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Mazzette ai talebani, ultimi sviluppi

Il Times di Londra, ieri, ha pubblicato un altro riscontro alla sua denuncia di presunti pagamenti degli italiani ai capi talebani per comprarsi un po’ di pace in Afghanistan, ecco l’articolo. Nello stesso numero di ieri del quotidiano londinese c’era anche un editoriale dal titolo emblematico (“the italian job” come il famoso film degli anni’60 su un gruppo di spericolati rapinatori). Eccone alcuni passaggi emblematici:

The Italian Government has furiously denied our report, including our statement that the US Ambassador submitted a formal complaint about Italian payments to local insurgents in Herat province. Opposition politicians in France are demanding explanations, and ought to receive them. We unreservedly stand by our account.

The Italian strategy is a scandal.

Deals that are negotiated locally cannot be deals that are negotiated separately, however. That is the route to Allied discord, disarray and unnecessary death. That is the charge against Italy’s strategy in Afghanistan. Silvio Berlusconi’s Government must answer it.

Nella giornata di ieri è arrivata anche la smentita del governo afghano ma vista la credibilità dell’esecutivo di Kabul ed i pessimi rapporti con la stampa anglo-americana, mi sembra non aiuti a fare chiarezza.

Oggi, a RaiNews24, l’autore dell’inchiesta del Times, Tom Coghlan (ringrazio la collega Celia Guimaraes per avermela segnalata) ha fornito il quadro del suo lavoro, mi sembra interessante questo passaggio:

L’informazione che abbiamo ricevuto è molto specifica, e parla di servizi segreti italiani e le nostre fonti ci hanno anche detto che l’esercito italiano non era a conoscenza di questi pagamenti e sicuramente non ne era a conoscenza il comandante italiano a Surabi come ci ha espressamente detto una delle nostre fonti, e che è un ottimo ufficiale e che l’unità di stanza a Surabi era una ottima unità, ma questi pagamenti sono stati fatti dai servizi segreti italiani con l’obiettivo di ridurre al minimo le perdite italiane perché questo era un imperativo politico.

Imperativo politico, in altre parole il quadro politico che sarebbe stato favorevole a questo presunto mercimonio ovvero le difficoltà del governo Prodi sull’Afghanistan, missione che divideva la sua eterogenea e risicata maggioranza.


Stasera intervistato
da Fabio Fazio, il Ministro La Russa ha parlato anche della denuncia del Times, ribadendo i suoi toni molto duri ecco una sintesi dall’Ansa:

“Confermo che si tratta di spazzatura – ha detto La Russa – escludo categoricamente che siano mai stati pagati talebani o
insorti”. Secondo il ministro, l’ ”equivoco” potrebbe essere nato dal fatto che ”i servizi hanno il dovere di aiutare i
nostri soldati ad avere un buon rapporto con le popolazioni locali e quindi – ha spiegato – usano anche i soldi a favore dei
capi villaggio, in modo da creare le condizioni per la ricostruzione”. “Lo fanno tutti – prosegue – e non solo e’
normale ma e’ doveroso”. Dunque, ha concluso il ministro, dietro queste notizie “credo che ci sia una volonta’ ben orchestrata di creare
dissenso, dissidio o per lo meno un po’ di frattura tra i vari contingenti, come tra quello italiano e tedesco. C’e’ chi ha
interesse che noi non ci si guardi e invece una delle cose più importanti che si e’ realizzata in Afghanistan e’ questa
coesione tra i contingenti internazionali”

Penso che siamo ancora lontani da un punto finale su questa vicenda e l’unico modo per chiarirla – a mio avviso – è opporre fatti e circostanze precise – non solo i pur apprezzabili toni duri – ai fatti, alle circostaze, alle fonti citate da parte del Times. Lo si deve ai cittadini ma in primo luogo a chi rischia la vita ogni giorno sul campo laggiù in Afghanistan.

Mazzette ai talebani, la seconda puntata

Il Times di Londra non molla, in ossequio alla sua tradizione (quella di uno dei giornali più prestigiosi ed indipendenti del mondo) pur di fronte alle smentite del governo italiano (che vi ha aggiunto una minaccia di querela), della Nato e dei diretti interessanti (i francesi); oggi il quotidiano britannico pubblica una seconda puntata (qui il link) alla sua denuncia di presunti pagamenti alla guerriglia effettuati dai servizi italiani per comprarsi un po’ di pace nelle aree di operazione delle nostre truppe.

