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Facciamo uscire il libro di Gabriele Torsello

Gabriele Torsello in Afghanistan
Gabriele Torsello in Afghanistan


Gabriele Torsello è il fotoreporter italiano rapito nel 2006 in Afghanistan, famoso per uno sguardo “sensibile” alle storie degli ultimi in particolare in quella parte d’Asia. Gabriele sta provando a pubblicare un libro fotografico sull’Afghanistan che racconta anche del suo sequestro (vedi un’anticipazione a speciale Tg1 di ieri) ma ha delle difficolta ed ha bisogno dell’aiuto di tutti quelli che hanno a cuore l’Afghanistan e le sorti del giornalismo indipendente. Senza aiuto c’è il rischio che questo libro non veda la luce. Io personalmente ho deciso di contribuire acquistandone in anticipo un po’ di copie e provando a diffondere il testo che potete leggere di seguito.


Il libro fotogiornalistico nel quale racconto l’Afghanistan e l’intera vicenda del mio sequestro, con tutti i dettagli, ha bisogno della tua collaborazione.

Sono due anni che si lavora sul progetto e, proprio nella fase conclusiva, il terzo sponsor non ha confermato il finanziamento necessario per stampare il libro.

Le motivazioni? Nessuna. Posso dirti però che inizialmente la bozza è piaciuta moltissimo e solo dopo aver fornito ulteriori dettagli del contenuto (racconto del sequestro…) la sponsorizzazione è stata negata.

Avrei due scelte:

1)   Eliminare certi dettagli dal libro

2)   Chiedere la tua collaborazione

Ovviamente escludo a priori la prima e chiedo l’intervento dei singoli individui per concludere e avviare il progetto.

Come?

1) Prevendita: acquista una copia del libro in anticipo al costo di €20 (incluse spese di spedizione)

2) Formiamo il ‘Terzo Sponsor’: Partecipa alla sponsorizzazione del libro versando una quota libera.

In entrambi i casi i versamenti dovrebbero essere effettuati attraverso bonifico bancario o per assegno non trasferibile intestato a KASH GTorsello, con una email di conferma indirizzata a kashtorsello@me.com e specificando se si vuole il proprio nome inserito nella pagina dei ringraziamenti o meno.

Le coordinate bancarie:

Banca Unicredit

IBAN: IT 42 O 03002 77530 000401134483 KASH GTorsello

Indirizzo di posta:

Kash GTorsello

Via Scipione SanGiovanni 40

73031 Alessano (LE)

Per ulteriori informazioni o per qualsiasi domanda,

scrivetemi studiotorsello@me.com

Ovviamente per qualsiasi domanda scrivetemi.

Grazie e a presto

Kash Gabriele Torsello

12 ottobre 2009

7 mesi e 10 giorni, David Rohde racconta il suo sequestro

Ad alcuni mesi dalla sua liberazione il giornalista del New York Times, David Rohde, rapito dai talebani e tenuto prigioniero per sette mesi (la maggior parte dei quali in Pakistan) racconta la sua drammatica esperienza finita in maniera rocambolesca e segnata dal silenzio richiesto ed ottenuto dal suo quotidiano ai media di tutto il mondo (come lo stesso NY Times proverà a fare nel settembre scorso con il rapimento di un altro suo giornalista, Stephen Farrell, finito purtroppo in maniera ben diversa ovvero con la morte di molti, incluso il suo producer afghano Sultan Munadi).

Il racconto è diviso in cinque puntate, oggi è stata pubblicata la prima, a questo indirizzo, al testo si accompagna anche una versione multimediale del racconto – per vederla basta cliccare qui. La storia è interessante non solo per fare chiarezza sulla sua rocambolesca conclusione (su cui sono stati espressi dubbi – in pratica, si diffuse la voce che era stato pagato un riscatto, a smentire l’ipotesi della fuga – fatto molto grave vista l’attitudine americana a non pagare riscatti) ma perchè è uno straordinario documento. Apprezzabile la condotta del NY Times in tutta la vicenda, dal silenzio sul sequestro alla scelta di pubblicare il tutto solo a mesi di distanza. Una scelta che – nella speranza che non serva mai – dovrebbe servire di lezione anche nel nostro paese.

Dall’Italia, segnalo un’altra storia un altro racconto di un giornalista rapito in Afghanistan. La storia è quella del fotografo Gabriele Torsello, famoso per il suo obiettivo “sensibile” alle vicende degli ultimi in particolare in quella parte di Asia. Il suo racconto a Speciale Tg1, questa sera alle 23.30

Giornalisti e talebani

A raccontare i dettagli della fuga, è stato Tahir Ludin, il producer afghano che aveva promesso a David Rhode del New York Times di portarlo ad un’intervista con un capo talebano nella provincia di Logar, Abu Tayeb. Un’operazione riuscita due volte a Ludin, con altri giornalisti occidentali, non la terza, è così che il dieci novembre scorso Ludin e Rhode, assieme al loro autista, sono stati rapiti. Uno dei più lunghi sequestri di giornalisti nel paese, in tempi recenti, ben sette mesi conclusisi in maniera rocambolesca.

I sequestrati
(mentre calava, volutamente il silenzio sulla loro vicenda, mai resa nota dal Times) sono stati trasportati e tenuti prigionieri in Pakistan, nella regione tribale del Waziristan, sarebbero riusciti a fuggire come in un film stando a quanto racconta Ludin (Rhode non ha ancora raccontato la sua versione, nello stile del personaggio). Dopo mesi di pianificazione, il “furto” di una corda e una lunghissima partita (forse) a backgamon (per assicurarsi che i carcerieri, poi, dormissero profondamente), i due sono riusciti a calarsi dal terrazzo della casa dov’erano prigiornieri per raggiungere in una quindicina di minuti una caserma dei Ranger pakistan che quasi li prendevano per attentatori suicidi.

La storia, che si associa a quella della reporter della CBC canadese rapita a Kabul e tenuta in ostaggio per un mese l’inverno scorso ma anche a quella degli italiani Gabriele Torsello e Daniele Mastrogiacomo, ancora una volta mette in evidenza come ormai in Afghanistan sia pressochè impossibile raccontare l’ “altro lato della storia” ovvero la versione talebana e quantomeno la versione della popolazione (sarebbe per esempio molto interessarla conoscerla nell’area di Bala Morghab dove sono impegnate le truppe italiane).
Per capire bene le difficoltà di un reportage che assuma non solo la prospettiva occidentale nelle aree più critiche (senza dimenticare che se Ludin e Rhode sono liberi, non si sa nulla del destino del loro autista) basta rileggere il grande reportage di Nir Rosen “How we lost the war we won” pubblicato nell’autunno scorso da Rolling Stones (reportage per scrivere il quale, si ritrova quasi rapito da fazione talebane rivali). Le telefonate ai capi talebani, a cui fanno ampiamente ricorso le agenzie internazionali a Kabul, sono un espediente utile ma parziale (per esempio non si è mai sicuri dell’identità e delle condizioni dell’intervistato), come del resto emerge da questa riflessione dei giornalisti della Cnn dopo la pubblicazione di una telefonata del genere.

I talebani sono sempre più una guerriglia frammentata, diffusa sul territorio, spesso nata da specificità locali piuttosto che da una strategia o da un’ideologia complessiva, in altre parole non in grado di garantire ad un giornalista straniero un vero lasciapassare. E’ uno dei più grandi limiti dell’informazione sull’Afghanistan.