reggimento Alpini, insieme a forze statunitensi e afgane, è stato protagonista della costruzione di una ‘bolla di sicurezza’ di 20 km di estensione che ha difeso da attacchi esterni mediante un sistema di capisaldi e trincee, consentendo il ritorno alla normalità per 8000 persone fuggite a causa degli insorti.Parallelamente, all’interno della ‘bolla’ è stato lanciato un programma internazionale di aiuti a sostegno della popolazione, che ha risposto con favore al nuovo corso, facendo tra l’altro registrare alle elezioni politiche dello scorso 18 settembre uno dei tassi di affluenza più elevati della provincia.Al centro e a sud del’area di responsabilità, le unità del Regional Command West hanno operato a fianco delle forze di sicurezza afgane per estendere il raggio d’azione del governo, in particolare nei distretti remoti delle provincie di Herat e Farah. Il 3°, il 7° e il 9° reggimento Alpini hanno prodotto insieme alla polizia e all’esercito di Kabul uno sforzo puntuale e costante per contrastare la presenza degli insorti e proteggere la popolazione. Gli specialisti del genio hanno neutralizzato e distrutto centinaia di ordigni, spesso segnalati dalla popolazione afgana alle forze di polizia locali.
Nei sei mesi del mandato della Taurinense alla guida di RC-W, i quattro PRT presenti nelle province occidentali di Badghis, Farah, Ghowr ed Herat hanno condotto 384 progetti a breve e medio termine che sono stati integrati nei piani di sviluppo delle autorità governative locali. Di speciale importanza è stato l’impegno nel sostenere i programmi governativi di reintegrazione di ex-combattenti nelle comunità di provenienza, che stanno coinvolgendo decine di insorti orientati a deporre le armi.In particolare, il PRT Italiano di Herat ha condotto oltre 130 progetti per un totale di 18 milioni di Euro nei settori dell’istruzione, della sanità, delle comunicazioni e dello sviluppo socio-economico della provincia, triplicando il budget del Ministero della Difesa mediante l’accesso a fondi esteri.
Sul fronte dell’addestramento e della preparazione delle forze di sicurezza afgane, i Carabinieri hanno lavorato intensamente ed efficacemente brevettando oltre 4000 reclute dell’Afghan Civil Order Police, la polizia afgana con caratteristiche spiccatamente militari addestrata presso i centri di Adraskan ed Herat gestiti dai militari dell’Arma. In vista di una sempre maggiore autonomia nel training è stato inoltre lanciato un programma di formazione degli istruttori afgani.La Task Force Grifo della Guardia di Finanza ha contribuito alla formazione specifica dei quadri della polizia di frontiera e delle dogane, impegno di una certa importanza visto che la regione ovest presenta confini di migliaia di kilometri con l’Iran e il Turkmenistan.
L’ottima riuscita della partnership con il 207mo Corpo d’Armata dell’esercito afgano è stata facilitata dall’opera dell’Operational Mentoring and Liaison Team, l’unità multinazionale a guida italiana che quotidianamente ha accompagnato in operazione e in addestramento tutti i battaglioni afgani schierati nell’ovest del Paese. Un’attività analoga è stata sistematicamente svolta dai Carabinieri del Police Mentoring and Liaison Team nei confronti del comando del 606mo Corpo della polizia di stanza a HeratTutte le operazioni si sono avvalse dell’apporto di velivoli ad ala fissa e rotante inquadrati in task force statunitensi, spagnole e italiane.
Di notevole importanza è stato il contributo della Joint Air Task Force (JATF) dell’Aeronautica Militare e della Task Force Fenice dell’Aviazione dell’Esercito, che, mettendo in campo una grande gamma di capacità, hanno prodotto centinaia di missioni di ricognizione, scorta, trasporto, aviolancio e osservazione. Gli AMX e i Predator dell’Aeronautica hanno giocato un ruolo di peso nella protezione dei convogli e nel contrasto alla minaccia degli ordigni improvvisati, mentre i Mangusta dell’Esercito hanno svolto un compito essenziale nell’appoggio alle truppe a terra, che sono state rifornite con regolarità grazie ai C130J della JATF e ai CH47 di Fenice, che con gli AB205 e 412 ha inoltre assicurato missioni di collegamento e scorta.Il generale Claudio Berto ha ricordato il sacrificio dei dieci militari italiani caduti in Afghanistan negli scorsi sei mesi, rimarcando “l’intensità delle attività operative e il valore aggiunto dell’approccio italiano che coniuga con successo sicurezza e sviluppo, al servizio del popolo afgano nel processo di normalizzazione del Paese, senza trascurare le comunità e le aree meno avvantaggiate”.
