Tag: Libia

Effetti Collaterali

Il sei novembre è stata celebrata – nel silenzio generale – la giornata dedicata ad una particolare vittima di guerra: l’ambiente.
Una vittima silenziosa e di cui si parla pochissimo. Qualche giorno dopo quello in cui il calendario registrava “the International Day for Preventing the Exploitation of the Environment in War and Armed Conflict” (forse celebrato poco anche per via di un nome tanto lungo…), è arrivata una notizia dalla Libia che conferma quanto alta possa essere la posta in gioco per l’ambiente in caso di un conflitto.

Non parliamo di armi chimiche e nucleari (sulle quali pure si è sbilanciato il governo libico di transizione, senza offrire però conferme e dati di fatto) ma parliamo dell’oro rosso del Mediterraneo che non è più l’ormai raro corallo ma bensì il tonno che si candida, suo malgrado, a diventare parimenti raro.

Stando ai segnali radio captati durante il conflittoriferisce la Bbc – nel Golfo della Sirte è stata individuata una forte concentrazione di tonnare “volanti”, quel tipo di barche che riescono ad allestire “camere della morte” in alto mare per cacciare i banchi di tonni; banchi che arrivano in Mediterraneo per compiere quel processo riproduttivo, impossibile in Atlantico.
Su quelle barche viene montato, per disposizione della Ue, un Vessel Monitoring System, in pratica una sorta di scatola nera.

Da quando la Sicilia (e le sue tradizionali tonnare “a terra”) è stata tagliata fuori dalla pesca perchè ai banchi viene dato l’assalto in alto mare, è proprio la Libia quella parte di Mediterraneo dove la pesca al tonno riesce meglio (tra l’altro le condizioni di pesca sono più favorevoli che nel “duro” mar Egeo).
Oltre ai segnali radio, nel dossier che verrà presentato al prossimo meeting dell’ICAAT (l’ICAAT è la poco efficace “The International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas”) c’è anche la lettera a Wwf e GreenPeace di una “gola profonda” dell’industria ittica che fa accuse (ed è un fatto rarissimo in un settore chiuso a riccio) precise sulle violazioni compiute dalle flotte tonniere.
I dettagli sono ben graditi ma c’è poco da meravigliarsi se si considera un rapporto del mese scorso – citato dalla Bbc – secondo cui è stato messo in vendita sul mercato tonno del Mediterraneo pari al 140% di quanto “legalmente” pescato.

Quei morti spariti

La  guerra in Libia non è finita. Si combatte a Sirte, a Bani Walid, a Sabha. Quella che i ribelli hanno definito l’offensiva finale in realtà sta andando avanti a colpi di lente avanzate e rapidissime ritirate. Uno stallo molto simile a quello a cui abbiamo assistito nei primi mesi del conflitto, i mesi della “guerra autostradale” tra Benghazi e Ras Lanuf, con la differenza che adesso i ribelli litigano fra di loro, in un clima di sospetti e divisioni tribali.

In questi giorni di città assediate, sono gli ex-ribelli (ormai diventati il legittimo governo del Paese o meglio di parte del Paese) a bombardare i centri urbani, come avevano fatto i lealisti (all’epoca, i governativi) nella povera Misurata, la città martire. Di mezzo, insomma, come in ogni guerra ci sono sempre i civili, chiamati a pagare il prezzo più alto.

A proposito, ma quanto è alto il prezzo di questa guerra? Il prezzo di vite umane? Sin dall’inizio il conflitto in Libia è finito nella spirale della censura governativa alla quale i ribelli rispondevano con notizie non verificate (e non verificabili dai giornalisti) ma rilanciate dai network panarabi in tutto il mondo fino a dare loro dignità di “fatto”. Parliamo, per esempio, dei bombardamenti e degli elicotteri che sparavano sui civili o le fosse comuni scavate a Tripoli.

