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Svolta in Afghanistan

Da dicembre 55 soldati dell’esercito nazionale delle isole Tonga verranno schierati in Afghanistan, prima parte di un contingente che in totale arriverà a 275 unità (sempre in turni di 55). Il parlamento ha votato il loro dispiegamento con 22 voti a favore e nessun contrario, giustificando la risposta alla chiamata del governo britannico con la necessità di rispondere al problema della disoccupazione. I soldati di Tonga guadagneranno 30 sterline al giorno e verranno impiegati in compiti di force protection, ovvero sorveglianza della principale base britannica, Camp Bastion nell’Helmand. Un impiego che ha fatto giudicare la missione più sicura di quella svolta in Iraq nel dopo-2003. Qui la notizia dal Matangi on line. Qui dal britannico daily telegraph. Tonga ha solo 100mila abitanti, quindi è il Paese che in assoluto contribuisce alla missione Isaf col maggior numero di truppe in rapporto alla popolazione. Il titolo ironico non è dovuto alla qualità dei soldati di Tonga, quanto al fatto che il loro dispiegamento in Iraq sollevò clamore perchè fu la riprova che la coalizione di George Bush in realtà non era che un monocolore americano. Se oggi il governo britannico deve spendere 2.6 milioni di sterline (dai trasporti alle divise) e occuparsi anche dell’addestramento per dare un po’ di fiato al suo malandato esercito, messo alle corde dalla missione afghana, beh non è davvero un buon segno.

Emergency: fermati tre medici in Afghanistan

Emergency
Emergency in Afghanistan

Secondo  quanto riferisce Maso Notarianni di PeaceReporter, stamane uomini dell’NSD (il National Security Directorate – i servizi segreti afghani) con il supporto di personale Isaf sono entrati nell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah fermando tre medici italiani e sei membri dello staff locale. Secondo il governatore della provincia (sentito dall’AP e da altre agenzie internazionali), durante l’operazione sono state trovate munizioni e cinture esplosive, in pratica i fermati sono sospettati di aver favorito kamikaze e specificamente – secondo quanto riferisce lo stesso governatore Gulab Mangal – di aver favorito un complotto ai suoi danni. Una notizia che ha dell’incredibile se si considera – al di là di tutto – che Emergency è un’organizzazione umanitaria e non violenta e che, per esempio, non ha sorveglianza armata delle proprie strutture, negli ospedali come sui mezzi di Emergency non può entrare personale armato. Tutta la vicenda è comunque ancora molto confusa e poco chiara. La Nato – secondo fonti di stampa – ha smentito di aver partecipato all’operazione che sarebbe stata tutta afghana, com’è di solito avviene in casi del genere.
Di chiaro c’è solo una cosa, come ai tempi del dopo-Mastrogiacomo, è scoppiata una “grana” molto grossa che potrebbe trascinarsi a lungo anche perchè si parla di un’accusa gravissima e comunque sia, come tanti episodi in Afghanistan, destinata a lasciarsi dietro dubbi e sospetti in un’atmosfera nebulosa. Da RaiNews24 ecco le immagini diffuse dai circuiti internazionali sul blitz nell’ospedale, nelle immagini si vedono chiaramente i soldati Isaf (britannici, chiaramente non forze speciali, apparentemente membri della TF Helmand) all’interno dell’ospedale, uno di loro – lo si sente nel video -spiega agli agenti dell’ANP che sta per arrivare il team di bonifica ordigni esplosivi per quelli rinvenuti nel deposito della struttura. Inizialmente avevo pensato che la smentita di Isaf fosse stata motivata dall’intervento di forze speciali Usa (che non sono sotto il comando Isaf) ma dalle immagini si vede chiaramente la sola presenza di militari dell’esercito di Londra – anche se non è chiaro quanto dopo il blitz vero e proprio siano state girate le immagini. I dettagli in casi del genere e in Afghanistan, in particolare, sono fondamentali per comprendere il quadro generale.

Intanto sono stati diffusi i nomi dei tre italiani coinvolti: l’infermiere Matteo Dell’Aira, coordinatore medico dell’ospedale, il chirurgo bresciano Marco Garatti e Matteo Pagani, tecnico della logistica. Ecco il comunicato di Emergency. Domenica la conferenza stampa di Gino Strada.

Di sotto copio&incollo da un pezzo di Repubblica.it una sintesi sulla posizione della Farnesina che mi sembra prenda le distanze da tutta la vicenda, assumendo una posizione molto cauta:

La precisazione della Farnesina. Il ministero degli Esteri conferma la notizia, aggiungendo che il ministro Franco Frattini sta seguendo gli sviluppi della vicenda in stretto raccordo con l’ambasciata italiana a Kabul e le autorità locali. In attesa di poter conoscere la dinamica dell’episodio e le motivazioni dei fermi, il governo italiano ribadisce la linea di assoluto rigore contro qualsiasi attività di sostegno diretto o indiretto al terrorismo, sia in Afghanistan così come altrove.
La Farnesina precisa tuttavia che “I medici italiani in stato di fermo lavoravano in una struttura umanitaria non riconducibile nè direttamente nè indirettamente alle attività finanziate dalla cooperazione italiana”.


