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Attacco a Parigi. Modello Mumbay-Kabul

Gli attacchi a Parigi sono stati condotti con la tecnica dell’operazione coordinata: piccoli gruppi di fuoco, dotati di armi automatiche e di attentatori suicidi, diretti in (quasi) contemporanea contro i cosiddetti “soft target” ovvero obiettivi civili a basso – se non nullo – livello di sorveglianza.
In termini operativi è un salto di “qualità” (le virgolette sono d’obbligo) rispetto agli attacchi a cui l’occidente è stato soggetto negli ultimi anni, da quello al parlamento canadese fino alla stazione di Atocha condotti con la stessa matrice militare (pochi operativi se non persino uno solo) con l’obiettivo di avere un forte impatto mediatico e il più alto numero possibile di vittime civili. Gli operativi – i terroristi – sono solitamente, immigrati di seconda o terza generazione, con alle spalle viaggi nelle aree dei campi d’addestramento, cellule in sonno che si attivano  – di solito – attraverso messaggi “in codice” pubblicati su forum jiadisti e incomprensibili ai più.

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Non è finita

Metto insieme un po’ di cose che penso di aver capito su questa guerra libica, seppur a distanza (questo non è stato il mio giro); una guerra forse più sporca delle altre nella sua apparente linearità:

1) Con la (parziale) presa di Tripoli, la guerra non è finita anzi è probabilmente cominciata per davvero. Non è un caso che dalla Russia arrivi oggi un nuovo appello alle trattative. I messaggi di sfida del raiss sono pura propaganda ma sono anche un appello ai suoi, gente che per quarant’anni ha vissuto grazie al regime, sparsi in tutto il Paese.
La caserma di Gheddafi è caduta nella mani dei ribelli solo al livello del suolo, nel sottosuolo ci sono ancora lealisti pronti a morire. Nel Rixos, l’albergo dei giornalisti, gli inviati sono praticamente agli arresti, non possono uscire, glielo impediscono i soldati del raiss

2) Con l’abbattimento di un’altra statua, qualche anno fa, a Baghdad, la guerra che doveva finire in realtà cominciò sotto forma di guerriglia (ied, kamikaze, sabotaggi, azioni di terrore), condotta non solo da Al Qaeda ma soprattutto dagli ex-membri del partito Baath (l’equivalente della jamahiria libica, il partito-movimento di Gheddafi)

3) I berberi e le tribù dell’ovest saranno più brave di quelle dell’est, che per sei mesi hanno fatto un ping-pong bellico sull’autostrada tra Benghazi e Sirte, conquistando posizioni e perdendole il giorno dopo. Intanto le truppe di Gheddafi (dopo mesi di combattimenti e di bombe) hanno perso pezzi e una parte dei fondi del raiss sono finiti.
Ma non mi dite che quest’avanzata lampo su Zawya e Tripoli non sia figlia delle forze speciali straniere. La Nato smentisce di averle dispiegate ma non esclude che l’abbiano fatto i singoli Paesi (Francia? Inghilterra? …). E’ presumibile che abbiano addestrato, organizzato e guidato l’avanzata ribelle oltre a “chiamare” i bombardamenti mirati che non possono essere decisi solo dal cielo (con la ricognizione degli aerei senza pilota) e che per essere coordinati da terra richiedono tecnologie e conoscenze che hanno poche migliaia di persone al mondo.

4) Senza il supporto aereo della Nato i ribelli non avrebbero mai resistito nè arrivati dove sono arrivati, questo mi sembra un dato certo e fuor di discussione.

5) Gli attacchi aerei della Nato hanno protetto i civili? Sì ma mi sembra che l’abbiano fatto in un senso talmente vasto che è diventato molto discutibile. Per esempio affondare le barche sulle quali fuggivano gli uomini di Gheddafi dalla raffineria di Zawya qualche giorno fa, serviva a proteggere i civili nel senso che prima o poi quegli uomini armati avrebbero potuto uccidere civili? Oppure è stato un modo per aiutare i ribelli a consolidare il bastione di Zawya, indispensabile per prendere Tripoli?

