Tag: lince

Perchè rischiare vittime civili?

Le salme dei quattro alpini della Julia uccisi a Farah sono arrivate a Ciampino; piove senza sosta a Roma quasi a voler rendere l’atmosfera ancora più cupa. Domani le esequie dei caduti italiani nel lontano Gulistan, ai quali – sono sicuro – va il pensiero di tutti gli italiani, è una magra consolazione per le famiglie ma fa bene saperlo in giorni di retorica più o meno interessata. Eppure il grosso dell’attenzione mediatica è sulle bombe da mettere sui nostri caccia in Afghanistan. Il ministro La Russa è un ministro molto attento alle richieste dei militari, come lo era il suo predecessore Parisi ma con una Rifondazione in meno. Non è una cosa di per sè sbagliata, è come un ministro all’Educazione che tiene a cuore ed ascolta le richieste di professori ed alunni. Durante la conferenza stampa convocata poco dopo la diffusione della notizia della strage del Gulistan, sabato, il ministro La Russa ha parlato anche del tema delle bombe sugli aerei italiani. Non so se l’ha fatto sull’onda dell’emozione o perchè, da navigato politico, pensava che quella sarebbe potuta essere l’occasione giusta per rilanciare un dibattito (da mesi “intestino” alle forze armate) in un momento di grande emotività per l’opinione pubblica.

Sono necessarie le bombe? La risposta probabilmente è sì, sono necessarie. In Afghanistan senza copertura aerea è praticamente impossibile per i militari occidentali tirarsi fuori dai guai, vincere alcune battaglie o almeno “pareggiarle”. Sin’ora i militari italiani sono stati “coperti” nelle operazioni di CAS (close air support) dagli elicotteri d’attacco italiani Mangusta, che però hanno dei limiti (per esempio la velocità d’impiego, quella per arrivare da un punto all’altro) e dai caccia americani. Gli americani però sono sempre più impegnati nell’Helmand e a Kandahar per poter rispondere a tutte le richieste d’intervento e quindi a volte sono “unavailable”. L’Italia ha due predator, aerei senza pilota, disarmati e diversi caccia AMX che hanno sostituito i Tornado, utilizzati prevalentemente in ricognizione ma per i quali è stato poi autorizzato l’utilizzo del cannoncino di bordo. Un’autorizzazione, a quanto pare, simbolica visto che notizie sul suo utilizzo non ne sono mai arrivate, del resto sparare con una mitragliatrice in picchiata da duemila metri è roba da mandrake.

Armare i caccia è una mossa opportuna? La risposta è probabilmente no. La missione italiana sin’ora – per quanto è dato sapere dalle comunicazioni ufficiali, in zona mancano fonti indipendenti – ha fatto registrare una sola vittima civile, la bambina letteralmente decapitata da un colpo di mitragliatrice calibro 50 sulla strada verso l’aeroporto di Herat, nel maggio 2009. Si trattò all’epoca di uno dei tristemente classici (in Afghanistan) incidenti di “escalation of force”: la macchina corre, viene avvertita dall’equipaggio del veicolo militare, non si ferma, i miltari pensano sia un kamikaze…e poi, poi…
Iniziare a bombardare per gli italiani significa correre il serio rischio di entrare nel “settore” delle vittime civili, dal quale sin’ora ci siamo tenuti per fortuna fuori. In Afghanistan, il grosso delle vittime civili uccise dalla coalizione, viene uccisa in bombardamenti aerei, non a caso la prima direttiva di McChrystal riguardava proprio una restrizione all’utilizzo di supporto aereo. Il suo precedessore McKiernan era “saltato” dopo la strage nella provincia di Farah, area a controllo italiano, dove i commando afghani e gli statunitensi avevano ammazzato “per sbaglio” oltre cento innocenti scambiati per talebani. Una brutta storia che il New Times svelò, dopo i tentativi di copertura militare.
Tra l’altro iniziare a bombardare significa farlo non solo per le proprie truppe, di cui magari puoi conoscere lo scrupolo nella richiesta di Cas, ma anche per tutte le altre. E’ giusto correre un rischio del genere? Ne vale la pena? Probabilmente no. Se ne parlerà in Parlamento – leggo – spero se ne parli con cognizione di causa, cosa che sin’ora è raramente avvenuta, preferendo le posizioni ideologiche alla competenza.

