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Il fango pakistano

C’è anche un risvolto politico nelle ondate di piena che stanno scendendo lungo il bacino idrografico dell’Indo, spostando sempre più a valle – verso sud e verso est – la tragedia pakistana, alluvioni che hanno colpito a vario titolo tra i tredici ed i quindici milioni di persone nel paese; una tragedia senza precedenti che va avanti da due settimane, forse senza l’attenzione mediatica che meriterebbe. Mentre l’emergenza si allarga, nel nord-est, nelle FATA (le aree tribali, pasthun, al confine con l’Afghanistan) dove inizialmente hanno colpito le piogge monsoniche – giorni e giorni dopo – non è nemmeno chiaro quale sia la situazione visto che è difficile passare tra le montagne se non a dorso di mulo. Anche perchè dopo le alluvioni stanno arrivando le frane.

Il presidente Zardari, vedovo della compianta Benazir Bhutto, mentre il suo Paese affondava nel fango, non ha ritenuto di lasciare il lungo tour europeo. In Inghilterra, dove le comunità pakistane sono numerose, si è preso – tra le altre contestazioni – persino una scarpa, tiratagli dalla folla di connazionali in stile-Bush. E’ stato un suicidio politico per un presidente già debole. Intanto sul campo si è visto l’esercito che ha guadagnato crediti agli occhi dell’opinione pubblica, una tirata a lucido per il potere forte della società pakistana e che di questo passo tornerà a piazzare un suo graduato sulla poltrona più importante del Paese. Nelle FATA, come nella valle dello swat, l’esercito si è visto di meno, anche perchè quella è una zona di guerra e non è casa sua. Lì comandano i talebani e si stanno vedendo sul campo ad aiutare i sopravvissuti le organizzazioni caritatevoli islamiche, molto spesso un punto a favore degli integralisti. Difficile pensare che i sei chinook (elicotteri da trasporto a doppia pala) mandati dagli americani oltre frontiera, possano riequilibrare la battaglia d’immagine che è in corso sul campo. Da quanto se ne sa, i risvolti politici che galleggiano nel fango pakistan stanno preoccupando sempre più i diplomatici americani.
Mentre nuove ondate di piena sono attese lungo il fiume Kabul e il fiume Kunar che dall’Afghanistan arrivano in Pakistan, non è chiaro che cosa succederà nei prossimi mesi ai vertici di un Paese decisivo quanto pericolo nella cosiddetta “guerra al terrore” o meglio per gli esiti della guerra sul confinante suolo afghano.

Bala Morghab e oltre…

La guerra degli italiani. Le notizie del giorno: un parà del “Nembo” ferito a Bala Morghab, un militare afghano morto nella stessa imboscata; parà italiani intervengono a Farah in difesa di un avamposto afghano sotto attacco (due i caduti afghani); sempre a Farah operazione della folgore contro un un gruppo di “fabbricanti” di IED (bombe per agguati esplosivi) con quattro presunti talebani arrestati e un vasto deposito di munizioni sequestrato…

Cosa ci dicono notizie come queste che si ripetono con frequenza sempre più alta? E’ ormai chiaro,  che all’interno di Rc-West, il quadrante Isaf a guida “tricolore”, si combatte quasi ogni giorno. Per inciso, è ormai chiaro nonostante la malaugurata assenza di fonti indipendenti sul campo; le notizie italiane di fonte militare – va detto – sono ben più prodighe di dettagli che in passato, ma sono pur sempre notizie “ufficiali” senza riscontro indipendente.
Nell’ultimo anno si è lavorato per preparare il campo a questa svolta (per esempio allestendo nuove Fob, basi operative avanzate e preparando la costituzione del secondo Battle Group) che la Folgore sta attuando ormai a tutto campo; ma nel contesto sta pesando (come racconta Gianluca di Feo in questo articolo su l’Espresso) l’arrivo delle nuove truppe americane che stanno consentendo ai nostri militari di concentrarsi su alcune specifiche aree della sempre più calda provincia di Farah mentre è chiaro che Bala Morghab è sempre più un punto chiave nella strategia dell’Isaf (che qualche giorno fa ha emesso un comunicato senza precedenti in cui parlava di “vittoria decisiva” raggiunta nella zona…intanto però si continua a combattere per “eliminare le sacche di resistenza residue”…a proposito di assenza di fonti indipendenti…sull’operazione a Bala Morghab si segnala però questo video de El Mundo, girato al seguito ovviamente degli americani)
Emerge, a questo punto, il dato di una missione ormai sempre più “combattente” che dovrebbe essere chiarito per mille buoni motivi…

La Guantanamo d’Afghanistan. Quante volte un taxi si è diretto verso il “dark side”? La parafrasi del titolo del grande documentario (da poco distribuito in Italia) sulla sorte dei prigionieri in quella che è considerata la Guantanamo d’Afghanistan, ovvero il carcere all’interno della base di Baghram, serve a segnalare questa inchiesta della Bbc che ne ha intervistato un certo numero confermando la sinistra fama della struttura di detenzione, il cui ruolo è amplificato in un paese con poche carceri e senza un vero sistema giudiziario.

Kunduz “precipita”. Da qualche giorno suona la sveglia a Kunduz, gli attacchi e le uccisioni di soldati tedeschi (tre ieri) testimoniano quanto e quanto rapidamente sia cambiata la situazione in una provincia sin’ora tutto sommato tranquilla (personalmente l’anno scorso l’ho visitata da solo, senza particolari misure di sicurezza). E’ un segno preoccupante per la stabilità del Nord (in questo caso Nord-est, ma il Nord-ovest “italiano” non fa eccezione) che è già stato strategico in passato per la conquista del paese da parte della guerriglia. Ma è anche un segno che a breve la Germania (sin’ora aspramente criticata, seppur a bassa voce, per l’impiego “soft” del suo contingente militare) dovrà fare i conti con la missione afghana e con il ruolo dei suoi militari che a breve saranno oltre quattromila.

“Rotte” Logistiche. Alla fine tra l’amarezza e le critiche russe (Mosca ci aveva puntato molto), Kirghizistan e gli Usa hanno siglato la pace sulla base di Manas (fondamentale per la logistica afghana e per il rifornimento in volo) che non si chiamerà più base ma…scalo merci…