6 ) Perchè la guerra ha avuto un’accelerazione così forte ad agosto? La risposta più semplice sembra essere quella della scadenza della missione Nato. Si sapeva bene che, tra crisi economica dell’Europa e lo stallo nel conflitto, a settembre la missione sarebbe stata messa in discussione, ridotta probabilmente in maniera molto significativa. Dopo l’Afghanistan, era un colpo che la Nato non poteva permettersi di subite, da qui la spinta verso Tripoli di questi giorni.

7) Un anno fa, giorno più giorno meno, Gheddafi arrivava a Roma accolto come un sovrano capriccioso e da coccolare, a cui tutto era consentito anche la propaganda islamica all’ombra del cupolone. Una scelta lungimirante…Cose che capitano quando si confondono i rapporti personali con i rapporti tra Stati. La crisi libica ha segnato un duro colpo per la politica estera italiana e più in generale per il quadro dei rapporti mediterranei del nostro Paese.

8 ) I ribelli sin’ora sono stati uniti solo dall’odio per Gheddafi e dalla paura che potesse ribaltare le sorti del conflitto. L’uccisione del loro capo militare a Benghazi (una storia torbida e ancora poco chiara) è stato il segnale più chiaro delle loro divisioni profonde. Cirenaica contro Tripolitania, berberi contro le altre tribù, ex-gheddafiani contro coloro che gheddafiani non lo sono stati mai, laici contro integralisti…Speriamo si mettano d’accordo.

9) La Libia non è la Tunisia e nemmeno l’Egitto, è un Paese che esiste come entità indipendente dal 1951; da sessant’anni, quaranta dei quali passati sotto il dominio di una dittatura (seppur laica). Certo ci sono i giovani che oggi fanno la differenza, ma dopo quattro decenni di tirannia, la Libia non è chiaramente pronta ad affrontare e costruire una democrazia. Sarà un cammino difficile

10) Gheddafi è pazzo? O meglio Gheddafi morirà con l’Ak47 in mano? Il raiss è un personaggio quanto meno bizzarro o forse, come ricordava Igor Man anni fa, è un vero beduino, una mentalità difficile da capire dall’esterno di quella cultura. Gheddafi è stato capace di accumulare armi di distruzione di massa ma poi fare un passo indietro dopo la caduta di Saddam, ha commissionato l’attacco di Lokerbie ma poi ha fatto “pace” con gli americani anche se poi ha accolto come un eroe in patria l’attentatore rilasciato dal carcere. Insomma mi resta il dubbio che Gheddafi in qualche modo sappia quello che sta facendo e che la sua non sia una resistenza “all’ultima goccia di sangue” come afferma

11) Gheddafi negli anni ha schiacciato le libere professioni, i sindacati, la libera stampa, persino l’esercito ridotto ad una specie di polizia stradale in grande…del resto Gheddafi da ex-ufficiale golpista sapeva bene quanto un’esercito forte potesse essere pericoloso per il potere. Allo scoppiare della rivoluzione, gli sono rimaste così in mano molte poche carte…tra cui appunto i mercenari e la brigata Kamis. Un bell’esempio di nemesi storica e del fallimento intrinseco di ogni dittatura.

12) La Libia è un paese enorme, con migliaia di chilometri di coste sul Mediterraneo e confini verso aree chiave dell’Africa sub-sahariana. Se il governo transitorio non rimetterà in piedi e subito delle forze armate capace di vigilarli si apriranno scenari di caos (e non mi riferisco solo ai poveri cristi che vogliono raggiungere l’Europa) molto preoccupanti.