Ieri l’articolo provava a smontare uno dei casi di maggior successo dell’Isaf in Afghanistan, quello di Sorobi (vedi la sintesi in un post di questo blog), affermando che in realtà la pace era stata comprata per giunta senza dirlo agli alleati, causando così indirettamente la strage dei parà francesi appena subentrati agli italiani nell’agosto del 2008.

Oggi, invece amplia il fenomeno estendendolo anche al Rc-West, in pratica all’area dove è concentrato il grosso delle nostre truppe con base ad Herat ma attive anche nelle due difficilissime province di Bala Morghab e Farah. Secondo l’articolo di oggi (vedi una sintesi in italiano qui):

A Taleban commander and two senior Afghan officials confirmed yesterday that Italian forces paid protection money to prevent attacks on their troops.

Mr Ishmayel said that under the deal it was agreed that “neither side should attack one another. That is why we were informed at that time, that we should not attack the Nato troops.” The insurgents were not informed when the Italian forces left the area and assumed they had broken the deal. Afghan officials also said they were aware of the practice by Italian forces in other areas of Afghanistan.

A senior Afghan government official told The Times that US special forces killed a Taleban leader in western Herat province a week ago. He was said to be one of the commanders who received money from the Italian Government. A senior Afghan army officer also repeated the allegation, adding that agreements had been made in both Sarobi and Herat.

Non sono in grado esprimermi sulle accuse del Times
(per giunta rivolte ai servizi più che ai militari italiani), di certo appaiono surrogate da fonti diverse e citano persino intercettazioni telefoniche dei servizi americani, ma è altrettanto sicuro che nell’ovest soprattutto negli ultimi sei mesi (ma ricordiamo anche la scorsa “calda” estate con l’Aeromobile nelle stesse zone) gli italiani sono stati in combattimento quasi ogni giorno, che è un elemento sicuramente contraddittorio rispetto al quadro delineato da questi articoli.

Un’osservazione personale. Fermo restando che la tentazione che potrebbe emergere è quella di derubricare tutto alla voce “pessimi rapporti tra Berlusconi e la stampa internazionale” (insomma che piuttosto di affrontare la questione si dica che è solo frutto di screzi e dispetti) e che, comunque, gli effetti sull’immagine internazionale del nostro premier (quello che lui stesso ha definito lo “sputtanamento”) dopo la vicenda escort, non aiuti a dare forza alle pur categoriche smentite governative. Secondo me il punto di tutta questa storia è però un’altro: c’è bisogno di chiarire tutto e farlo subito, non solo per motivi di decoro nazionale (…perdita della faccia…mettiamola così) ma soprattutto perchè i militati sul campo, quelli che rischiano la vita ogni giorno, possono essere seriamente penalizzati da una storia del genere se non chiarita o lasciata (italicamente) perdere per essere poi dimenticata. Chi si trova in prima linea con addosso accuse del genere rischia di non essere più considerato un buon alleato da chi combatte al suo fianco (afghani, americani, francesi, spagnoli che siano) ovvero rischia di ritrovarsi “isolato” e quindi rischia di rischiare molto di più.

Di nuovo polemiche su Sorobi

Non è una storia nuova, quella delle polemiche sull’imboscata di Sorobi e sull’attività delle truppe italiane nell’area. Nei giorni successivi alla morte dei dieci parà francesi in quell’area, in un’imboscata avvenuta tra il 18 e il 19 agosto del 2008 (la peggior perdita per l’esercito transalpino dai tempi del Libano), i media francesi sollevarono una generica polemica sulle responsabilità degli italiani (che avevano appena lasciato la zona dopo una presenza di circa sei mesi legata all’assunzione del comando della capitale Rc-C all’interno della missione Isaf) e dei loro rapporti con i guerriglieri nella zona. La polemica ora ritorna ma in maniera molto più puntuale sulle colonne del Times di Londra che in un articolo ben dettagliato e apparentemente surrogato da fonti diplomatiche e militari, accusa i servizi italiani di aver pagato la guerriglia, sostanzialmene, per “comprare” un po’ di pace nell’area. Un fatto non comunicato ai “successori” delle nostre truppe, i francesi, indirettamente esponendoli a quella tragica imboscata – questa almeno la ricostruzione del quotidiano britannico. Ecco alcuni estratti dall’articolo del London Times:

The Times has learnt that when French soldiers arrived to assume control of the Sarobi area, east of Kabul, in mid-2008, they were not informed that the departing Italians had kept the region relatively peaceful by paying local Taleban fighters to remain inactive.