Le parole. Torniamo a parlare di “parole”, sulla scia del post di ieri. Ogni volta che c’è stato un caduto nei tempi recenti, il ministro La Russa ha tirato in ballo anche tecnicismi militari. Dopo la morte del parà Alessandro di Lisio, mitragliere di un Lince saltato in aria proprio a Farah, il ministro aveva parlato di torrette blindate per proteggere il mitragliere. E’ una storia esemplare per capire di cosa stiamo parlando: una decina di Lince con torretta modificata (ovvero automatizzata quindi senza mitragliere “esposto” all’esterno) sono arrivati in Afghanistan e – per quanto se ne sa – non sono stati quasi mai usati perchè troppo pesanti, a rischio di “ribaltamento” e soprattutto perchè quello che l’ “uomo in ralla” riesce a vedere non è quello che si “vede” attraverso una telecamera.  Si è poi discusso dei nuovi mezzi Freccia, per poi scoprire l’acqua calda ovvero che non possono sostituire i Lince, proprio come un fuoristrada non può sostituire un pulmino. Ora invece stiamo parliamo di armare i caccia. Non metto in dubbio che lo spirito di fondo sia quello di dare più pezzi e più protezione ai nostri soldati, il punto è che tutti questi tecnicismi allontano il cuore del problema: quella afghana è una guerra e come tale ha dei rischi altissimi, ad ogni blindatura più resistente si risponde con un esplosivo più potente. L’Italia è pronta a correre i rischi di questa guerra? Ad accettarla per quello che è? Oppure di volta in volta, di caduto in caduto, si continuerà a cercare di parlare d’altro, di dettagli magari mediaticamente intriganti ma pur sempre dettagli?

Mettiamo la Freccia

"Freccia" a Shindand
"Freccia" a Shindand

A lungo attesti, i Freccia sono arrivati in Afghanistan. Nella foto (scattata dall’ufficio Pio del comando italiano) se ne vede uno in azione a Shindand, dove opera la Task Force Center ovvero uno dei tre battle group italiani. Il Freccia è un mezzo “digitale” (per via della tecnologia di cui dispone) e può portare fino ad otto militari, più i tre membri dell’equipaggio. Pesa 28 tonnellate e conta su oltre 500 cavalli di potenza. “Una compagnia di Freccia dell’82° Reggimento fanteria “Torino” di stanza a Barletta è attualmente schierata a Shindand, a sud di Herat, in seno alla Task Force Centre, costituita dal 3° reggimento Alpini di Pinerolo – si legge nel comunicato ufficiale – La compagnia partecipa ad operazione di pattuglia e scorta insieme alle compagnie alpine dotate di blindati Lince”. Il Freccia è un mezzo molto sicuro, più del Lince, ma ovviamente ben più limitato – per via di peso e dimensioni – nel suo impiego che (proprio come con i carri Dardo) dovrebbe essere circoscritto al deserto pietroso tra Herat e Farah.

E’ sempre importante sapere che ci si preoccupi di dotare chi rischia la vita di equipaggiamenti all’avanguardia (dell’arrivo dei Freccia ha più volte parlato il Ministro La Russa, anche in coincidenza con fatti tragici come la morte di nostri soldati). E’ anche importante sottolineare (per evitare fraintendimenti nell’opinione pubblica) che nuovi mezzi, per quanto più sicuri, non possono azzerare i rischi della missione afghana, che sin’ora ha sempre confermato la regola che a blindatura maggiore corrisponde una maggiore carica di esplosivo, che a maggior protezione corrisponde un attacco più aggressivo. La logica a spirale della guerra che in Afghanistan pare ancora più amara che altrove.

Bala Morghab, la Korengal italiana

Fob Columbus Bala Morghab np©2008
Fob Columbus Bala Morghab np©2008

No attenzione, leggete bene il titolo…non sto paragonando Bala Morghab per intensità dei combattimenti o per numero di caduti alla valle di Korengal, la valle della morte (da poco abbandonata dagli americani nella provincia di Kunar ). Del resto il sergente Massimiliano Ramadù e il caporal maggiore Luigi Pascazio, uccisi oggi da un’IED mentre si avvicinavano in convoglio alla Fob Columbus, sono le prime vittime imputabili direttamente a quella valle. Sin’ora Bala Morghab aveva visto solo feriti e tanti militari italiani miracolati (salvati da una mano invisibile o da un paio di millimetri di kevlar dell’elmetto), purtroppo oggi non è andata così.