13) La Bbc ha battuto tutti nella copertura di questo conflitto, per l’informazione italiana ormai concentrata solo sui fatti di casa nostra è stata una caporetto (fatti salvi gli sforzi individuali). Dai tempi dell’Iraq e della copertura realizzata all’epoca, sembrano passati millenni. Questa guerra ha fatto vacillare anche la credibilità di Al Jazeera: troppo forte il coinvolgimento del Qatar sul fronte dei ribelli.

14) All’inizio del conflitto in Libia, le sepolture al cimitero di Tripoli vennero passate per fosse comuni dalla propaganda ribelle amplificata dalle tv arabe, si parlò anche di bombardamenti sui civili dei quali a tutt’oggi non mi sembra siano state trovate prove. In Siria invece, pur nella mancanza di fonti indipendenti, appare chiaro che il massacro di civili ci sia stato per davvero. Non sto dicendo che bisogna bombardare la Siria (figuriamoci) ma che l’occidente liberatosi dal peso libico potrebbe pensarci per davvero, soprattutto se dovesse esserci una Francia di turno a spingere il piede sull’acceleratore. Fermo restando che la Siria non è la Libia ma rappresenta un tassello in un mosaico geo-politico molto ma molto più complesso.

15) Mi sta venendo un dubbio e aggiungo questo punto al volo, dopo la pubblicazione di questo posto…ma non è che Gheddafi si nasconde nei sotterranei del Rixos? Ricordate quando si presento ad una conferenza stampa con una pila in mano e la stampa inglese ne dedusse che veniva fuori da un cunicolo buio? Altrimenti perchè i lealisti starebbero difendendo tanto intensamente un albergo dove ci sono solo dei giornalisti occidentali? Se volevano usarli come scudi umani od ostaggi li avrebbero già prelevati e portati da qualche parte…così di fatto li stanno già usando come amuleto anti-bombardamento se qualcuno di importante (“high value target”) si nasconde sotto l’hotel…

Diario minimo

Ho passato molte ore a leggere una parte, seppur minima, dell’enorme massa di informazioni messe ieri on line da wikileaks.org (qui il data base) con un’inedita collaborazione con tre diverse testate in altrettante giurisdizioni nazionali (per comprenderne il meccanismo si veda questo dettagliato articolo del Guardian) volta ad evitare che le “notizie” si perdessero in questo mare di file che, se stampati, probabilmente occuperebbero decine di scaffali.

La più importante delle rivelazioni contenute in questi documenti mi sembra essere quella sull’imprecisione della TaskForce 373 e sui dubbi di leggitimità sulla suo “scopo sociale” (uccidere capi talebani), per il resto è la conferma (“in the own words” dei militari) di tutta una serie di problemi e di fragilità, tutto sommato noti. Personalmente, tra quello che ho potuto leggere
mi ha molto colpito il diario “minimo” della guerra che emerge da molti di questi rapporti.  Si tratta di piccoli episodi, dai commenti sulla distribuzione di aiuti che entusiasma gli americani (convinti di poter ottenere il supporto della popolazione locale) allo stillicido di attacchi quotidiani che siano contro una scuola, una pattuglia di poliziotti afghani, un gruppo di guardaspalle di politici locali; i racconti dei tanti scontri a fuoco “minori” sino agli attacchi con razzi e colpi di mortaio contro le fob (basi operative avanzate) occidentali. E’ il racconto di una guerra la cui quotidianità, tra disattenzione dei media e le politiche propagandistiche degli uffici stampa militari, svanisce dalle cronache accessibili al pubblico. E’ così che alla gente (se volete ai contribuenti occidentali che questa missione pagano) non arriva che un racconto frammentario del conflitto; racconto che tocca i suoi picchi, sostanzialmente, in occasione di grandi massacri di civili, di vittime militari (soprattutto se della nazionalità di riferimento – quella di chi legge), di visite ufficiali di politici. Un problema generale di tutti i Paesi membri di questa missione (imbarazzante per troppi governi), problema che in un paese come l’Italia è particolarmente evidente. Lo è di meno in America – anche per la sua tradizione di cronaca militare. Anche per questo ho particolarmente apprezzato la scelta del New York Times di pubblicare una di queste storie minori, quella dell’outpost Keating (clicca qui per l’articolo) nell’inaccessibile provincia del Nuristan. Chiunque voglia capire che cosa sia la guerra in Afghanistan dovrebbe leggerlo. Personalmente, nei limiti dei mezzi dati, ho sempre provato a raccontare la guerra nella sua quotidianità, la vita ordinaria dei militari occidentali sul campo. Sono sempre stato convinto che siano queste storie “minori” molto più del giornalismo e dell’opinionismo militante (di ogni versante) a far capire alla gente che cosa sia davvero la missione Afghana e se valga la pena o meno di continuarla. Se navigate dentro i “war diaries” – magari alla caccia della grande notizia che per ora non sembra esserci – non trascurate questi brandelli di storie dal campo. Basta leggerne alcune per capire tutto.