L’ospedale di Emergency a Lashkar Ga
h, capitale della provincia di Helmand (leggi roccaforte talebana e capitale mondiale dell’oppio) è in “primo piano” da settimane perchè ha tenuto alta l’attenzione sulle vittime civili dell’operazione Moshtarak a Marjah in febbraio, ricevendo una grande copertura mediatica internazionale (ecco alcune delle testimonianze diffuse, in quei giorni, dallo staff dell’ospedale). Alias l’unico modo, all’epoca, per molti giornalisti per vedere e raccogliere le storie dei feriti è stato visitare l’ospedale dell’organizzazione di Gino Strada (vedi qui il report di Al Jazeera girato in quei giorni). C’è anche da dire che la linea di Emergency è sempre stata molto chiara su un punto, ovvero: offriamo assistenza sanitaria a tutti, senza chiedergli da che parte stanno, compresi presunti “talebani”. Non è escluso che fatti del genere possono aver contribuito a rendere tesi i rapporti con le autorità locali. Non vorrei sbilanciarmi in previsioni ma questa storia potrebbe diventare una seria ipoteca sulla permanenza di quell’ospedale – pur così importante per la popolazione – nella capitale dell’Helmand.

Ho trovato in circuito (non riesco a citarne la fonte e me ne scuso) questa intervista al generale Fabio Mini, militare in pensione che è anche un acuto e coraggioso commentatore, mi sembra molto interessante. Eccola:

Emergency e’ diventata, soprattutto dopo il sequestro di Daniele Mastrogiacomo, un’organizzazione “scomoda e sgradita a molti” in Afghanistan. “Anche in ambito Isaf aleggia il sospetto che l’associazione di Gino Strada dia manforte ai talebani”, ha spiegato il generale Mini, “da tempo sull’organizzazione e’ calata la mannaia del sospetto “. Per il generale Fabio Mini, ex comandante della forza multinazionale Nato in Kosovo (Kfor), l’irruzione nell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah dei servizi afghani e dell’Isaf per prelevare quattro medici -tra cui tre italiani- puo’ avere due chiavi di lettura. “O si tratta di un controllo che l’Isaf sta facendo su tutte le organizzazioni non governative”, ha spiegato il generale Mini, “e allora si potrebbe parlare quasi di ‘routine’, anche se in questo tipo di operazioni mai si arresta o preleva qualcuno; oppure sono i servizi segreti afghani che, a causa dei vecchi sospetti di collusione di Emergency con i talebani e probabilmente disponendo di informazioni mirate, vogliono dare un giro di vite contro l’azione sgradita di chi cura i feriti senza chiedere la carta d’identita’ e senza schierarsi”. Secondo Mini si tratta comunque di “un’intimidazione”. Emergency, ha sottolineato l’ex comandante di Stato maggiore delle forze Nato del sud Europa, “e’ scomodissima: e’ il ‘cattivo’ modello di quello che puo’ funzionare quando parli con il nemico, e in Afghanistan queste cose non si possono sentir dire, nonostante le aperture di Obama”

Il riferimento di Mini è alla vicenda di Ramatullah Hamefi, mediatore del sequestro Mastrogiacomo e collaboratore di Emergency a Lashkar Gah, arrestato dopo la (tragica per il giornalista afghano Ajmal Nashbandi) conclusione del sequestro.

Da quanto si legge sul NY Times (qui il link), in pratica – secondo gli investigatori – il piano sarebbe stato quello di un primo attentato in un luogo molto affollato, a seguire un secondo attentato durante la (prevedibile) visita del governatore ai feriti in ospedale per ucciderlo, colpendolo in uno dei rari momenti in cui non è “blidantissimo”.

