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Nico Piro

 

NICO PIRO - KILLA DIZEZ, LIFE AND DEATH IN THE TIME OF EBOLA (2)
18th Thessaloniki Documentary Festival, Photographer Aris Rammos

AI-I-D

Le Improvise Explosive Device (IED leggasi AI-I-D) sono tutto e niente. Tutto perchè rappresentano in primo luogo la maggior causa di morte per i militari stranieri in Afghanistan. Niente perchè in realtà sono indefinibili visto che sotto questo ombrello terminologico trova ospitalità una famiglia di ordigni che vanno dai vecchi proiettili di artiglieria riciclati alle bombe al nitrato d’ammonio, fertilizzante ad alto potenziale (lo stesso della strage dei parà di Kabul) di cui di recente è stata vietata la vendita in Afghanistan. Per questo sono un simbolo perfetto del “nemico” in Afghanistan, inafferrabile quanto indefinibile.

Gli attacchi con IED sono stati 8,159 nel 2009, oltre il triplo del 2,677 registrate nel 2007.

Il più bel racconto per immagini di cosa sia un’IED lo si deve a David Goldman, freelance per l’Associated Press, qualche mese fa embed in Afghanistan con l’esercito americano nella provincia di Wardak. Ha scattato una sequenza di fotografie incredibili, era al momento giusto nel posto giusto, anche nella posizione giusta del convoglio per non essere fatto a pezzi dall’esplosione e ha avuto la freddezza di fornirci questo documento eccezionale, da vedere in slide show cliccando qui.

Foto-grafia afghana


Daylight #8 copertina
Daylight #8 copertina

La rivista Daylight di fotografia ha dedicato all’Afghanistan il suo ultimo numero, con foto selezionate secondo questo criterio: focused intimacy not typically presented in mainstream media coverage – ovvero una lettura staccata dalla “notizia del giorno”, dall’hard-news, a favore di un approccio più individuale e personale al Paese. Le foto che compaiono in questo numero sono di: Eren Aytuğ, Adam Broomberg & Oliver Chanarin, Teru Kuwayama & Balazs Gardi, Tim Hetherington, Aaron Huey, Yannis Kontos, Seamus Murphy, Moises Saman, Lana Slezic, Veronique de Viguerie, Farzana Wahidy, Beth Wald.

La rivista può essere comprata in formato .pdf o in cartaceo (rispettivamente 5 o 10 dollari) sul sito della rivista. In copertina la foto “classica” che ha sempre accompagnato la storia dell’ufficiale (donna) di polizia a Kandahar, uccisa l’anno scorso davanti la sua casa nel sud del Paese.

Ritorno a casa

Il Generale Rosario Castellano np©09

La missione afghana appena conclusa (aprile-ottobre 2009) dai paracadutisti verrà ricordata probabilmente sia nella storia della Folgore che in quella dell’impegno militare italiano in Afghanistan, per diversi motivi. Mi limito per ora ad enunciarli come argomenti da approfondire – tra questi ci sono sicuramente i fatti del 17 settembre, il peggior attacco subito dalla missione italiana nel paese, quella che molti hanno definito la Nassyria afghana per fare un parallello con il terribile attentato in terra irachena. C’è soprattutto il nuovo “passo” dato all’azione italiana sul terreno (non senza polemiche, seppur meno di quanto ci si potesse aspettare) con la Folgore coinvolta in sei mesi in più “contatti”, alias combattimenti, di tutti i contingenti militari italiani che l’hanno preceduta, messi insieme. In questi mesi, vista anche la popolarità dei parà, il mondo politico ha gareggiato nel portare la “vicinanza” del Paese alle truppe sin dall’inizio della missione; un fatto nuovo nel panorama italiano, c’è poco da dire (tema a parte resta la capacità di affrontare in profondità il dibattito sull’afghanistan del mondo politico nostrano, tutto).

Un fatto nuovo è stata anche la cerimonia di “coming home”, del saluto per il ritorno a casa della brigata sabato scorso a Livorno, coincisa quest’anno con il 67esimo anniversario della battaglia di El Alamein e con il cambio di comando, dal generale Rosario Castellano che abbiamo conosciuto in questi mesi di impegni afghani, dove ha comandato l’RC-West, al generale Federico D’Apuzzo, anch’egli dai recenti trascorsi afghani dove fino a pochi mesi fa è stato consigliere militare alla nostra ambasciata a Kabul. Per la cronaca, entrambi campani.

Definisco un fatto nuovo la festa del 14 novembre, per via delle sue dimensioni (la cerimonia si è svolta allo stadio di

Generale Federico D'Apuzzo np©09

Livorno per poi continuare sul lungomare) e la partecipazione sia di parà (reduci ed ex inclusi) che di pubblico, un qualcosa molto vicino alla tradizione americana di radicamento sul territorio dei diversi corpi militari, direi molto inusuale per il nostro paese. Personalmente è stata l’occasione per rivedere “senza giubotto ed elmetto” (aggiungerei anche sane e salve) molte persone con le quali ho lavorato in questi mesi  sul campo, in condizioni non sempre facili ma devo dire sempre ricevendo una grande collaborazione.  Chissà se, alla luce di questi elementi di novità, in futuro in Italia si potrà affrontare in maniera laica il tema del rapporto militari-società e forze armate-politica  – è una speranza che coltivo da quando mi occupo, via Afghanistan, anche di militari…

Per un breve reportage fotografico sulla festa vedi qui