Pietra Tombale

Sarà anche irresponsabile come dice la Casa Bianca pubblicare i 92mila documenti segreti come oggi hanno fatto il New York Times, Der Spiegel e il The Guardian, ma forse è ben più irresponsabile continuare a voler tenere il coperchio sulla pentola in ebollizione di una guerra che è sempre più ingestibile, arrivata com’è ai tempi supplementari, anche e soprattutto grazie alla magnifica strategia degli anni passati di Bush e Rumsfeld. Come è altrettanto irresponsabile, da parte delle fonti governative (americane e non), raccontare all’opinione pubblica internazionale che le cose vanno sì male ma poi non così male come invece si capisce, chiaramente, da questi documenti scritti dai militari in prima persona, ovvero da chi quella guerra combatte a rischio della proprio vita.
Soprattutto se si guarda alla scelta del New Times (ben descritta in questa nota ai lettori) di controllare in dettaglio i documenti, riscontrarne l’autenticità (che del resto il governo americano non mette assolutamente in dubbio in questi primi commenti) e soprattutto di non pubblicare dati sensibili ma non indispensabili a capire il contesto del “racconto” (come per esempio i nomi degli agenti segreti o degli uomini delle forze speciali che operano sul campo come quelli delle fonti afghane – proprio per non metterne in pericolo la vita) si capisce che poi di irresponsabile c’è ben poco.

I dati vengono dall’organizzazione wikileaks.com (vedi qui http://wardiary.wikileaks.org/) che in anticipo rispetto alla pubblicazione di oggi, qualche settimana fa, li ha forniti alle tre testate internazionali – proprio per consentire loro la rielaborazione giornalistica di materiali altrimenti indigesti per la loro enorme mole; farebbero parte dello stock di dati classificati trafugati da un giovane militare americano (attualmente agli arresti in Kuwait, per quanto se ne sa) servendosi semplicemente di un finto cd musicale (in realtà un disco riscrivibile). Dati poi passati – come il video del massacro iracheno dei due giornalisti Reuters e di diversi civili – proprio a wikileaks.org
A proposito se vi trovare a Londra, martedì 27 il fondatore dell’organizzazione sarà ospite del FrontLine Club per una conferenza che si preannuncia interessante. Julian Assange è stato per mesi in fuga in giro per il mondo, proprio per prepare la diffusione di questi documenti e di un’altra vasta quantità dei quali non si sa ancora nulla.