Sono altre le affinità tra Bala Morghab e Korengal, affinità logistiche potremmo forse chiamarle. Bala Morghab non è un’area densamente popolata, proprio come la “maledetta valle” e quindi poco ha a che fare con la nuova strategia McChrystal (più uomini per garantire sicurezza alla popolazione, non per controllare l’estensione del territorio); come Korengal ha una posizione remota dove persino portare una bottiglia d’acqua è un gran problema (l’estate scorsa la nostra aeronautica ha ricominciato gli aviolanci di materiali, sospesi dai tempi del Kurdistan). Un posto isolato dove fare arrivare una colonna di blindati per l’ordinario cambio di compagnia (alternanza inclusa tra spagnoli e italiani) o un convoglio di camion per ricostruire un ponte è un’operazione complessa che impegna centinaia di uomini, esponendoli al rischio di attacchi. Soprattutto Bala Morghab come Korengal è un posto dove bisogna in qualche modo volerci andare, non è tipo Delaram uno di quegli “incroci” dove non puoi fare a meno di passarci. E’ vero che sulle mappe c’è una striscia che arriva da Qal-e-Now (sede del Prt spagnolo, i cui uomini fanno fatica a muoversi al di là della periferia cittadina) fino a lassù, ma quella “striscia nera” nonostante abbia lo stesso nome (“ring road”) con l’autostrada numero uno ha poco a che fare visto che in realtà è poco più di un budello – attraversarla incolumi d’estate è un’impresa ma passarci con la pioggia o la neve è un record da raccontare ai nipoti.

Ma allora che ci stiamo a fare lassù? La risposta come al solito in Afghanistan non è semplice nè univoca, cercatela voi tra questa serie di fatti che provo ad elencare. Bala Morghab è un’enclave pasthun in territorio tagiko, negli anni ’90 – anche se in pochi lo ricordano o lo citano – è stata la base talebana per lanciare l’attacco su Mazar-i-Sharif, la più grande città del nord. Altrettanto pochi ricordano una scena svoltasi da queste parti, replicata oggi da stauette di gesso nel museo della jihad di Herat – era il 1979 e dopo la rivolta di Herat, Ismail Khan riunì lassù quelli che sarebbero stati i comandanti della jihad anti-sovietica nell’ovest del Paese.
In questa fertile piana di oppio non se ne produce tantissimo in valore assoluto ma buona parte dei cinquemila ettari della provincia coltivati a papavero sono concentrati nel distretto di Bala Morghab, produzione cresciuta dell’822% dal 2008 al 2009 (segno di quanto precari e controversi siano gli effetti della presenza occidentale sull’industria della droga). Del resto se voi foste un contadino con il confine a due passi, forse non ci pensereste due volte a buttarvi nel business…un business che aggiunge ai talebani la forza (e i soldi) dei trafficanti. Da Bala Morghab si arriva diritto diritto in Turkmenistan ma soprattutto a Gormach, passaggio chiave nella mobilità tra est ed ovest nell’Afghanistan del nord.

Bala Morghab np©2008
Bala Morghab np©2008

L’ex-cotonificio oggi trasformato nell’avamposto (Fob) Columbus è uno degli ultimi segni della presenza sovietica nell’area, ultimi militari stranieri insediatisi nella zona. Dopo il loro ritiro, vent’anni dopo, qui si sono visti (nel post-2001) a volte qualche pattuglia tedesca e pare anche dei norvegesi. Nell’agosto del 2008 arrivarono gli italiani, accolti con quattro giorni di battaglia, io ci sono arrivato ai primi di settembre e le condizioni di vita per i militari dell’Aeromobile mi sono sembrate poco diverse da Korengal, alberi secolari a parte ma le risaie sono perfette lo stesso per sparare nella base. Da allora in poi si è andati avanti tra operazioni per “aumentare” la bolla di sicurezza, civili in fuga, tregua con i ribelli (vedi elezioni presidenziali del 2009, la prima tregua elettorale ufficialmente siglata dal governo), capi talebani arrestati, liberati e poi uccisi dai predator senza pilota. Benvenuti a Bala Morghab, la Korengal italiana…se mi passate il paragone.