Almeno un’altra settimana di guerra a Marja…Ma è solo l’inizio

Mine ed IED da disinnescare, cecchini da eliminare, case da perquisire, bunker da far saltare, covi talebani (soprattutto nella parte sud della città) da bonificare…Il tutto a ritmi necessariamente lentissimi per cui a Marja si combatterà almeno per un’altra settimana. Lo sostiene il generale Lawrence D. Nicholson, che comanda la 2nd Marine Expeditionary Brigade in questa corrispondenza del Washington Post. Sin’ora a morire, secondo fonti militari, sarebbero stati 12 militari Nato (di questi, otto marines), centinaia di guerriglieri e almeno 14 civili ma la “ripresa” della città è ancora lontano e non è detto che una volta “ripulita” un’area infestata dai talebani non si apra uno stillicidio in stile iracheno di attacchi urbani su piccola scala (interessante al riguardo questo articolo di RFE). Squadre di cecchini dei marines sono state infiltrate dietro le “linee” talebane a Marja proprio per agevolare l’ingresso nella parte sud della città mentre quella nord inizia lentamente a ripopolarsi (si sta lavorando per creare una “bolla di sicurezza” via via sempre più ampia).
Ovviamente quando cesseranno i combattimenti, inizierà la vera battaglia…quella per conquistare il supporto della popolazione locale e mostrare loro che conviene stare dalla parte del governo Karzai. E più passa il tempo, più i civili rimangono in ostaggio di una battaglia che non li appartiene, più sarà difficile convincerli che ne è valsa la pena.


Marja non è che l’inizio
, questo era chiaro da tempo ma il generale Petraeus (l’uomo dell’Iraq “pacificato”, l’ispiratore di McCrhystal e della strategia aghana di Obama) oggi a “Meet the Press” della Nbc ha spiegato come dopo la città dell’Helmand (dove tra l’altro ipotizza un mese di tempo per renderla completamente sicura) toccherà ad altre roccaforti talebane (anche nell’italiana Farah quindi?), in una campagna che durerà dai 12 ai 18 mesi (la Bbc ha una buona sintesi dell’intervista). Pare certo che il prossimo bersaglio sarà Kandahar, la capitale spirituale dei talebani.

Cosa sta succedendo davvero a Marja?

Mentre il governo olandese implode, diviso sul prolungamento della missione nella provincia di Uruzgan, (a riprova di quanto destabilizzante continua ad essere – come è sempre stato da secoli – l’epicentro afghano anche a migliaia di chilometri di distanza) è scomparsa dai “radar” – in particolare dei media italiani – l’operazione “insieme” a Marja. Operazione chiave per riportare sotto controllo la roccaforte talebana dell’Hellmand e rimediare agli errori commessi sin’ora  (nell’area vive il grosso della popolazione dell’Hellmand ed era governata dai talebani…incredibile, no? come chiedere la lealtà degli afghani al governo afghano se quel governo non l’hanno mai visto e in “municipio” c’è un governatore talebano!).
Da questo punto di vista, l’operazione Mushtarak è decisiva per l’andamento di tutta la missione Isaf.

Fermo restando che in ballo non c’è una vittoria militare (il “take&clear” dei marines) perchè è scontata quella occidentale, ma il vero punto sarà l’ “hold” ovvero il tenere le posizioni e vincere il supporto della popolazione locale senza il quale i talebani torneranno e presto, per questo la definivo qualche giorno fa la non-battaglia di Marja. Bisognava evitare – come sembrava anche dai titoli dei media – che la gente a casa pensasse che si era arrivati ad una specie di mezzogiorno di fuoco, dove chi spara per primo vince. In Afghanistan le cose non sono mai andate così ed a Marja alle difficoltà tipiche del contesto afghano si sta aggiungendo un tocco di “urban warfare”, di combattimento in ambiente urbano con trappole esplosive, cecchini che sparano non sai da dove, imboscate tra terrazzi e case (che siano o meno abitate da civili).

In termini strettamente bellici una settimana dopo l’inserimento delle prime compagnie di marines arrivate in elicottero e il successivo arrivo di colonne meccanizzate, le cose non stanno andando benissimo e come scrivevo nel post precedente si conferma che l’operazione è destinate ad andare lentamente ed a durare a lungo. Ovviamente sui tv, radio e giornali (in particolare italiani, con qualche eccezione) non se ne parla più e magari a casa la gente pensa che sia tutto finito. Ma vediamo il punto ufficiale (solitamente cauto come tutti i bollettini del genere) sulla situazione, secondo l’Isaf: “Fighting remains difficult in the northeast and west of Marjeh, but insurgent activity is not limited to those areas”.
In pratica la situazione è difficile e più passa il tempo più la popolazione locale perde la pazienza e non può tornare alla propria vita quotidiana, un fattore che rende più difficile il dopo-combattimenti. Nonostante il comunicato Nato annunci l’arrivo della polizia afghana (ANP) nel distretto e l’attivazione del programma “Cash for Work”, ovvero di “reintegrazione” per i guerriglieri al quale avrebbero già aderito in duemila (?!) nel distretto di Nad-e-Ali.
Per capire la cornice dell’operazione, e sul suo valore di “offensiva mediatica” e di “guerra percepita”, c’è questo articolo da Washington del New York Times.

