Oggi al liceo Mamiani di Roma, la FNSI e l’associazione Articolo 21 hanno celebrato la giornata mondiale per la libertà di stampa. Sono stato invitato a parlare della situazione dei giornalisti afghani, la giornata è stata dedicata ai 10 colleghi uccisi nel Paese il 30 aprile, ma ha affrontato le minacce all’informazione dalla Turchia all’Italia.
Si continua a discutere del video diffuso da WikiLeaks, il sito specializzato in denunce scottanti, che descrive l’uccisione di almeno dodici civili in Iraq nel 2007 da parte di due elicotteri Apache dell’esercito americano. Il video originale dura circa 17 minuti, un tempo abbastanza lungo nell’era contemporanea della fretta per cui oltre a linkare un altro servizio che ho realizzato per il mio telegiornale (eccolo, edizione delle 19 del 6 aprile – che sintetizza il video integrale) volevo segnalare alcuni momenti chiavi del video stesso (qui l’integrale).
Prima di farlo, sento il bisogno di segnalare un paio di osservazioni personali: per quanto tra le vittime ci siamo due giornalisti, in questi giorni si è parlato (vedi i titoli di troppa stampa) della loro uccisione piuttosto che di quella di almeno altri 10 civili; alcuni uomini sono armati e anche se i teleobiettivi vengono scambiati per rpg, nessuno degli uomini a terra mostra intenti ostili verso gli elicotteri; un convoglio a terra – si sente nelle conversazioni radio, è “bushmaster” – stava per passare in zona ma si capisce che era decisamente distante, come si capisce che quell’assembramento (chiaramente scambiato dai piloti per la preparazione di un’imboscata) non poneva un pericolo “reale” per nessuno.
Aggiungo inoltre che molti dei commenti che ho visto in giro, dopo la diffusione del video, puntano molto sul tono delle conversazioni, sul linguaggio dei piloti ecc ecc – al di là del facile moralismo e anti-militarismo, bisogna inquadrare l’episodio per quello che è ovvero il frutto della logica a spirale della guerra; un conflitto dove il nemico è nascosto tra la popolazione civile, dove un colosso militare vacilla preso a colpi di fionda da tanti piccoli davide e reagisce (a volte) nel modo in cui vediamo, inoltre non sappiamo quale “intelligence” sia stata data quel giorno ai piloti. Tutto ciò ovviamente non giustifica quello che è solo un massacro di innocenti (punto e basta) ma vorrei si evitasse di parlare dei piloti cattivi o dei militari assassini, questi sono “dettagli” il vero problema – secondo me – resta è il contesto, quello di un conflitto più assurdo di quanto ogni conflitto possa essere.
I punti chiave: vengono indicati in minuti rispetto alla durata del video (sono quelli che vedete nel player di youtube) ma non è la durata dell’intera scena “nella realtà” visto che in diversi punti ci sono dei tagli
– 3.22 le telecamere vengono scambiate per armi (“that’s a weapon”) mentre i reporter stanno camminando in zona
– 3.44 vengono individuati anche alcuni uomini della zona con Ak-47 (cosa alquanto normale in Iraq)
– 4.00 la decisione di attaccare è già presa (la pattuglia comunica che non ha uomini in zona quindi, si desume, non c’è rischio di “fuoco amico”)
– 4.08 da dietro l’angolo dell’edificio uno dei due colleghi spunta con la sua macchina fotografica che viene (per la prima volta) identificata come un rpg, un errore fatale- 4.23 “we had a guy shooting” si sente nelle conversazioni radio eppure dal video non c’è alcuna evidenza del fatto che siano stati sparati colpi, potrebbe essere il riferimento fatto dal convoglio a terra di un colpo ricevuto in un’altra area ma il contesto non è chiaro (potrebbe anche essere il pilota che giustifica così l’imminente e già deciso attacco)
– 4.53 primo attacco
– 5.55 un’altra raffica per garantirsi la “pulizia” dell’area
– 6.33 “guarda quei bastardi morti” – “bello” (conversazione tra i piloti)