Macabra cabala

La notizia la conoscono tutti, l’abbiamo racconta oggi nei Tg, ha riempito il web e domani i quotidiani di carta. Altri due militari italiani sono morti in Afghanistan, due invece sono feriti seriamente ma vivi per miracolo; in primis il mitragliere del mezzo Lince sbalzato dall’esplosione di una IED, venticinque chilometri a sud di Bala Morghab. I numeri mi hanno sempre affascinato, forse perchè li guardi e ci puoi vedere di tutto, anche quelli che sembrano messaggi del destino. Oggi sono passati esattamente otto mesi dalla strage di Kabul, quella che ho vissuto in prima persona, con 6 parà uccisi e oltre dieci civili fatti a pezzi da un’autobomba. 17 settembre – 17 maggio e rieccoci a parlare di morti. I numeri martellano di nuovo la tragedia dei nostri alpini, 32esimo reggimento Genio, Brigata Alpini Taurinense. Massimiliano Ramadù di Velletri (Rm) e il caporalmaggiore Luigi Pascazio, di Bitetto (Bari) non lo sapranno mai ma la loro morte segna anche un traguardo simbolico che pesa come un macigno sulla missione Isaf, con il loro sacrificio sale a quota 200 il numero dei militari stranieri uccisi in Afghanistan dall’inizio dell’anno – mai così tanti nei primi cinque mesi dell’anno, un triste record all’insegna dell’assunzione algebrica: più soldati, più presenza sul territorio, più attacchi e quindi…più vittime. Bastano poche ore a fare di questa soglia simbolica nient’altro che acqua passata, mentre scrivo siamo già arrivati a 202. Cosa ci vorranno dire i numeri? Beh questa volta non ci vuole un Dan Brown di turno o un Pitagora moderno per capirlo.

La battaglia di Parmakan

Il link all’edizione integrale del Tg3 delle 14.20

Il link al servizio ripreso da Repubblica.it

Il link al servizio ripreso da Corriere.it

Il servizio dal sito del Tg3

Al Tg3 delle 14.20 di oggi è andato in onda un mio pezzo realizzato da Herat nei giorni scorsi con immagini esclusive da me ottenute da fonti non ufficiali. Le immagini documentano la battaglia del 23 e del 24 settembre scorsi nella Zyrko valley, distretto di Shindand, la parte più meridionale e più rischiosa della provincia di Herat. Una battaglia avvenuta in episodi distinti, sostanzialmente nella zona del villaggio di Parmakan e che ha visto impegnati i parà della folgore.

Nella valle si produce la maggior parte dell’oppio dell’Afghanistan occidentale (che è sostanzialmente una regione poppy-free), la Zyrko valley è inoltre una zona di etnia pasthu, tra le cui file la guerriglia è molto radicata. Una valle dove sin’ora non si avventuravano che le forze speciali, soprattutto americane. Nella zona, tra l’altro, da oltre due anni, si prova a costruire un ponte che sarebbe strategico per la mobilità nell’area.

Da luglio  il generale Castellano, con l’obiettivo di portare la presenza del governo di Kabul nell’area (dove tra l’altro a breve si rafforzerà la presenza militare italiana e non, vedi questo post di qualche giorno fa) vi ha schierato la task force elettorale, un pugno di uomini e donne che stanno lavorando intensamente nell’area al comando del Tenente Colonnello Alessandro Abamonte.

Le immagini mostrano la risposta al fuoco, con le mitragliatrici dei Lince, i fucili d’assalto in dotazione personale ma anche con panzer faust (una sorta di rpg) e mortai; si concludono con alcune scene dell’evacuazione medica dei feriti in elicottero.


AFGHANISTAN: SUL TG3 LA BATTAGLIA DEGLI ITALIANI A PARKAMAN

(ANSA) – ROMA, 6 OTT – Militari italiani in battaglia in Afghanistan. Il Tg3 ha mandato in onda un servizio con immagini
esclusive, ottenute da fonti non ufficiali, dei combattimenti che i parà della Folgore hanno sostenuto il 23 e il 24
settembre nella Zirko Valley, nel distretto occidentale di Shindand.
Il filmato, in particolare, è stato girato il 23 nei pressi del villaggio di Parmakan, dove gli italiani sono finiti sotto
attacco. Si vedono i blindati Lince fermi ai margini di un pianoro. Dall’altra parte un nemico invisibile, nascosto tra la
vegetazione, ma che spara con tutti i mezzi a disposizione: kalashnikov, razzi rpg, mortai.

