KABUL – Se volete rispondere davvero a questa domanda – che cos’è la guerra – questa volta potete farlo senza grosse difficoltà, senza dovervi sorbire gli esperti di turno o leggere qualche impegnativo saggio. Guardare questi tre bambini, sono tra le dozzine di feriti arrivati oggi all’ospedale di Emergency a Kabul. Li ho seguiti da quando sono entrati attraverso il “main gate”, l’ingresso dove arrivano taxi carichi di feriti, ambulanze e dove si accalcano i parenti, feriti, una folla a volte persino feroce; l’ingresso dove stamattina un agente dell’NDS (i servizi afghani) mi ha chiesto di togliermi da lì perché aspettavano che l’attacco di un kamikaze un giornalista che faceva riprese avrebbe “incentivato” l’azione, alzano il valore del target colpito. Continua a leggere “Che cos’è la guerra?”
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Saluti da Kabul
Sul portico della mia guest house, ho davanti una tazza di tè verde, un piatto di riso kabuli e di pane nan, quello piatto, cotto sulle pareti dei forni scavati nel terreno.
Basta questo a farmi sentire a casa, finalmente, cinque anni dopo.
Esattamente come basta poco, in una zona di conflitto, ad abituarti a quello che, altrove, sarebbe anormale: il “clak” del colpo che entra in canna, negli Ak-47 delle guardie in giardino, gli chinook che attraversano il cielo (magari portando nei loro compund blindato quelli che non vogliono affrontare la strada più pericolosa del mondo, la airport road), il clangore del doppio portone blindato che si apre in sequenza.
Quando un auto si avvicina all’ingresso, le due enormi ante fanno gridare i cardini: l’ispezione anti-bomba viene completata e solo allora si apre il secondo portone mentre il primo resta chiuso.
La città è tappezzata di manifesti per le elezioni di sabato prossimo, le parlamentari. La situazione sicurezza sembra stabile con migliaia tra soldati e poliziotti dispiegati in città, ma la vulnerabilità di Kabul è tale che non può essere cancellata in una notte. E a ipotecare queste elezioni potrà essere più il pericolo dei brogli che la violenza, il che è tutto dire sulla tenuta della cosiddetta democrazia afghana.
Come avete capito leggendo sin qui, il lavoro sul campo per completare il mio prossimo libro sull’Afghanistan è cominciato da qualche ora.
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Le storie degli altri
Chi fugge da un luogo pericoloso, dalla guerra, dalla pulizia etnica, da una faida tribale, dalla persecuzione etnico-religiosa, crea una distanza fisica dal suo passato ma è destinato a portasi dietro la propria storia, per sempre, anche se riuscirà “altrove” a ricostruire per sé un’apparente dimensione di vita.
La diffidenza, l’ignoranza e le generalizzazioni (di ogni segno, comprese quelle sull’accoglienza “esibita”) ci impediscono di capire le storie di chi fugge e di comprendere come il suo passato, troppo spesso, sia destinato a tornare nel presente perchè chi se ne è allontanato, l’ha potuto fare solo in termini di coordinate geografiche.
Si tratti di un parente ammalato, di un amico in pericolo, di un’estorsione, di un ricatto o della richiesta di un favore a cui non puoi opporti, il passato ritorna sempre o quasi, è statistico ; sempre o quasi attraverso quei cari che ti sei lasciato alle spalle e che ti hanno aiutato a fuggire.
Presentato oggi alla stampa alla Casa del Cinema (dal 20/9 nelle sale), il film di Costanza Quatriglio “Sembra mio figlio” ha il merito di aprire un varco nella barriera “invisibile” che separa noi dalle storie di rifugiati e migranti. Ha il merito di mostrarci uno spaccato che è specifico, dettagliato, individuale: una storia vera, di certo verosimile ma non per questo “universalizzabile”, categoria che , in un modo o nell’altro, finisce sempre per sminuire il dramma del singolo.
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Da Roma a Kabul
Oggi al liceo Mamiani di Roma, la FNSI e l’associazione Articolo 21 hanno celebrato la giornata mondiale per la libertà di stampa. Sono stato invitato a parlare della situazione dei giornalisti afghani, la giornata è stata dedicata ai 10 colleghi uccisi nel Paese il 30 aprile, ma ha affrontato le minacce all’informazione dalla Turchia all’Italia.
La giornata della libertà di stampa a Roma from Nico Piro on Vimeo.
La libertà di stampa in Afghanistan from Nico Piro on Vimeo.