Ma un racconto imperdibile su quanto sta accadendo sul campo (sul piano strettamente militare e dal punto di vista dei soldati occidentali) è questo del washington post che ha un reporter embed con i Marines, le cui cronache (da leggere in “serie”) fanno ben capire quanto difficile sia il combattimento per giunta in un paese senza infrastrutture e in una città che non è una città per come la intendiamo noi e dove, quindi, le condizioni di vita sono in generale durissime.
Sì la città di Marja, a proposito, lì ci vivono circa 125mila persone, ma solo 10-15mila sarebbero – secondo stime Onu – fuggite nella capitale provinciale Lashkarga (dove per scelta non è stato allestito un campo profughi). Traduzione si sta combattendo in mezzo a più di centomila persone, presumibilmente bloccate in casa senza cure e provviste. Quanto sia difficile vivere così in un campo di battaglia e quanto a lungo ancora ci possano riuscire…beh, questo immaginatevelo voi. Per capirlo sul serio, dovranno passare giorni dalla fine degli scontri, della proposta della propaganda talebani lanciata ai giornalisti di venire sul campo a verificare la sconfitta occidentale…purtroppo non c’è da fidarsi.

La non-battaglia di Marja

La più grande operazione dai tempi dell’invasione del 2001 mai svolta, sin’ora, in Afghanistan. E’ stata definita così l’operazione “insieme” (mushtarak), iniziata sabato mattina nel sud dell’Hellmand. In realtà quella di Marja non è una battaglia, nonostante i 15mila uomini coinvolti e le centinaia di mezzi utilizzati, tra elicotteri e blindati. Voglio dire che è tutt’altra cosa da una sorta di scontro finale tra talebani e militari occidentali come potrebbe sembrare da certi “titoloni” a cui l’operazione pur si presta. I talebani sono e resteranno un movimento di guerriglia che colpisce e scappa via, un nemico fantasma che sa benissimo quando scomparire per evitare lo scontro frontale con il colosso militare straniero che preferisce invece logorare. A Marja è già chiaro chi ha vinto, gli occidentali. Del resto nel sud del paese non è la prima volta che un’operazione del genere riesce, vedi Musa Qala che è il vero paragone da fare a questa operazione piuttosto che la Falluja più volte agitata in questi giorni (la durissima – quella sì – battaglia combattuta casa per casa dagli americani in Iraq, non senza vittime civili). In pratica non c’è alcun dubbio che alla fine di questa lunghissima operazione (dopo vedremo perchè lunghissima) gli occidentali avranno il controllo della città, diventata negli ultimi anni una base talebana e raffineria di oppio su scala industriale. Il punto è capire se riusciranno o meno a sostituirsi ai talebani nel governo della zona se quel “government ready in the box” che gli occidentali stanno portando con sè farà toccare con mano agli abitanti dell’area che esiste un governo afghano e che, soprattutto, conviene sostenerlo perchè porta con sè sicurezza, ricostruzione, assistenza. Insomma il cuore della dottrina del generale McChrystal per battere la guerriglia portando la popolazione civile dalla propria parte. Ed è cruciale anche perchè intorno a Marja si concentrano i villagi dove vive il grosso della popolazione della provincia.

Per ora la popolazione civile ha contato dodici vittime, colpite per sbaglio da due razzi (pare che la famiglia fosse in una casa dalla quale sparavano i talebani), e l’assenza di soccorsi ai feriti denunciata oggi da Emergency che nella capitale della provincia gestisce uno dei suoi tre ospedali afghani.

Annunciata da mesi (tra le righe di interviste e corrispondenze dall’area), l’operazione è stata addirittura anticipata nelle ultime  settimane con il lancio di volantini per spingere la popolazione ad evacuare l’area. Questo ha dato il tempo ai talebani di fuggire e di trasformare i campi e i canali (cruciali per spostarsi nelle zone coltivate dell’Helmand, che è in generale provincia desertica) nel più grande campo minato del paese, che è uno dei più minati al mondo. Questo sta rallentando, in maniera estenuante, l’avanzata dei Marines americani che stanno impiegando anche ore per percorrere poche centinaia di metri ed esponendoli al fuoco di cecchini e ad imboscate, oltre a bloccare i mezzi che già di per sè (compreso il nuovo anti-mine “breacher”) sono messi a dura prova da questo terreno. Un po’ di dettagli sull’operazione (sembra per l’occasione dimenticato il divieto militare di descrivere operazioni in corso) vengono dalle corrispondenze del NY Times che ha un reporter embed con la prima avanguardia dei marines, quella arrivata in elicottero alla periferia della città. Il Washington Post ha invece un reporter al seguito della seconda onda, quella arrivata via terra. Il quadro lo completa la Bbc che ha un inviato al seguito delle truppe britanniche che stanno operando sui fianchi nel distretto di Nad Ali.

Ma, al di là dello scontro sul campo, a Marja la vera battaglia comincerà quando le operazioni militari saranno finite e non basterà una bandiera afghana issata sulle sedi governative (abbandonate da tempo) a dire che lì è tornato il governo di Karzai.