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Karzai ovvero come scontentare tutti

In questa parte finale del mese di ottobre, in cui  i talebani dimostrano che anche con la “vecchia” e ormai nota tecnica dell’autobomba riescono a colpire all’interno della capitale (e ad infliggere una delle peggiori perdite per gli americani, in un singolo attacco in Afghanistan) e un altro membro delle forze di sicurezza afghane ammazza dei soldati stranieri (tre australiani, uccisi nella provincia di Uruzgan) non poteva mancare un’uscita di Karzai che pensa alla politica estera e riesce, con una sola frase, a scontentare tutti. Non c’è che dire…era difficile ma il presidente ci è riuscito.

Karzai, intervistato dalla pakistana GeoTv, ha affermato che se gli Stati Uniti dovessero attaccare il Pakistan (sì, tra Washington ed Isalamabad siamo davvero ai ferri corti) gli afghani interverrebbero in difesa dei pakistani!
Per capire di cosa stiamo parlando bisogna riavvolgere il nastro: Pakistan ed Afghanistan sono divisi da una rivalità e da una disputa territoriale sui comuni confini che risale ai tempi dell’impero britannico, quando il Pakistan autonomo era ancora di là da venire; il Pakistan ha contribuito, con i suoi servizi segreti, a “fondare” i talebani; in Pakistan ci sono covi di Al Qaeda e basi operative della guerriglia dalla quale partono attacchi contro le truppe occidentali e locali in territorio afghano.
Dopo la morte di Rabbani, l’uomo di Karzai che avrebbe dovuto mediare con i talebani prima che gli stessi (tra le smentite) lo uccidessero, il presidente Karzai ha ammesso che non è il caso di continuare a trattare con i talebani, si fa prima a fare la pace con il Pakistan (la vera controparte in eventuali trattative).
A contorno, ai primi di ottobre era stato scoperto anche un presunto complotto per uccidere lo stesso presidente che, secondo i servizi afghani, era stato organizzato proprio in Pakistan.

Ecco che queste parole di Karzai sull’aiuto al Pakistan appaiono del tutto incomprensibili, persino nella logica della mediazione ad ogni costo che persegue Karzai ad ogni passo del suo mandato. Un probabile frutto dell’amicizia tra Hamid Karzai e il suo omologo Asi Ali Zardari…che è come dire faccio un favore al custode della Fiat perchè così faccio colpo su Marchionne. Zardari è un fragile presidente che conta molto poco, in un Paese dove – pur tra i fermenti democratici – a comandare sono di fatto i militari ed i temibili servizi segreti, l’Isi.

Le parole di Karzai hanno mandato su tutte le furie i politici americani.
Comprensibile…fosse solo perchè le truppe (quelle afghane) che dovrebbero fermare quelle americane, costano al contribuente americano qualcosa come 12 miliardi di dollari all’anno. E’ infatti proprio l’America che paga l’addestramento e l’equipaggiamento dell’Ana, l’esercito nazionale afghano.
Ad arrabbiarsi sono stati anche gli afghani, parlamentari e non, che sono rimasti di sasso di fronte all’idea dei propri soldati che accorrono in soccorso della fonte di tutti i mali afghani…Senza considerare che poche settimane fa, l’Afghanistan ha stretto un accordo di cooperazione, anche militare, con l’India che è una storica nemica del Pakistan (per la contesa sul Kashmir e per qualche altro piccolo problema come l’attacco coordinato a Mumbai di un paio di anni fa).

Perchè Karzai l’abbia fatto resta un mistero, esattamente come il tentativo occidentale di considerare il governo afghano come un interlocutore credibile.

Tutti a casa (2)

Piro e Botta a Korengal np©08
Piro e Botta a Korengal np©08

La valle non è più la “maledetta valle”. Come racconta questo resoconto del NY Times l’esercito americano ha abbandonato Korengal, una spaccatura in mezzo a montagne di tremila metri coperte di foreste (quantomeno) secolari, nella provincia di Kunar, al confine con il Pakistan, che molti ricordano come la “maledetta valle” o la “valle della morte”. Nel gergo tecnico che i militari tanto amano e che, forse, serve loro a non spaventarsi quando si parla di vita o di morte, Korengal era il posto più cinetico di tutto l’Afghanistan, traduco: quello dove si spara e ti sparano dalla mattina alla sera. A rendere famosa la valle ci hanno pensato questa sua qualità, le vittime militari, quelle civili e alcuni giornalisti come Tim Heterrington (che ci ha vinto il world press award del 2008) e poi con lui Sebastian Junger, co-autore del documentario Restrepo che ha vinto il Sundace ed è da poco in circolazione (ecco il suo editoriale sul NY Times). La chiusura di KOP è uno di quegli argomenti polarizzanti che i militari americani discuteranno per anni e che forse finirà in un film (un primo “filmino” ce l’hanno già girato i talebani). Della chiusura di Kop (l’unica doccia al mondo dove l’aereazione era fornita dai buchi di una sventagliata di mitragliatrice) ha scritto anche l’analista militare Gianandrea Gaiani sul Sole24Ore che tra l’altro (e lo ringrazio) mi cita per i miei reportage dalla valle. La foto pubblicata sopra mi ritrae con Gianfranco Botta del Tg3 prima della partenza dal Kop, da qui anche la risata liberatoria di entrambi. Insieme vinceremo poi il Premio Alpi proprio per un pezzo girato lì.

Non vorrei fare un’analisi militare e strategica sulla chiusura di Korengal, anche perchè ne ho già parlato mesi fa in questo post, anticipando proprio la chiusura di quel “fortino”. Vorrei solo fare delle considerazioni assolutamente personali. La valle non è più maledetta perchè i militari l’hanno lasciata, chi è riuscito a lasciarla tutto di un pezzo può essere felice. Saranno felici anche gli abitanti dei piccoli villaggi di quella spaccatura nella roccia che continuiamo a voler chiamare valle, un pezzo di medioevo nel terzo millennio; forse ora potranno dimenticare il lato orribile della tecnologia che abbiamo portato lassù come gli AC-130 e i missili hellfire. Korengal è l’icona dell’assurdità della guerra. Per chi crede in questo valore, è anche un monumento all’eroismo, inteso come sacrificio fine a se stesso e senza farsi troppe domande. Pensare che Kop non ci sia più, fa venire un senso di desolazione: a che sono serviti anni di combattimenti, vite perse e tonnellate di bombe? A nulla, è la risposta. L’unico conforto può venire da una speranza, quella di tornare a vedere quelli che sono tra i paesaggi più belli del mondo, senza giubotto antiproiettile e un Apache pronto a tirarti fuori dai guai. Forse capiterà, un giorno.