– 7.33 viene individuato un sopravvissuto, ferito a terra, a quel punto la pattuglia risponde che si sta recando sul ponto e i piloti comunicano che non spareranno più. Il ferito è Saaed
– 8.00 i piloti si chiedono se il ferito che si sta spostando ha un’arma
– 8.32 “all you got to do is pick up a weapon” ovvero se il ferito mostra o prende un’arma si sparerà di nuovo
– 8.59 “if we see weapons, we gonna engage” nella conversazione con il convoglio
– 9.13 viene individuato il pulmino che arriva sulla scena dell’attacco, i piloti temano che stia lì per recuperare i corpi e i feriti è quello che succederà di lì a poco
– 9.40 “come on let us shoot” “sù fateci sparare” i piloti chiedono l’autorizzazione a sparare di nuovo per impedire che armi, feriti e corpi vengano portati via prima dell’arrivo della pattuglia
– 10.08 attacco al pulmino, almeno altre quattro vittime, è chiaro che gli uomini che scendono a recuperare il ferito non hanno armi nè hanno in visto il convoglio militare a cui stanno per sottrarre il ferito (nel caso fosse chissà quale capo di Al Qaeda, per capirci) si tratta semplicemente di persone venute in aiuto
– 11.00 seconda raffica sul pulmino, “di sicurezza”
– 12.17 il conteggio delle vittime – fatto dai piloti – va da 12 a 15 (osservando anche i corpi attraverso il parabrezza del pulmino)
– 12.52 il pilota nota che l’humvee della pattuglia (in zona arriverà poi anche un blindato bradley e si vedrà un camion con quelli che sembrano prigionieri) è passato sopra un corpo, risate
– 14.08 si vede uno dei soldati portare in braccio quello che poi si scoprirà essere un bimbo ferito, lo porta verso il bradley (che è il blindato più grande ed imponente)
– 14.40 un secondo bambino ferito viene estratto dal pulmino
– 15.10 viene negata l’autorizzazione al trasporto dei feriti all’ospedale militare americano, devono essere consegnati alla polizia irachena (“IPs”)
– 15.24 in questa scena, lungo la strada, si vede l’intera colonna della pattuglia (4 humvee, 1 bradley, 1 5-ton)
– 15.31 “è colpa loro se portano i loro bambini in mezzo ad una battaglia” – “è vero” conversazione tra i piloti sul rivenimento dei due bambini tra i feriti
– 15.59 ingrandimento della scena con il pulmino e l’indicazione in grafica (aggiunta da wikileaks, come le altre presenti nel video) che mostra i due bambini nel pulmino
Ho trovato molto interessante questo post sul blog “At War” del New York Times (eccolo qui) che in pratica raccoglie i commenti al video sui blog militari, da leggere! Sempre dal NY Times segnalo questo articolo dal blog “Lens” dedicato al fotogiornalismo, che ricorda la figura del fotografo Reuters ucciso nell’attacco Namir Noor-Eldeen, come sopra da non perdere ecco il link. Per approfondire invece come lavori WikiLeaks (secondo alcuni una nuova forma di giornalismo investigativo, secondo altri una fonte contestabile) ecco un link dalla Bbc.
Come ho scritto più volte, la uso perchè è necessaria per farsi capire in un servizio magari di un minuto e quindici o in un pezzo di venti righe. Eppure odio la definizione “vittime civili”. Il fatto che un innocente, disarmato, che nulla ha a che fare con le parti in combattimento venga ucciso (magari si tratta anche di un bambino o di una donna, di un anziano non in età combattente) per è un segno di grande inciviltà, l’esatto opposto di quello che questa definizione “tutta-pulita” ci suggerisce. Al riguardo, oggi rilancio un video pubblicato poche ore fa da WikiLeaks un sito che si mette a disposizione di chi voglia diffondere “indiscrezioni” e “verità” su episodi politico-militari e similari, senza esporsi personalmente.
Nel video, registrato da uno degli Apache in servizio nel cielo di Baghdad nel 2007, si vede l’attacco ad un gruppo di civili – tra loro due stringer della Reuters, stimatissimi colleghi, le cui macchine fotografiche e telecamere (sempre lo stesso film no?) vengono scambiate per armi – è la scusa per avviare l’attacco.