Gli italiani rispondono e il crepitio degli spari è la colonna sonora del video. Quella battaglia, in un’area dove si
produce la maggior quantità di oppio dell’Afghanistan occidentale, dura due ore.
Sparano i mitraglieri sulle torrette dei Lince, sparano i loro compagni a terra con i ‘panzerfaust’: non c’é rischio di
fare vittime civili, la zona lì intorno è disabitata.
In quei due giorni di combattimenti nella Zyrko valley tre militari italiani sono rimasti leggermente feriti: uno il 23,
colpito a un gomito mentre si trovava al suo posto di mitragliere in ralla, e due il 24, uno ferito a una mano e
l’altro al collo. Nel servizio di Nico Piro si vede anche l’evacuazione di questi parà in elicottero, tra una nuvola di
polvere e sabbia.

APCOM Afghanistan/ Tg3 manda in onda battaglia della Folgore a Parkaman

Attacco talebano con razzi e lanciagranate, evacuazione feriti

Roma, 6 ott. (Apcom) – Una vera e propria battaglia fra parà della Folgore e talebani nel distretto di Shindand, la parte più pericolosa della provincia di Herat in cui è schierata la maggior parte dei militari italiani: è l’esclusiva del Tg3 mandata in onda oggi e relativa a combattimenti dello scorso 23 settembre.

Le immagini del servizio di Nico Piro, girate nei pressi del villaggio di Parkaman, sono state ottenute da fonti non ufficiali: i paracadutisti vengono attaccati dai miliziani con kalashnikov e razzi rpg e mortai in una zona stepposa, e si scatena una vera e propria battaglia. I soldati italiani sono costretti infatti a rispondere con mitragliatrici e anche con i lanciagranate ‘Panzerfaust’ e possono farlo senza rischi per la popolazione civile: la zona per fortuna è disabitata.

I militari italiani nei blindati lince combattono per circa due ore contro i nemici, e gli scontri si ripeteranno il giorno dopo: la zona, nota come Zirko Valley, è una delle più strategiche perché da qui viene la maggior della produzione di oppio dell’Afghanistan occidentale con cui i talebani si finanziano.
Per questo la coalizione Nato-Isaf sta cercando di ottenerne il controllo. E il generale Rosario Castellano, comandante della Regione Ovest Isaf sta utilizzando i parà della task force inviata per le elezioni.

Nei combattimenti di quei giorni vengono feriti tre parà italiani, per fortuna tutti in modo lieve: nelle immagini si vedono due di loro, colpiti alla mano e al collo, mentre sono evacuati in elicottero.

Foto-grafie

Scrutatrice in un seggio elettorale a Kabul - agosto 2009 ©np
Scrutatrice in un seggio elettorale a Kabul - agosto 2009 ©np

Ho aggiunto al blog una nuova pagina, quella delle foto…per vedere basta cliccare qui oppure su uno dei tab, le “linguettine” che compaiono sulla home pagina, sotto la foto di testata. All’interno della pagina ci sono una serie di link che portano direttamente al mio spazio su flickr.com il sito “fotografico” dove conservo il mio materiale, c’è anche un link a fine pagina che porta a tutto l’elenco dei “set”, le gallerie tematiche nel caso a qualcuno potesse interessare.

Sparano i Tornado, polemiche militari

Dopo la morte del primo caporal maggiore Alessandro Di Lisio a Farah, il Ministro La Russa durante la sua visita in Afghanistan (alla quale ho partecipato per il Tg3)  aveva annunciato una serie di interventi per rafforzare la sicurezza del contingente, fuori dalla metafora politica io direi per tenere il passo dell’escalation bellica in corso nel Paese.

Il Ministro aveva parlato di più predator (aerei senza pilota da ricognizione, al momento ce ne sono due ad Herat), torrette per il mitragliere più protette sui Lince (tra le ipotesi torrette motorizzate comandabili dall’interno, in maniera tale da evitare che il mitragliere spari dall’interno) e il ricorso ai Tornado anche per fare fuoco. I Tornado sono i jet italiani arrivati in Afghanistan nell’autunno scorso (fanno base a Mazar-i-Sharif) e da allora utilizzati solo per ricognizione non per bombardare. Durante il volo verso l’Afghanistan, il Ministro ci aveva detto di pensare all’utilizzo dei Tornado anche come “copertura aerea” ma non con le bombe bensì con il cannoncino di bordo assimilabile allo stesso degli elicotteri Mangusta (utilizzato e come, da tempo). Oggi in questa intervista al Corriere, La Russa conferma che si è entrati nella fase operativa: “Dopo aver informato le Ca­mere, ho dato via libera ai co­mandanti. A loro valutare. Parliamo non delle bombe, che sull’aereo non portiamo neanche. Ma del cannoncino dei Tornado, simile a quello degli elicotteri Mangusta”