Sembra un dejavù, eppure è tutto vero. Era circa un anno fa quando dalla Casa Bianca arrivava la scelta di fare fuori il capo della missione militare in Afghanistan, il generale McKiernan dopo l’ennesima strage di civili (avvenuta nell’italiano comando di nord-ovest). Obama voleva cambiare pagina, voleva persone nuove al comando capaci di dare un segno di discontinuità e attuare una nuove strategia per l’Afghanistan, la sua – quella sbandierata in campagna elettorale. Ecco perchè decise di fare come Truman durante la guerra di Corea e sostituì, senza troppi complimenti, McKiernan con McChrystal (vedi qui). Oggi, tredici mesi dopo, è McChrystal ad essere rimosso o meglio a vedere accolte “le sue dimissioni”. Eccole nella lettera che il comando Isaf da Kabul si è affrettato a distribuire nel rispetto della forma ma di fronte ad una sostanza che è ben diversa:
Statement by General Stanley McChrystal
This morning the President accepted my resignation as Commander of U.S.and NATO Coalition Forces in Afghanistan. I strongly support thePresident’s strategy in Afghanistan and am deeply committed to ourcoalition forces, our partner nations, and the Afghan people. It was outof respect for this commitment — and a desire to see the missionsucceed — that I tendered my resignation.
It has been my privilege and honor to lead our nation’s finest.
Il motivo della cacciata di McChrystal, che probabilmente lo porterà alla pensione visto che la sua carriera militare è virtualmente finita, è in questo articolo (The Runaway General) pubblicato il 22 giugno dal magazine americano “Rolling Stones” dopo un mese trascorso al seguito del generale da Michael Hasting (suo il non-imperdibile libro autobiografico ILost My Love in Baghdad: A Modern War Story). Un articolo che ha il merito di mettere tra virgolette, ovvero con citazioni testuali, le tensioni nel vertice che dovrebbe governare la strategia afghana alias le già note e/o sospettate tensioni tra McChrystal e il vicepresidente Biden, l’ambasciatore americano Eikenberger e Holbroke l’inviato di Obama per l’area Af-Pak. Cose intuite e intuibili da mesi ma è tutta un’altra storia leggerle in questa esclusiva corrispondenza dall’interno del ristretto gruppo di lavoro del generale più potente del mondo (ormai ex). Senza considerare l’aggiunta delle critiche al presidente (“comandante in capo” di tutti i militari americani, McChrystal incluso). I modi spicci e le frasi dove “shit” diventa il sinonimo pressochè di qualsiasi cosa, fanno parte della cultura dalla quale proviene McChrystal – quella delle forze speciali e – francamente – non mi fanno molta impressione anche se hanno sollevato il grosso del clamore negli Stati Uniti molto attenti alla forma quando è sinonimo di disciplina. Il punto critico dell’intera vicenda, a mio avviso, è quello di un quadro dove la Casa Bianca e i suoi uomini sono ridotti a controfigure (ben al di là dell’immaginabile) e “tutto il potere” è finito nelle mani di un solo uomo che lo utilizza con la spregiudicatezza di una “special op forces” ma senza la statura istituzionale dovuta alla gravità del caso.
Inattesa (vedi per esempio qui tra gli articoli della vigilia) ma inevitabile la rimozione di McChrystal da parte di un presidente mai apparso così debole (complice il caso BP e le passeggiate solitarie sulle spiagge del Golfo). Il punto però adesso è un altro ovvero cosa sarà della strategia afghana di McChrystal? Obama si è affrettato a dire che non cambierà (vedi qui) ma McChrystal non ha solo comandato la missione afghana come accaduto ai suoi predecessori, l’ha anche profondamente rimodellata nel bene e nel male. Per esempio, aumentando la presenza sul territorio e quindi i combattimenti, restringendo in maniera estrema le norme sui bombardamenti aerei e mettendo al centro di ogni azione, il ruolo della popolazione locale. Insomma, la sostituzione di McChrystal non è cosa facile anche se non è di certo di basso profilo la scelta del suo sostituto, il generale Petraeus, il re delle flessioni risbattuto da Tampa, Florida, nel mezzo di un nuovo caos come quello afghano ben diverso dal conflitto iracheno da cui era uscito “vincitore”. Petraeus è in parte ispiratore della strategia di McChrystal ma non sarà facile per lui indossare un abito su misura, cucito per qualcun altro. Tutto ciò non farà altro che sottrarre tempo a scelte cruciali che dovranno essere prese a breve, a cominciare da una valutazione obiettiva di questi mesi di aumento delle truppe e della presenza militare straniera, voluta proprio da McChrystal e in qualche modo estorta alla Casa Bianca con la vicenda di quel rapporto segreto del generale recapitato al Washington Post – vicenda che oggi assume tutto un altro valore.
La maledizione dell’Afghanistan sembra colpire ancora, qualunque Paese straniero si ritrova impegnato in quel Paese finisce con il ritrovarsi destabilizzato al suo interno
Un’ultima osservazione, il lungo articolo di RS merita di essere letto anche perchè racconta aspetti sin’ora inediti del personaggio McChrystal, della cui carriera si sa molto poco; carriera solitamente aggettivata come shady – per via del suo ruolo al vertice delle forze speciali – è in buona parte coperta da quello che in Italia chiameremmo segreto di Stato.