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Siria, la guerra in breve

Chi combatte in Siria – brevissima guida al conflitto from Nico Piro on Vimeo.

Ecco una breve (anzi brevissima) guida al conflitto in Siria, al netto delle semplificazioni e tagliando sulle sfumature di un conflitto che è tanto complesso da far impallidire quello balcanico e meriterebbe un trattato di centinaia di pagine. Di sicuro non troverete tutto quello che cercate, ma spero che possa essere un contributo per un primo orientamento.

A conferma di questa complessità, il giorno dopo si è aggiunto un altro tassello al mosaico: la svolta filo-turca e anti-curda di Assad, che stava rischiando di scatenare anche un conflitto con gli Usa.

Assad bombarda i curdi e sfiora la guerra totale con gli Usa from Nico Piro on Vimeo.

Prove di autodifesa

Cerimonia di fine addestramento Kabul 22 nov 09 (foto USFA)
Cerimonia di fine addestramento Kabul 22 nov 09 (foto USFA)

Mentre a Kabul si inaugura il nuovo centro per la formazione delle truppe afghane e il programma di addestramento accelerato per i soldati dell’Ana dà i suoi primi frutti (obiettivo 138mila unità entro il 2010), da Kunduz e da Nangharan arrivano notizie su iniziative di autodifesa “popolare”. Iniziative che potrebbero essere una speranza quanto una catastrofe per l’Afghanistan in preda al caos della guerriglia (purtroppo nel paese le alternative sono sempre estreme).

Nel nord del paese, si segnala (vedi questo lancio della Afp) la nascita di milizie spontanee, al solito su base di villaggio od etnica, per contrastare quello che è il nuovo fronte talebano che punta a bloccare la rotta logistica (i flussi di rifornimenti per le truppe occidentali dalle ex-repubbliche sovietiche) e che ha trasformato la un tempo (pochi mesi fa) pacifica provincia di Kunduz in una “no-go zone”. L’esperimento sta riuscendo bene dal punto di vista del contenimento dei talebani, male per le sue conseguenze (in pratica stanno nascendo nuovi signori della guerra che battono cassa sulla popolazione e i transiti) come spiega questo articolo del NyTimes.

In realtà l’articolo del quotidiano americano descrive principalmente un’altra micro-storia ma che potrebbe essere molto interessante, quella degli anziani della valle di Shinwari, nel distretto di Achin (sud-est al confine con il Pakistan). Anziani che dopo una lite con i talebani hanno preso le armi e (all’afghana) hanno organizzato i compaesani per difendersi. Un caso locale che ha spinto le forze speciali americane a pensare globale e ad intervenire locale fornendo approvigionamenti alla milizia che in futuro dovrebbe essere addestrata e dotata di radio.

La storia è emblematica perchè nella remota valle non c’è presenza del governo afghano (nè polizia, nè esercito ed è immaginabile che se ci fossero truppe straniere, la loro presenza scatenerebbe nuovi conflitti) ed è immaginabile che non ci sarà per anni visto che, in particolare la polizia, è indietro con l’addestramento delle nuove unità. E’ emblematica per la sua natura “micro”, iperlocalistica. In Afghanistan non ci sono tribù centralizzate come quelle sunnite in Iraq e quindi non basta un accordo per pacificare un’area, a volte ce ne vogliono centinaia.
Inoltre è evidente che la piccola dimensione può aiutare a non distogliere truppe per controllare aree inaccessibili e dal terreno montagnoso (che a parità di superficie moltiplica le forze necessarie) e soprattutto può evitare che crescano nuovi signori della guerra.

Ricordiamo che il generale McKiernan, precedente comandante delle truppe americane ed Isaf nel paese, aveva lanciato un progetto del genere (tra grandi polemiche e discussioni) nel gennaio scorso nella provincia di Logar, esperimento di cui si è persa traccia.