Una scelta che ha già sollevato polemiche e per giunta autorevoli.
Nel fine settimana, all’Ansa, l’ex-capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, il Generale Tricarico, aveva detto (il maiuscolo è un problema di formattazione che non riesco a risolvere): “FAR FUOCO CON I CANNONCINI DEI TORNADO NON SOLO E’ INUTILE, MA ANCHE PERICOLOSO PERCHE’ IN SCENARI COME QUELLO AFGANO IL RISCHIO DI DANNI COLLATERALI E’ CERTO”.

“COLPIRE UN TALEBANO CON LE ARMI DI BORDO DI UN TORNADO E’ FACILE COME VINCERE AL SUPERENALOTTO, MENTRE IL RISCHIO DI CENTRARE BERSAGLI DIVERSI, CIVILI INNOCENTI, E’ ALTISSIMO”

“TECNICAMENTE E’ COSI’, TUTTI LO SANNO. PROPRIO PER QUESTO LE ARMI DI BORDO DEI CACCIA NON SONO
STATE MAI USATE NEPPURE NEI 78 GIORNI DI OPERAZIONI AEREE SUI BALCANI”,

Secondo Tricarico se si vuole offrire copertura aerea ai militari impegnati a terra senza rischi di vittime civili (io direi, limitando questo rischio) bisogna armare i predator. Gli italiani hanno una versione di questi aerei senza pilota che non ha armi ovvero non senza missili “hellfire” anche detti “fire and forget” ovvero spara e dimenticatene (non è un riferimento alla morale ma alla loro capacità di seguire il bersaglio). Tra l’altro Tricarico ricorda la vecchia polemica di Rifondazione che contestò il nome aggressivo di questo veivolo come segno della natura bellica della missione durante le divisioni “afghane” all’interno del governo Prodi.

Un’ultima osservazione sull’intervista al Ministro. Almeno temporalmente noto che dopo la mia intervista al Generale Castellano (vedi post più sotto, all’interno il link al pezzo del Tg3), per la prima volta sulla stampa italiana si parla dei talebani uccisi. Ecco il passaggio, sempre dall’intervista di oggi al Corriere:

Se viene ucciso un militare italiano, la Difesa lo dichiara: dal 2001 in Afghanistan ne sono morti 15. Manca però un dato: quanti mili ziani afghani sono stati uccisi dai nostri soldati in scontri a fuoco?
«Il numero preciso non vie ne tenuto. Non c’è una conta bilità anche perché è difficile accertarlo. Di certo il numero degli insorti — talebani, trafficanti di droga, tutti coloro che compiono atti ostili — è superiore alle perdite subite dai contingenti internaziona li. E di molto».

Quelli colpiti da italiani?
«Anche per i nostri il rapporto è di sicuro più alto. Quando i nostri sono stati costretti a difendersi, gli altri hanno subito perdite. Tra i contingenti siamo quelli che hanno avuto meno lutti, an che se non per questo meno dolorosi».

1/2 Sicuro

In questi giorni, dopo la morte del primo caporal maggiore Di Lisio a Farah, si parla tanto della sicurezza dei mezzi utilizzati in Afghanistan. E’ un tema delicato, sicuramente importante, ma temo possa creare l’illusione che un “mezzo tecnico”, qualsiasi esso sia, possa azzerare il rischio di feriti o peggio vittime in un contesto difficile come quello Afghano. Contesto dove ieri, con la morte di un militare americano, è stato sancito anche statisticamente quanto male vadano le cose: il mese di luglio 2009 (che per giunta non è ancora finito) è il peggiore di sempre (leggi dal 2001) per le forze internazionali in termini di vittime.