E’ molto interessante questo articolo del New York Times che ha dato l’incarico ad un suo inviato di verificare le cifre del governo transitorio secondo cui il bilancio delle vittime della rivoluzione è compreso tra i 30 e i 50mila morti, senza considerare i combattenti lealisi uccisi. Cifre che dalle verifiche sul campo condotte sin’ora sarebbero pari ad un decimo di quelle dichiarate. Se non cambia molto sul piano della drammaticità del conflitto (perchè una sola vittima in una guerra è sempre una di troppo) si evidenzia così di nuovo come in quest0 conflitto, forse più che negli altri, nella sua apparente linearità, la verità è stata una delle prime a cadere sul campo.

http://tashakor.blog.rai.it/2011/09/18/quei-morti-spariti/

Non è finita

Metto insieme un po’ di cose che penso di aver capito su questa guerra libica, seppur a distanza (questo non è stato il mio giro); una guerra forse più sporca delle altre nella sua apparente linearità:

1) Con la (parziale) presa di Tripoli, la guerra non è finita anzi è probabilmente cominciata per davvero. Non è un caso che dalla Russia arrivi oggi un nuovo appello alle trattative. I messaggi di sfida del raiss sono pura propaganda ma sono anche un appello ai suoi, gente che per quarant’anni ha vissuto grazie al regime, sparsi in tutto il Paese.
La caserma di Gheddafi è caduta nella mani dei ribelli solo al livello del suolo, nel sottosuolo ci sono ancora lealisti pronti a morire. Nel Rixos, l’albergo dei giornalisti, gli inviati sono praticamente agli arresti, non possono uscire, glielo impediscono i soldati del raiss

2) Con l’abbattimento di un’altra statua, qualche anno fa, a Baghdad, la guerra che doveva finire in realtà cominciò sotto forma di guerriglia (ied, kamikaze, sabotaggi, azioni di terrore), condotta non solo da Al Qaeda ma soprattutto dagli ex-membri del partito Baath (l’equivalente della jamahiria libica, il partito-movimento di Gheddafi)

3) I berberi e le tribù dell’ovest saranno più brave di quelle dell’est, che per sei mesi hanno fatto un ping-pong bellico sull’autostrada tra Benghazi e Sirte, conquistando posizioni e perdendole il giorno dopo. Intanto le truppe di Gheddafi (dopo mesi di combattimenti e di bombe) hanno perso pezzi e una parte dei fondi del raiss sono finiti.
Ma non mi dite che quest’avanzata lampo su Zawya e Tripoli non sia figlia delle forze speciali straniere. La Nato smentisce di averle dispiegate ma non esclude che l’abbiano fatto i singoli Paesi (Francia? Inghilterra? …). E’ presumibile che abbiano addestrato, organizzato e guidato l’avanzata ribelle oltre a “chiamare” i bombardamenti mirati che non possono essere decisi solo dal cielo (con la ricognizione degli aerei senza pilota) e che per essere coordinati da terra richiedono tecnologie e conoscenze che hanno poche migliaia di persone al mondo.

4) Senza il supporto aereo della Nato i ribelli non avrebbero mai resistito nè arrivati dove sono arrivati, questo mi sembra un dato certo e fuor di discussione.

5) Gli attacchi aerei della Nato hanno protetto i civili? Sì ma mi sembra che l’abbiano fatto in un senso talmente vasto che è diventato molto discutibile. Per esempio affondare le barche sulle quali fuggivano gli uomini di Gheddafi dalla raffineria di Zawya qualche giorno fa, serviva a proteggere i civili nel senso che prima o poi quegli uomini armati avrebbero potuto uccidere civili? Oppure è stato un modo per aiutare i ribelli a consolidare il bastione di Zawya, indispensabile per prendere Tripoli?

6 ) Perchè la guerra ha avuto un’accelerazione così forte ad agosto? La risposta più semplice sembra essere quella della scadenza della missione Nato. Si sapeva bene che, tra crisi economica dell’Europa e lo stallo nel conflitto, a settembre la missione sarebbe stata messa in discussione, ridotta probabilmente in maniera molto significativa. Dopo l’Afghanistan, era un colpo che la Nato non poteva permettersi di subite, da qui la spinta verso Tripoli di questi giorni.

7) Un anno fa, giorno più giorno meno, Gheddafi arrivava a Roma accolto come un sovrano capriccioso e da coccolare, a cui tutto era consentito anche la propaganda islamica all’ombra del cupolone. Una scelta lungimirante…Cose che capitano quando si confondono i rapporti personali con i rapporti tra Stati. La crisi libica ha segnato un duro colpo per la politica estera italiana e più in generale per il quadro dei rapporti mediterranei del nostro Paese.