Western officials say that because the French knew nothing of the payments they made a catastrophically incorrect threat assessment.

US intelligence officials discovered through intercepted telephone conversations that the Italians had been buying off militants in other areas, notably in Herat province in the far west.

In June 2008, several weeks before the ambush, the US Ambassador in Rome made a démarche, or diplomatic protest, to the Berlusconi Government over allegations concerning the tactic.

A number of high-ranking officers in Nato have now told The Times that payments were subsequently discovered to have been made in the Sarobi area as well.

Quindi, secondo il Times, la scoperta di questi pagamenti nell’area di Sorobi (si pronuncia Surobì) scatenò all’epoca un caso diplomatico e militare pur mai venuto alla luce. Durissima questa mattina la reazione del nostro governo (che – noto a margine – con il Times ha un “conto aperto” viste le recenti polemiche su Berlusconi, escort, ecc. ecc.) e l’annuncio di una querela. Per completezza di cronaca, c’è da notare che il dispiegamento a Sorobi è avvenuto a cavallo tra i due governi, è iniziato durante quello Prodi ed è terminato quando quello Berlusconi si era da poco insediato (un fatto che il titolo del Times on line prova a mettere in evidenza: Italian Prime Minister attempts to blame previous government over Taleban payments that left French troops exposed).

Per una sintesi in italiano della vicenda e per dettagli sulla polemica vedi gli articoli di Repubblica e quelli del Corriere (che tra l’altro ha diffuso in anticipo la notizia dell’articolo in via di pubblicazione). Per un ricostruzione dell’imboscata di Sorobi e soprattutto del dopo, vedi questa voce di wikipedia (in francese) con una lunga lista di fonti.

Anche se il London Times è uno dei quotidiani più prestigiosi del mondo e l’articolo (al contrario delle polemiche francesi dell’anno scorso) pare poggiare su fonti e dettagli specifici, c’è da dire che la vicenda resta ancora poco chiara e tutta da provare, anche perchè si tende a scindere la responsabilità dei militari da quella dei servizi, rendendo il quadro ancora più confuso. Pur essendo stato (e non senza grossi rischi e difficoltà, con il collega Gianfranco Botta del Tg3) a Sorobi, non sono in grado di esprimermi su questa storia. Mi sembra però utile, al fine di meglio inquadrare la vicenda, fornire un po’ di dettagli sullo “scenario”.

La zona di Sorobi è un’area non in mano ai talebani ma agli uomini di Hekmatyar, è un’area ad alto rischio sulla quale – durante il turno di dispiegamento degli italiani – si sono concentrate grandi attenzioni perchè all’epoca si temeva che la capitale Kabul potesse “cadere” in mani talebane (di lì a pochi mesi gli americani avrebbero schierato forze massicce nelle vicine province di Wardak e Logar). Sorobi si trova ad una trentina di chilometri di distanza dalla capitale ma soprattutto lungo la Jalalabad road, la strada lungo la quale arrivano a Kabul la maggior parte delle merci e soprattutto i rifornimenti Nato dal Pakistan.

Una storia di successo. Il caso di Sorobi è stato a lungo considerato presso il quartier generale della Nato, un caso di successo citato persino dal generale McChrystal. Gli italiani riuscirono a tenere sotto controllo la situazione in un’area esplosiva con la tecnica del “bastone e della carota” ovvero con massicci aiuti umanitari e progetti di ricostruzione legati però alla lealtà della popolazione locale, della serie “se mi aiuti, se mi fai scoprire depositi di armi e droga, se mi segnali i movimenti della guerriglia, noi aiuteremo te”. Una strategia non costata poco agli italiani, nel senso che i nostri militari hanno spinto sul pedale della sicurezza per la popolazione civile garantendo una “reperibilità” 24 ore su 24 ai loro contatti sul territorio, in primis agli anziani dei villaggi leali all’Isaf. In pratica sono sempre stati pronti ad intervenire quando squillava il telefonino, persino a notte fonda, per garantire la sicurezza di chi stava con loro, una versione “anticipata” della dottrina McCrhystal.