Per riascoltare tutti gli interventi clicca qui (da Radio Radicale)
Attacco a Shamshad
Passando davanti allo stadio “olimpico” di Kabul, mi è sempre piaciuta Shamshad, l’unica tv al mondo al cui esterno sono esposti elicotteri e aerei, residuati bellici della guerra ai sovietici.
Shamashad è una tv molto popolare nelle aree pasthun, in particolare nelle aree dell’est al confine del Pakistan. Una tv che da fastidio e che oggi è stata colpita con la tecnica dell’attacco multiplo: un commando che si fa largo con un’esplosione e poi si barrica all’interno per fare vittime fino all’ultima cartuccia. La firma è quella dell’ISIS ma francamente poco importa perchè le vittime sono sempre le stesse, vittime innocenti. Che sia l’ISIS, i Talebani, il clan Haqqani a colpire ormai resta incontrovertibile il dato che Kabul è il luogo più vulnerabile (e di conseguenza pericoloso) dell’Afghanistan.
“Questo è un attacco alla libertà di stampa ma non possono fermarci” ha detto Abid Ehsas, direttore di Shamshad Tv che è tornata in onda dopo poche ore dall’attacco, la foto diffusa su twitter (da Habib Khan Totakhil) di uno dei conduttori con la mano fasciata in onda a parlare dell’attentato dice molto sulla forza del popolo afghano, prigioniero di una guerra quarantennale.
Il fallimento della “ricostruzione” pagata dai noi contribuenti occidentali e la “missione incompiuta”, una guerra più lunga del secondo conflitto mondiale, si solo lasciati dietro poche cose buone: una di queste è un sistema dell’informazione, forte, libero, vibrante dove centinaia di colleghi ogni giorno ridono in faccia alla morte per fare il loro lavoro.
Le vittime di oggi a Shamshad (che già in passato aveva perso un suo giornalista, ucciso nella zona del passo Kyber) non sono le prime nè saranno le ultime per l’informazione afgana.
Sono vittime dimenticate esattamente come dimenticato è il conflitto in corso, l’oblio sulla “lunga guerra” ha tante cause, di certo impedisce di riflettere sugli errori dell’intervento militare costato all’occidente cifre astronomiche e sui rischi, in genere, di interventi in situazioni complesse e spesso, ai nostri occhi, oscure e indecifrabili. Eppure nel campionato delle notizie, con i tornei di serie A e di serie B, il fatto che la crisi afghana resti tra quelle “dimenticate” fa particolarmente rabbia, fosse solo perché dimostra la nostra disattenzione non solo verso i morti degli “altri”, verso il dolore purché lontano, verso i drammi del mondo ma anche verso quegli italiani mandati a combattere e caduti in Afghanistan.
Dimenticare l’Afghanistan
Un camion-cisterna, piena di esplosivo, è riuscito ad arrivare sin nel cuore di Kabul, a Wazir Akbar Khan, il quartiere più “esclusivo” della città dove vivono le famiglie benestanti e gli ultimi occidentali, dove hanno sede ambasciate e uffici di organizzazioni internazionali.
Il semplice fatto che il kamikaze sia riuscito a portare la sua bomba su ruote sin lì è di per sé una misura della capacità del governo di difendere non solo la capitale ma persino il perimetro vicino al palazzo presidenziale, in pratica sé stesso.
Il bilancio è drammatico e provvisorio: almeno 90 morti e 460 feriti. Molti di quest’ultimi passeranno nella lista dei deceduti o dei mutilati a vita.
Non esistono attentati “logici” ma questo è stato talmente “assurdo” e orrendo nella sua missione di fare vittime civili che persino quei taglia-gole dei Talebani hanno preso le distanze. A rivendicare è stato l’ISIS o meglio la locale filiale del sedicente stato islamico, frutto di una scissione nei Talebani afghani (finiti in pezzi dopo l’ufficializzazione della morte del Mullah Omar) e delle offensive pakistane che hanno spinto i Talebani di quel Paese a stabilirsi oltre-frontiera.
Non è il peggior attentato della storia recente del Paese, che in realtà potremmo definire come un paragrafo – quello occidentale e post-occidentale – del quarantennale capitolo di un volume di conflitti che copre diversi secoli.
Questo attentato non sarà nemmeno l’ultimo, è l’unica certezza che abbiamo al momento.
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Morti col GPS

Nelle ore in cui una parte dell’informazione italiana (e di quella mondiale) faceva – inconsapevolmente – il gioco della propaganda del califfo, coprendo i fatti di Monaco all’inseguimento di paranoie e panico, non senza presenzialismi di sorta, a Kabul tre kamikaze si muovevano in mezzo ad una folla enorme che protestava pacificamente. Dei tre solo uno riusciva a farsi esplodere, ma il risultato – nell’algebra della morte – era comunque tremendo: ottanta morti e oltre duecento feriti. Un vero mattatoio come racconta questo tremendo video.