8 ) I ribelli sin’ora sono stati uniti solo dall’odio per Gheddafi e dalla paura che potesse ribaltare le sorti del conflitto. L’uccisione del loro capo militare a Benghazi (una storia torbida e ancora poco chiara) è stato il segnale più chiaro delle loro divisioni profonde. Cirenaica contro Tripolitania, berberi contro le altre tribù, ex-gheddafiani contro coloro che gheddafiani non lo sono stati mai, laici contro integralisti…Speriamo si mettano d’accordo.

9) La Libia non è la Tunisia e nemmeno l’Egitto, è un Paese che esiste come entità indipendente dal 1951; da sessant’anni, quaranta dei quali passati sotto il dominio di una dittatura (seppur laica). Certo ci sono i giovani che oggi fanno la differenza, ma dopo quattro decenni di tirannia, la Libia non è chiaramente pronta ad affrontare e costruire una democrazia. Sarà un cammino difficile

10) Gheddafi è pazzo? O meglio Gheddafi morirà con l’Ak47 in mano? Il raiss è un personaggio quanto meno bizzarro o forse, come ricordava Igor Man anni fa, è un vero beduino, una mentalità difficile da capire dall’esterno di quella cultura. Gheddafi è stato capace di accumulare armi di distruzione di massa ma poi fare un passo indietro dopo la caduta di Saddam, ha commissionato l’attacco di Lokerbie ma poi ha fatto “pace” con gli americani anche se poi ha accolto come un eroe in patria l’attentatore rilasciato dal carcere. Insomma mi resta il dubbio che Gheddafi in qualche modo sappia quello che sta facendo e che la sua non sia una resistenza “all’ultima goccia di sangue” come afferma

11) Gheddafi negli anni ha schiacciato le libere professioni, i sindacati, la libera stampa, persino l’esercito ridotto ad una specie di polizia stradale in grande…del resto Gheddafi da ex-ufficiale golpista sapeva bene quanto un’esercito forte potesse essere pericoloso per il potere. Allo scoppiare della rivoluzione, gli sono rimaste così in mano molte poche carte…tra cui appunto i mercenari e la brigata Kamis. Un bell’esempio di nemesi storica e del fallimento intrinseco di ogni dittatura.

12) La Libia è un paese enorme, con migliaia di chilometri di coste sul Mediterraneo e confini verso aree chiave dell’Africa sub-sahariana. Se il governo transitorio non rimetterà in piedi e subito delle forze armate capace di vigilarli si apriranno scenari di caos (e non mi riferisco solo ai poveri cristi che vogliono raggiungere l’Europa) molto preoccupanti.

13) La Bbc ha battuto tutti nella copertura di questo conflitto, per l’informazione italiana ormai concentrata solo sui fatti di casa nostra è stata una caporetto (fatti salvi gli sforzi individuali). Dai tempi dell’Iraq e della copertura realizzata all’epoca, sembrano passati millenni. Questa guerra ha fatto vacillare anche la credibilità di Al Jazeera: troppo forte il coinvolgimento del Qatar sul fronte dei ribelli.

14) All’inizio del conflitto in Libia, le sepolture al cimitero di Tripoli vennero passate per fosse comuni dalla propaganda ribelle amplificata dalle tv arabe, si parlò anche di bombardamenti sui civili dei quali a tutt’oggi non mi sembra siano state trovate prove. In Siria invece, pur nella mancanza di fonti indipendenti, appare chiaro che il massacro di civili ci sia stato per davvero. Non sto dicendo che bisogna bombardare la Siria (figuriamoci) ma che l’occidente liberatosi dal peso libico potrebbe pensarci per davvero, soprattutto se dovesse esserci una Francia di turno a spingere il piede sull’acceleratore. Fermo restando che la Siria non è la Libia ma rappresenta un tassello in un mosaico geo-politico molto ma molto più complesso.