Penso sia difficile immaginare persino i buchi che il cannoncino di bordo dell’Apache ha lasciato su quei corpi. Quando il convoglio di terra con bradley e humvee arriva sul posto troverà anche due bambini, feriti ma ancora in vita. Il contesto è quello di un colosso militare, quello americano, ormai sull’orlo di una crisi di nervi nel suo anno peggiore in Iraq, una guerra nel quale stava affondando dopo la scellerata invasione del 2003. Lo dico per dare il giusto contesto ad un video che altrimenti sembra venuto fuori da un videogioco. Dedicate 17 minuti a questa visione, ne vale la pena. E’ un grande esempio (reale) di quanto la morte in guerra possa essere “banale”, avvenire in un attimo, arrivare dall’alto senza nemmeno potersi chiedere “perchè proprio io?”.
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Quando muoiono dei militari in Afghanistan, ricomincia il dibattito su perchè siano stati mandati così lontano da casa e cosa stiano facendo laggiù. Quando muore un giornalista, la risposta è semplice e non richiede un dibattito sulla guerra al terrore: era laggiù per raccontare cosa sia davvero la guerra. A tutti, in particolare – in tempi di festività – a chi stappa lo spumante e taglia il panettone al caldo della propria casa con l’unico pericolo che qualche imbecille spari a mezzanotte un fuoco d’artificio illegale. Perchè una guerra si può raccontare solo dalla prima linea.
“If I blow up, I’ll blow up”. Se salto in aria, salto in aria – si ripetono, quasi sempre, prima di partire in convoglio i militari (e i giornalisti) che stanno salendo su un mezzo “blindato” in Afghanistan. Per fortuna, non capita quasi mai, quasi…ma lo spettro dell’esplosione ti accompagna per tutto il percorso e oltre.
Il nitrato d’ammonio è un magnifico fertilizzante, in Pakistan si può comprare anche quello ad alta concentrazione: l’ideale per “impastare” una bomba come quelle che nei freddi comunicati militari vengono definite “homemade bomb”, ordigni fatti in casa. L’utilizzo di fertilizzante piuttosto che di vecchie munizioni (colpi di mortaio, rpg e varie che in Afghanistan abbondano) rende l’IED così prodotto virtualmente invisibile ai metal detector, perchè di metallo non ne contiene affatto.
Proprio per l’esplosione di un ordigno del genere, ieri, come capitato sin’ora a centinaia di militari, è morto un altro giornalista: Rupert Hamer del britannico “The Sunday Mirror”. Stava viaggiando con un convoglio di US Marines nella provincia di Hellmand, con lui sono morti un militare americano e uno afghano, altri quattro sono stati seriamente feriti. Assieme ad Hammer c’erà un fotoreporter della stessa testata, Philip Coburn, 43 anni, ferito ma in condizioni definite stabili (una rassicurazione sul fatto che non è a rischio della vita ma definizione che nulla dice sulla portata delle sue ferite). Hamer è il secondo giornalista embed nel sud del paese con le truppe occidentali, a venir ucciso dopo Michelle Lang del “The Calgary Herald” – morta in circostanze analoghe.
“Rupert believed that the only place to report a war was from the front line, and as our defence correspondent he wanted to be embedded with the US marines at the start of their vital surge into Southern Afghanistan. One of his last acts was to organise a special Christmas newspaper produced solely for the troops packed with messages from loved ones which was flown out by the RAF three weeks ago. He was a fine, fearless, and skilled writer who joined the paper 12 years ago. Affectionately known as Corporal Hamer in the office, he was a gregarious figure , a wonderful friend who was hugely popular with his colleagues”.
La morte di Hammer come l’uccisione della Lang al di là della loro drammaticità, incancellabileper chi fa il loro stesso lavoro e per chi (magari senza rendersene conto di quanto sia complesso produrli) legge, guarda o ascolta i racconti da un paese in guerra, mette in evidenza un dato nuovo sul fronte afghano. Nel sud del paese sembra si stia smentendo un classico assioma: ovvero che la guerra in Afghanistan è una guerra stagionale, interrotta da una “climatica” tregua invernale. Un apparente cambiamento che sarà il caso di tenere sotto controllo nelle prossime settimane. Per ora ci resta l’amarezza di due colleghi morti a cavallo tra dicembre e gennaio, il periodo più tranquillo (almeno sin’ora) per stare in prima linea, di solito richiesto dalle testate solo per celebrare il natale e il capodanno dei militari all’estero. Non a caso Hammer aveva appena realizzato un numero speciale della sua testata pensato proprio per le feste natalizie del contingente britannico. Chiamatelo pure scherzo del destino, non riporterà in vita nè Lang nè Hamer, nè i militari morti assieme a loro.