Armi “smarrite” e lo spettro delle milizie locali

Come accaduto in Iraq, anche in Afghanistan si sono “perse” migliaia di armi destinate all’esercito (ANA) e alla polizia (ANP) che sono molto probabilmente finite nelle mani della guerriglia. Lo si scopre grazie al rapporto di una commissione governativa (statunitense) di controllo (qui per leggerlo in versione integrale). Per la precisione si è persa traccia di oltre 220mila armi, in prevalenza armi leggere ma anche mortai.

Della loro distribuzione era incaricato l’esercito americano (caricato dell’ennesimo compito non-combat, al quale evidentemente non era preparato).

 

Metto questa notiziainsieme  ad un’altra, quella della formazione delle milizie locali, che tante preoccupazioni sta scatenando in Afghanistan, perchè mi sembra evidenzi bene le insidie che si nascondono dietro la formazione di forze di sicurezza ufficiali, figuriamoci di quelli “informali”. L’idea della Afghan Public Protection Force, sostenuta e finanziata dagli americani (che si occuperanno di divise e di…armamento), è stata presentata qualche giorno fa dal Ministro degli Interni a Kabul. E’ evidentemente il tentativo di esportare in Afghanistan, il modello degli “awakening councils” iracheni che tanta parte hanno avuto, per esempio, nella stabilizzazione del “triangolo sunnita”. Un’idea non casualmente supportata per l’Afghanistan dal generale Petraeus che della strategia irachena è stato protagonista.

 

In un territorio vasto, orograficamente difficile e privo di infrastrutture di comunicazione come quello afghano, semplicemente, ci troppo pochi poliziotti e militari per difendere i villaggi e le zone rurali. Da qui l’idea di affidarsi a milizie locali, leggasi tribali che di per sè sono stanziali sul territorio. Perchè questa idea fa paura? Perchè le aree dove la sicurezza è più critica sono quelle dominate dall’etnia Pashtu (tra le cui fila è nato e si è radicato il movimento Talebano), armare milizie pashtu significherebbe creare le condizioni per una nuova guerra civile, lungo le faglie delle divisioni inter-etniche. Tra l’altro c’è da ricordare (i precedenti in questo articolo della BBC) che già i sovietici provarono a servirsi delle “arbakai” le milizie pashtu, a risultati inizialmente positivi seguirono poi effetti decisamente negativi.


L’Afghanistan è già di per sè, un paese già inondato di armi che – per orografia e condizioni generali – sono patrimonio di ogni famiglia e dove grazie ai profitti dell’oppio e alla vicinanza di fornitori (“imitatori” cinesi e pakistani) sempre più armi stanno arrivando negli ultimi anni. Immetterne di nuove in questo circuito significherebbe esporsi al rischio di ridare fiato ai signori della guerra e alla certezza di smentire i programmi di disarmo che l’Onu dopo il 2001 ha portato avanti faticosamente e grazie ai finanziamenti della comunita’ internazionale.

Rifornimenti, aumento delle truppe, miliziani, vittime civili e…

Il-logistica
Un convoglio di camion rimasto bloccato lungo la strada tra il passo Khyber e l’Aghanistan (interrotta dopo che i talebani hanno fatto saltare uno dei suoi ponti) è stato attaccato questa mattina dai talebani pakistan, che bruciandone dieci hanno così ulterirormente ricordato ai comandi militari occidentali che la rotta dal porto di Karachi e attraverso la frontiera “Pak-Af” è ormai del tutto impraticabile peccato che garantisca il 75% dei rifornimenti alle truppe straniere nel paese. In un post di ieri l’inquadramento di una questione apparentemente solo tecnica ma che è cruciale e politica, questione aggravata dalle recenti decisioni del governo del Kyrgyzstan. Per approfondirla si può leggere questo Op-Ed del New York Times di oggi, firmato da George Friedman del gruppo di analisi Stratfor, che evidenzia come la questione si giochi tutta nei rapporti sull’asse Washington-Mosca via Nato. Dell’articolo non condivido le conclusioni (What we need in Afghanistan is intelligence, and special operations forces and air power that can take advantage of that intelligence), rimaste al 2001, alla prima enduring freedom. Nel frattempo la strategia della Economy of Force si è dimostrata fallimentare sia in Afghanistan che in Iraq.