Entrando nello specifico dei mezzi, giusto per dare una panoramica sul tema, il blindato Lince sin’ora ha salvato molte vite, il suo è un sistema a cellula di sicurezza, ovvero in caso di esplosione volano vano motore e vano carico (sto semplificando) mentre l’equipaggio è protetto dalla cellula di sicurezza interna, tutto l’equipaggio tranne il mitragliere che è poi l’uomo più esposto. Secondo indiscrezioni, non confermate dal comando italiano, Di Lisio sarebbe stato proprio l’uomo in “ralla”, ovvero il mitragliere. Il Lince dovrebbe tra poco essere utilizzato anche dai britannici, tra le cui fila il tema dell’inadeguatezza dei mezzi ha causato non pochi trambusti (vedi le dimissioni del capo delle forze speciali in polemica con l’utilizzo delle “snatch”, fuoristrada pensati per le sassaiole di Londonderry non per le IED afghane – al riguardo vedi un vecchio post). Mi dicevano alcuni militari che i britannici hanno però ordinato una versione con torretta motorizzata che appunto evita la presenza all’esterno del veicolo del mitragliere. Sulla protezione del mitragliere, ho visto anche qualche interessante post pubblicato sul gruppo di Facebook il cui nome dice tutto: “Santo Lince”.

MRAP e Freccia. Quella dei “Mine Resistent Ambush Protected” è una famiglia di mezzi, molto costosi e molto sicuri, su cui hanno puntato gli americani ordinandone migliaia. Nell’Rc-West, se non erro, gli italiani ne hanno una decina (nella versione Buffalo e Couguar).  In questi giorni ad Herat si è concluso il passaggio di “consegne” tra i tecnici dell’azienda produttrice e quelli delle forze armate che dovranno occuparsene in futuro. Nel marzo dell’anno scorso, ho viaggiato (primo mezzo – !- di convoglio logistico) su un mezzo della famiglia MRAP lungo la strada tra Jalalabad e Asadabd nell’est del paese, era uno dei primi consegnati agli americani in Afghanistan. La sensazione di protezione è totale, sono mezzi molto alti da terra la cui chiglia a “v” scarica l’onda d’urto delle esplosioni, ma sono mezzi utilizzati soprattutto in Iraq. Sono troppo pesanti e mastodontici per muoversi in un paese, l’Afghanistan, dove le strade in buone condizioni sono un’eccezione. In sintesi l’ambiente afghano ne limita l’impiego, da super-sicuri rischiano di trasformarsi in super-rischiosi se si piantano su una pista di sabbia o su un sentiero di montagna. In Afghanistan, agli italiani arriveranno i Freccia (che secondo alcune fonti di stampa, a cui non ho trovato però conferma sul posto, sono già utilizzati dalle forze speciali della TF45) una sorta di blindocentauro (quindi a sei ruote) con il cannoncino del dardo (già presente in Afghanistan, è un mezzo cingolato). Il Freccia avrà dalla sua soprattutto la capacità di “mezzo digitale” ovvero sempre in contatto con l’esterno anche attraverso occhi elettronici (per esempio quelli dell’aereo senza pilota Predator) e quindi limitando i rischi per chi deve sporgersi dalle aperture del mezzo, ma evidentemente non sostituirà il Lince che ha un impiego molto più flessibile.

Una volte un’ex-responsabile della sicurezza della Croce Rossa in Afghanistan, specialista in operazioni di cross-border (ovvero di contatto tra le parti, per esempio per lo scambio di prigionieri e di feriti, tra Mujaheddin e Talebani) mi ha detto che ha sempre preferito muoversi disarmato, perchè c’è sempre qualcuno che ha una pistola più grande della tua. E’ evidente che l’ambiente afghano pone tutta una serie di variabili e problematiche che devono essere affrontate con i mezzi giusti ma è chiaro che a blindatura super la guerriglia risponde con bomba super (come nel caso dell’enorme carica esplosiva utilizzata nell’attacco di Farah) soprattutto in un paese che ha scorte di vecchie munizioni per decenni e dove l’oppio fornisce i soldi per comprarne di nuove, a fiumi. Insomma, non vorrei essere frainteso in questa riflessione, il tema della sicurezza dei mezzi deve essere sempre affrontato per primo (del resto, molto meno dei miltiari, ma io stesso mi ci ritrovo a viaggiarci sopra) ma non deve passare nell’opinione pubblica l’idea che la blindatura risolve tutti i problemi e azzera tutti i rischi che invece ci sono e sono tantissimi. E’ vero dappertutto, nell’Afghanistan di oggi è più vero che mai.

In aggiunta a quest post, inserisco il link ad un mio pezzo andato in onda il 15 luglio al Tg3 delle 19 e che tratta, pur nei limiti della sintesi televisiva, pressochè lo stesso tema