15) Mi sta venendo un dubbio e aggiungo questo punto al volo, dopo la pubblicazione di questo posto…ma non è che Gheddafi si nasconde nei sotterranei del Rixos? Ricordate quando si presento ad una conferenza stampa con una pila in mano e la stampa inglese ne dedusse che veniva fuori da un cunicolo buio? Altrimenti perchè i lealisti starebbero difendendo tanto intensamente un albergo dove ci sono solo dei giornalisti occidentali? Se volevano usarli come scudi umani od ostaggi li avrebbero già prelevati e portati da qualche parte…così di fatto li stanno già usando come amuleto anti-bombardamento se qualcuno di importante (“high value target”) si nasconde sotto l’hotel…

Insieme a Restrepo

Tim Hetherington
Tim Hetherington

Chissà qual è l’ultima immagine che ha scattato la sua macchina. Non riesco a pensare ad altro e non è una curiosità cinica la mia; a volte mi consola pensare che fotografi e cameraman hanno un privilegio, forse l’unico nel loro lavoro che li porta – necessariamente – ad esporsi così tanto: la macchina fotografica o da presa è come la loro retina, nella più tragica delle evenienze forse l’ultima immagine che hanno visto nella loro vita sopravvive in un pezzo di plastica grande come un polpastrello, una scheda di memoria risparmiata da un’esplosione.
E’ giusto rischiare di morire e morire per raccontare qualcosa? Fuor di retorica, forse è il momento più alto della vita di un reporter che pur ha in mente sempre e comunque la stessa cosa, ovvero tornare a casa vivo ma solo dopo aver fatto fino in fondo il proprio dovere di verità. Se le immagini ti sopravvivono, forse è una consolazione in più, un motivo in più per pensare che non è stato un sacrificio vano, un po’ come quando qualcuno muore per salvare altri. O forse sono solo chiacchiere che mi vengono in mente perchè servono a curare lo sgomento.

Stasera mi tremano le gambe
, che non è una gran novità per me, ma mi tremano sul serio: fuor di metafora. Ho appena saputo che Tim Hetherington è stato ucciso a Misurata. Nato a Liverpool, era un fotografo semisconosciuto (nonostante il suo grande lavoro in Liberia) quando è riuscito ad arrivare nel 2008 a vincere il word press award per aver scelto di occuparsi di quel campo di battaglio dimenticato (all’epoca e drammaticamente di nuovo ora) chiamato Afghanistan. Ne ho scritto varie volte in questo blog per le sue frequentazioni di un luogo a me molto caro, la valle di Korengal dove ha girato il documentario Restrepo, dal nome del caduto Juan Restrepo di cui portava il nome uno degli OP (piccoli avamposti di osservazione) più pericolosi della più pericolosa valle dell’Afghanistan. In poche parole il film di guerra più realistico mai girato, semplicemente perchè non era un film ma un documentario.

Le notizie al momento sono confuse, inizialmente dato per morto con Hetherington (entrambi colpiti da un rpg), starebbe lottando tra la vita e la morte anche Chris Hondros, famoso per queste fotografie che raccontarono dell’assurdità della guerra in Iraq, la banalità dell’orrore: un auto ad un posto di blocco americano, la sparatoria, una famiglia innocente a terra. Foto mosse che all’epoca mi ricordarono vividamente quelle del grande Capa allo sbarco in Normandia, forse anche per questo Hondros (qui il suo sito) ha vinto il premio che porta il nome del più grande fotoreporter della storia. Con loro, più lievemente, sarebbero stati feriti altri due o tre fotografi, non è ancora chiaro.

Ho incontrato una sola volta Tim Hetherington, non in Afghanistan nonostante ci fossimo incrociati e mancati diverse volte. Strano a dirsi ma l’ho incontrato brevemente a New York, ad una festa; lui si era trasferito lì a Williasburgh, Brooklyn per montare con Sebastian Junger, proprio “Restrepo”. Una breve conversazione, niente di più e niente di memorabile come una festa confusionaria e allegra impone ma ricordo una ragazza che era con lui; una volta sola, da parte mi chiese come mai pur avendo visto “a lot of shit on the battle field” i reporter, tornati a casa, non ne parlano mai. Non le seppi dare una risposta, non lo saprei fare nemmeno ora mi sembrerebbe troppo scontato.