Obama, l’aumento delle truppe e…il Pakistan
Mentre continua ad essere dato per imminente (domenica?) l’annuncio del Presidente Obama sull’invio di 3 nuove brigate in Afghanistan (circa 15mila uomini in più) ma evidentemente, il complicarsi del quadro “logistico” (e gli inciampi di Obama nel suo staff ministeriale) non aiuta queste decisioni, la testata on line statunitense Politico.com rivela in questo articolo esclusivo che al Presidente è stato consegnato un memorandum del Joint Chiefs of Staff. I più sono stati colpiti dal fatto che questo memorandum invita, di fatto, ad allargare l’area delle operazioni militari americane alle aree tribali del Pakistan (dove fin’ora hanno operato solo aerei senza pilota e i loro missili “hellfire” a caccia dei capi di Al Qaeda), aspetto sul quale Obama si è più volte detto d’accordo in campagna elettorale. Quello che mi ha colpito del documento, per la verità, è il fatto che definisce come troppo vasti gli obiettivi nel Paese dell’amministrazione Bush e piuttosto che puntare a fondare una democrazia islamico-moderata di stile occidentale in Afghanistan (obiettivo di lungo periodo) invita a concentrarsi sull’eliminazione di Al Qaida e delle sue basi, in altre parole di evitare che i due paesi (Afghanistane e Pakistan) tornino ad essere utilizzati come basi per nuovi attacchi contro l’America come accaduto in passato.

Vittime In-Civili

Sono 2.100 i civili uccisi in Afghanistan nel 2008 in relazione ai combattimenti in corso, il 40% in più rispetto al 2007 (1523 le vittime due anni fa). Il dato viene calcolato da un rapporto delle Nazioni Unite (che hanno una missione nel paese chiamata Unama – il rapporto in questione è però da attribuire ai funzionari del dipartimento diritti umani) ancora in una sua versione non definitiva. Delle 1800 vittime civili (conteggiate fino alla fine di ottobre) 1000 sono da attribuire a Talebani e signori della guerra locali, 700 alle truppe occidentali (455 delle quali uccise in raid aerei), 100 vittime sono ancora da “attribuire”. Gli operatori umanitari uccisi nel corso dell’anno sono stati 36, 96 quelli rapiti nei primi dieci mesi del 2008.

La spia “buona”
Il MOD, il ministero della difesa britannico, ha confermato le indiscrezioni di stampa circolate in questi giorni, secondo cui un ufficiale (un colonnello) dell’esercito di Londra è stato arrestato in Afghanistan, dov’era di stanza, perchè sospettato di aver diffuso dati segreti. Non è la prima volta che accade (un soldato-interprete di un alto ufficiale è stato condannato a dieci anni di carcere perchè considerato spia iraniana) ma questa volta i dati “sensibili” che sarebbero stati “spiati” sono quelli delle vittime civili, passati – questa l’accusa – ad organizzazioni per i diritti umani.

Miliziani
Mentre montano le perplessità sul progetto americano di impiegare milizie locali al fianco dell’esercito regolare (ne parleremo nei prossimi giorni), oggi il Ministro alla Difesa ha parlato di altri miliziani. In una conferenza stampa a Kabul ha dichiarato che molti combattenti integralisti si stanno spostando dall’Iraq per arrivare in Afghanistan ed unirsi ai Talebani (che vengono stimati in 15mila unità). Nel corso degli scontri dell’ultimo anno, secondo il ministro Rahim Wardak il 60% dei combattenti talebani era composto da stranieri.