Non ho avuto ancora il tempo di leggere nel dettaglio almeno una parte dei documenti, delle fonti originali (che riserveranno probabilmente anche qualche commento e qualche notizia sull’attività dei militari italiani), ma le sintesi giornalistiche (qui il dossier del NY Times, qui quello del The Guardian, e quello di Der Spiegel – purtroppo per me solo in tedesco) sono molto interessanti ed utili per navigare nel mare magnum di questi rapporti classificati. Sostanzialmente, i filoni delle”rivelazioni” sono quattro e riguardano tutti i punti criciti della guerra in Afghanistan: le vittime civili; l’utilizzo modello far west delle forze speciali; il ruolo dei servizi segreti Pakistan; la guerra delle ied. A prescindere dal racconto che ne emerge (perchè a tratti si legge come un racconto fatto da inconsapevoli protagonisti) queste rivelazioni potrebbero essere ricordate più che per quello che rappresentano di per sè, come un colpo al governo americano già alle prese con non pochi problemi interni. Ovvero come una pietra tombale sull’idea che questa guerra si possa raddrizzare o come ritiene il generale Petraeus che la dottirna McChrystal sia sì buona ma applicata male sin’ora.
Resta ovviamente l’interrogativo sul che fare in Afghanistan, ma leggo in giro (come sul Financial Times di qualche giorno fa) che iniziano ad emergere soluzioni fantasiose come la scissione del sud, elemento base di un costituendo Pashtunistan. La confusione mi sembra essere l’unica certezza, ora che – applicata seppur parzialmente la nuova strategia di Obama – la situazione peggiora invece che migliorare e non c’è più nemmeno la speranza di un anno fa, ovvero che le nuove direttive, le nuove idee potessero capovolgere il quadro del conflitto.

Guerriglia contro guerriglia nel Nord

Marjah ©Isaf 2010
Marjah ©Isaf 2010

Mentre Karzai, in una delle sue rarissime uscite dalla capitale (o meglio dal suo palazzo), visita quella Marjah appena riconquistata dagli occidentali per conto dell’esercito afghano e si sente fare “incredibili” richieste dagli anziani incontrati nella moschea (sanità, scuole e l’intervento delle truppe afghane non della polizia nè degli americani per le perquisizioni notturne delle case), nella provincia di Baghlan sta succedendo qualcosa di molto comune nella storia afghana ma assolutamente nuovo nella storia recente della guerriglia anti-governativa. Da ieri “higs” ovvero combattenti di Hibz-e-Islami, la potente fazione anti-governativa guidata dal signore della guerra Heckmatyar (“l’ingegnere”), si stanno scontrando con un gruppo talebano.
Ci sarebbero sin’ora una sessantina di arresti effettuati dai talebani (higs finiti in manette – higs è il nomignolo utilizzato dagli americani per indicare i combattenti di questa fazione) e una cinquantina di vittime, tra le quali al solito anche civili. Si sa ben poco, in realtà, di quello che sta succedendo ma il motivo dello scontro potrebbe essere l’incasso delle tasse che la guerriglia impone sui villaggi dove non c’è controllo da parte del governo. La provincia di Baghlan è strategica per la sua posizione lungo la principale strada che collega la capitale con il nord del Paese.

Intanto mentre emerge il racconto di un “miracolo” afghano (un pilota britannico di CH-47 impegnato in un evacuazione medica, atterrato in mezzo ad una battaglia e colpito alla testa da un proiettile fermatosi nel suo casco – storia emersa perchè a bordo c’era un documentarista di Discovery Channel), c’è una notizia la cui portata sembra sfuggita ai più forse perchè necessità di ulteriori chiarimenti. Su proposta del generale Petraeus, capo del Centcom, il generale McChrystal che guida la missione Isaf ed ha reinventato la dottrina militare occidentale nel paese vedrà la propria autorità crescere e sarà il primo comandante delle due missioni (Isaf ed Enduring Freedom) ad avere praticamente il controllo di tutte le truppe in campo con alcune piccole eccezioni, per esempio le forze speciali americane. Potrebbe essere un passo avanti nel chiarire la confusione tra missioni diverse sullo stesso terreno, ma bisognerà comprendere bene la portata della decisione. A proposito di McChrystal, ecco la sua prima intervista ad un quotidiano italiano.