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Ci vediamo il 16 giugno!
Ci siamo: Il libro è in stampa, tra pochi giorni lo riceveremo dalla tipografia. Le copie dei crowdfunder verranno personalizzate e spedite ma chi vorrà potrà ritirarle di persona allo spazio Lantanta in via dei Fienaroli 31 a Trastevere (Roma) il prossimo 16 giugno, dalle 18.30 alle 21.
Vi aspettiamo per un piccolo brindisi (siamo pur sempre un progetto indipendente quindi non vi aspettate il buffet di rito!), per conoscerci e/o per rivederci.
Sarà anche possibile acquistare copie del libro ad un prezzo più basso di quello di copertina, ovviamente il prezzo scontato del crowdfunding non sarà mai più ripetuto anche per una questione di rispetto verso chi ha creduto nel progetto sin dal primo momento.
Intanto eccovi la copertina del libro…che arriverà in libreria solo a settembre per via del complesso sistema della “cedole” che regola l’uscita e la distribuzione dei nuovi titoli. Chi intanto volesse comprarne una copia può farlo qui.
Chiunque fosse interessato ad organizzare una presentazione attraverso istituzioni, librerie, associazione, biblioteche e così via…puoi contattarmi qui.
PS: per chiarezza l’evento del 7 giugno è stato annullato, ci vediamo direttamente il 16/6
Tutti a bordo

Nota dell’ultimo minuto: Un paio di settimane fa – d’accordo con l’editore – avevo deciso di lanciare questa campagna oggi, per un fatto simbolico o se volete scaramantico (il 22 marzo è il mio compleanno). Stamane i drammatici fatti di Bruxelles mi hanno spinto a rifletterei sopra. Che fare? Fermarsi per qualche giorno o continuare? Alla fine ho deciso di andare avanti perché per capire le radici del terrorismo bisogna guardare lontano, spostare lo sguardo altrove, il tentativo che appunto faccio con “Missione Incompiuta”:
Pubblicare un libro in Italia è ormai sempre più difficile se di mezzo non ci sono ricette o gite turistiche, il mercato è in crisi. Se poi si tratta di questioni internazionali gli editori – o almeno quelli che ancora guardano al mondo – per andare sul sicuro comprano best seller dall’estero e li traducono.
Dopo un paio di anni di grandi complimenti (anche da parte di editori importanti) sulla qualità del lavoro, sfocianti nel rammarico de “c’è la crisi” (ed è purtroppo verissimo) ho incontrato la casa editrice Lantana, che ha deciso di mettersi in gioco scommettendo sulle 650 pagine di “Afghanistan: Missione Incompiuta 2001-2015”.
Mentre le librerie chiudono a ritmi impressionanti e la lettura digitale non decolla, sul mercato italiano per far uscire il libro c’è però bisogno del sostegno di tutti voi.
Abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding (sostanzialmente una sorta di prevendita) per portare il lavoro in stampa e in libreria, dopo averlo realizzato (ma non ancora distribuito) in versione ebook. Pre-acquistarlo ora significa anche poter contare su uno sconto di quasi il 30% sul prezzo di copertina rispetto alla libreria. Non è importante solo aderire (se vi va, ovviamente), è importante far circolare il messaggio e la notizia della campagna! Ed è importantissimo partire con la marcia alta, se volete aderire – quindi – fatelo subito!
Attacco a Parigi. Modello Mumbay-Kabul
Gli attacchi a Parigi sono stati condotti con la tecnica dell’operazione coordinata: piccoli gruppi di fuoco, dotati di armi automatiche e di attentatori suicidi, diretti in (quasi) contemporanea contro i cosiddetti “soft target” ovvero obiettivi civili a basso – se non nullo – livello di sorveglianza.
In termini operativi è un salto di “qualità” (le virgolette sono d’obbligo) rispetto agli attacchi a cui l’occidente è stato soggetto negli ultimi anni, da quello al parlamento canadese fino alla stazione di Atocha condotti con la stessa matrice militare (pochi operativi se non persino uno solo) con l’obiettivo di avere un forte impatto mediatico e il più alto numero possibile di vittime civili. Gli operativi – i terroristi – sono solitamente, immigrati di seconda o terza generazione, con alle spalle viaggi nelle aree dei campi d’addestramento, cellule in sonno che si attivano – di solito – attraverso messaggi “in codice” pubblicati su forum jiadisti e incomprensibili ai più.