I combattimenti. Tra l’altro – pur nel silenzio “voluto” dal Ministero alla Difesa alla vigilia delle elezioni e nella lunga preparazione elettorale – gli italiani sono stati spesso impegnati in combattimenti, non semplici e spesso durati ore. Quelle impegnate nella zona non erano, tra l’altro,  truppe qualsiasi; si trattava in buona parte di rangers, i parà degli alpini, e di unità selezionate della Folgore. Per un racconto di quegli scontri, si veda in particolare “Afghanistan, ultima trincea” di Micalessin e Biloslavo.

L’imboscata di Sorobi verrà tra l’altro ricordata per le critiche ricevute all’organizzazione dei militari francesi. Pur nel rispetto della tragedia umana subita dalle forze armate transalpine, bisogna ricordare che diverse fonti concordano che le unità coinvolte nella battaglia vennero colte chiaramente di sorpresa su un terreno orograficamente ostile (tanto ostile che erano dovuti scendere dai mezzi e stavano procedendo a piedi), senza armamento pesante, senza munizioni e radio a sufficienza, senza supporto aereo e per giunta a metà giornata (quindi solo con poche ore di luce davanti a loro, non a caso i combattimenti terminarono a notte fonda). A rendere le dimensioni della tragedia ci pensò una grande e giovane fotogiornalista francese che scatenà una polemica nazionale sull’opportunità di pubblicare le sue immagini, polemica che a tutt’oggi trovo incomprensibile quanto fastidiosa per la libertà di stampa. Veronique de Viguerie fotografò i talebani autori dell’imboscata con indosso l’equipaggiamento tolto ai caduti (del servizio non trovo più traccia nell’archivio di ParisMatch, ma ne ho recuperato l’immagine simbolo qui). Immagini che testimoniarono quanto ravvicinati fossero i combattimenti (fatto raro in Afghanistan) e quindi quanto i militari francesi vennero presi di sopresa, alcuni dei quali pare uccisi e/o mutilati a colpi di pugnale, una volta rimasti senza munizioni. C’è da dire che il Times oltre ad utilizzare per il suo articolo di oggi proprio l’immagine simbolo della disfatta, ricorda chiaramente i limiti delle truppe francesi nell’occasione.

said one senior Nato officer. “They had no heavy weapons, no pre-arranged air support, no artillery support and not enough radios.”

Sono elementi questi innegabili che a seconda del versante della polemica possono essere utilizzati con finalità diverse, per sostenere che i comandi francesi hanno preso quella recon patrol alla leggera e che quindi hanno subito perdite per carenze organizzative e di pianificazione oppure che erano usciti in quel modo perchè gli italiani gli avevano detto che l’area era tranquilla (così sostiene il Times). Quando ho parlato con militari italiani presente all’epoca nell’area (l’ultima volta mi è capitato solo una decina di giorni fa) mi hanno sempre detto tutti la stessa cosa (mi riferisco a colloqui informali, non con fonti ufficiali), ovvero che i francesi si erano avventurari in quel pattugliamento convinti che si potesse fare così perchè “se lo fanno gli italiani, lo possiamo fare anche noi…” ma senza contare sull’organizzazione delle nostre truppe nè su i loro legami con le fonti sul territorio. Del resto i francesi in quell’area erano appena arrivati.

In sintesi, fermo restando il peso specifico dell’articolo del Times e la necessità di fare luce su queste accuse perchè senza chiarezza la credibilità di alleati dei militari italiani verrebbe minata, il racconto dei nostri soldati che hanno tirato a campare a Sorobi e di pagamenti che gli avrebbero spianato la strada, confligge con la storia sul campo fatta di sacrifici, combattimenti, rapporti con la popolazione locale e – non dimentichiamolo – con la perdita del primo Maresciallo Giovanni Pezzulo (vedi qui e qui) ucciso in un’imboscata avvenuta durante una distribuzione di aiuti umanitari.