Nella provincia di Helmand ©Isaf 2010
Nella provincia di Helmand ©Isaf 2010

Sempre McChrystal, a  cui va riconosciuto il merito di aver individuato e corretto molti degli errori strategici della missione occidentale, ha finalmente emesso (dopo quella del luglio scorso sui bombardamenti aerei) una nuova direttiva sui cosiddetti night-raids, le perquisizioni notturne che tanta rabbia hanno creato tra la popolazione afghana.
Secondo la nuova direttiva, azioni del genere dovranno essere condotte solo in presenza di truppe afghane che dovranno essere le prime ad entrare nelle case e e con la presenza personale femminile per eventuali perquisizioni di donne.

“In the Afghan culture, a man’s home is more than just his residence … He has been conditioned to respond aggressively in defense of his home and his guests whenever he perceives his home or honor is threatened,” scrive McChrystal “In a similar situation most of us would do the same.”

Prove di autodifesa

Cerimonia di fine addestramento Kabul 22 nov 09 (foto USFA)
Cerimonia di fine addestramento Kabul 22 nov 09 (foto USFA)

Mentre a Kabul si inaugura il nuovo centro per la formazione delle truppe afghane e il programma di addestramento accelerato per i soldati dell’Ana dà i suoi primi frutti (obiettivo 138mila unità entro il 2010), da Kunduz e da Nangharan arrivano notizie su iniziative di autodifesa “popolare”. Iniziative che potrebbero essere una speranza quanto una catastrofe per l’Afghanistan in preda al caos della guerriglia (purtroppo nel paese le alternative sono sempre estreme).

Nel nord del paese, si segnala (vedi questo lancio della Afp) la nascita di milizie spontanee, al solito su base di villaggio od etnica, per contrastare quello che è il nuovo fronte talebano che punta a bloccare la rotta logistica (i flussi di rifornimenti per le truppe occidentali dalle ex-repubbliche sovietiche) e che ha trasformato la un tempo (pochi mesi fa) pacifica provincia di Kunduz in una “no-go zone”. L’esperimento sta riuscendo bene dal punto di vista del contenimento dei talebani, male per le sue conseguenze (in pratica stanno nascendo nuovi signori della guerra che battono cassa sulla popolazione e i transiti) come spiega questo articolo del NyTimes.

In realtà l’articolo del quotidiano americano descrive principalmente un’altra micro-storia ma che potrebbe essere molto interessante, quella degli anziani della valle di Shinwari, nel distretto di Achin (sud-est al confine con il Pakistan). Anziani che dopo una lite con i talebani hanno preso le armi e (all’afghana) hanno organizzato i compaesani per difendersi. Un caso locale che ha spinto le forze speciali americane a pensare globale e ad intervenire locale fornendo approvigionamenti alla milizia che in futuro dovrebbe essere addestrata e dotata di radio.

La storia è emblematica perchè nella remota valle non c’è presenza del governo afghano (nè polizia, nè esercito ed è immaginabile che se ci fossero truppe straniere, la loro presenza scatenerebbe nuovi conflitti) ed è immaginabile che non ci sarà per anni visto che, in particolare la polizia, è indietro con l’addestramento delle nuove unità. E’ emblematica per la sua natura “micro”, iperlocalistica. In Afghanistan non ci sono tribù centralizzate come quelle sunnite in Iraq e quindi non basta un accordo per pacificare un’area, a volte ce ne vogliono centinaia.
Inoltre è evidente che la piccola dimensione può aiutare a non distogliere truppe per controllare aree inaccessibili e dal terreno montagnoso (che a parità di superficie moltiplica le forze necessarie) e soprattutto può evitare che crescano nuovi signori della guerra.

Ricordiamo che il generale McKiernan, precedente comandante delle truppe americane ed Isaf nel paese, aveva lanciato un progetto del genere (tra grandi polemiche e discussioni) nel gennaio scorso nella provincia di Logar, esperimento di cui si è persa traccia.