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Le bugie della forze (poco) speciali

Bastava leggerlo, per capire che ci fosse qualcosa di strano in quel comunicato della Nato che raccontava dell’ennesimo raid notturno finito male in Afghanistan. Il raid era avvenuto nei pressi di Gardez, provincia di Paktika, il 12 febbraio, e raccontava di corpi di donne “tied up, gagged and killed” nei quali erano – come dire – “inciampati” gli uomini delle forze speciali durante il raid. Insomma la solita crudeltà talebana o della famiglia che, magari, aveva ucciso le donne ore prima e se le teneva in casa…Ma era tutto troppo strano. La Nato ieri in tarda serata ha ammesso la verità, ovvero la responsabilità delle sof americane. Ma andiamo con ordine, se l’ha fatto è solo grazie ad un giornalista coraggioso e bravo che si è fidato dei suoi contatti locali, ha preso un camion di rischi (supportato dal suo giornale, mica poco!) e si è recato sul luogo del raid, ci è rimasto per circa tre giorni ed ha raccolto testimonianze univoche sull’uccisione di due donne incinta, una ragazzina e due poliziotti. L’articolo viene pubblicato il 13 marzo scorso sul London Times il 13 marzo. L’autore Jerome Starkey, ne ricostruirà il lavoro in un articolo pubblicato dal watchdog della prestigiosa Nieman Foundation (ecco il link – l’articolo lo ripubblicherò integralmente a breve per la sua importanza ma, sin da ora dico che non sono d’accordo con alcune delle cose che ha scritto Starkey).

Ieri sera si arriva alla svolta, sintetizzata in questo articolo del NY Times (il Times di Londra nel frattempo è diventato a pagamento quindi non posso inserire il relativo link),  con la Nato che ammette l’uccisione ma – aggiungo – non il depistaggio che sarebbe avvenuto persino estraendo dai cadaveri i proiettili (inconfondibili quelli delle forze speciali) dai corpi delle donne. Ecco il comunicato integrale per come l’ho ricevuto ieri (in grassetto ho evidenziato i passaggi che mi sembrano più interessanti):

2010-04-CA-005
For Immediate Release

Gardez investigation concludes

KABUL, Afghanistan (Apr. 4) – A thorough joint investigation into the events that occurred in the Gardez district of Paktiya province
Feb. 12, has determined that international forces were responsible for the deaths of three women who were in the same compound where two men
were killed by the joint Afghan-international patrol searching for a Taliban insurgent.
The two men, who were later determined not to be insurgents, were shot and killed by the joint patrol after they showed what appeared
to be hostile intent by being armed. While investigators could not conclusively determine how or when the women died, due to lack of
forensic evidence, they concluded that the women were accidentally killed as a result of the joint force firing at the men.
“We deeply regret the outcome of this operation, accept responsibility for our actions that night, and know that this loss will
be felt forever by the families,” said Brig Gen. Eric Tremblay, ISAF Spokesperson. “The force went to the compound based on reliable
information in search of a Taliban insurgent and believed that the two men posed a threat to their personal safety. We now understand that the
men killed were only trying to protect their families.”
“We are continuing our dialogue with our Afghan security partners to improve coordination for future operations and help prevent
such mistakes from happening again,” said Tremblay. The investigation also reviewed the information released by ISAF
Joint Command, ISAF and the Afghan Ministry of Interior, and found the releases issued shortly after the operation were based on a lack of
cultural understanding by the joint force and the chain of command. The statement noted the women had been bound and gagged, but this
information was taken from an initial report by the international members of the joint force who were not familiar with Islamic burial
customs.
“We regret any confusion caused by the initial statements and are committed to improving our coordination and understanding of Afghan
culture and customs,” said Tremblay.
ISAF officials will discuss the results of the investigation with the family of the individuals killed, apologize for what happened, and will provide compensation in accordance with local customs.

Forze poco speciali

Qualche giorno fa avevo scritto di quella che poteva sembrare solo una riorganizzazione formale della struttura di comando Nato ed Enduring Freedom, struttura che veniva unificata ma – al momento dell’annuncio – non era ancora chiaro come.  In Afghanistan operano due missioni militari distinte Isaf (a guida Nato, della quale fa parte la maggioranza delle truppe americane) ed Enduring Freedom (ben più piccola e praticamente solo americana, con compiti di caccia a Bin Laden e compagnia), un fatto che ha causato non pochi problemi e molta confusione. Le due missioni, da anni sono però sotto il comando di uno stesso generale che viene scelto tra i quattro stelle delle forze armate americane, quindi c’era da capire bene cosa questa nuova riorganizzazione significasse in termini pratici.

Il New York Times in questo articolo sostiene che la riorganizzazione tocca il cuore del problema, ovvero unifica anche il comando delle forze speciali americane a cui si devono molti degli episodi più tragici (vedi il recente bombardamento nella provincia di Uruzgan di un convoglio di civili) e che di fatto operano secondo le proprie regole e non si coordinano con le forze convenzionali che magari scoprono solo all’ultimo minuto di operazioni in corso. McChristal è probabilmente l’unico generale che avrebbe potuto compiere un passo del genere visto il suo (misterioso) passato tra le forze speciali. Per approfondire l’analisi del cambio di struttura vedi anche qui

Guerriglia contro guerriglia nel Nord

Marjah ©Isaf 2010
Marjah ©Isaf 2010

Mentre Karzai, in una delle sue rarissime uscite dalla capitale (o meglio dal suo palazzo), visita quella Marjah appena riconquistata dagli occidentali per conto dell’esercito afghano e si sente fare “incredibili” richieste dagli anziani incontrati nella moschea (sanità, scuole e l’intervento delle truppe afghane non della polizia nè degli americani per le perquisizioni notturne delle case), nella provincia di Baghlan sta succedendo qualcosa di molto comune nella storia afghana ma assolutamente nuovo nella storia recente della guerriglia anti-governativa. Da ieri “higs” ovvero combattenti di Hibz-e-Islami, la potente fazione anti-governativa guidata dal signore della guerra Heckmatyar (“l’ingegnere”), si stanno scontrando con un gruppo talebano.
Ci sarebbero sin’ora una sessantina di arresti effettuati dai talebani (higs finiti in manette – higs è il nomignolo utilizzato dagli americani per indicare i combattenti di questa fazione) e una cinquantina di vittime, tra le quali al solito anche civili. Si sa ben poco, in realtà, di quello che sta succedendo ma il motivo dello scontro potrebbe essere l’incasso delle tasse che la guerriglia impone sui villaggi dove non c’è controllo da parte del governo. La provincia di Baghlan è strategica per la sua posizione lungo la principale strada che collega la capitale con il nord del Paese.

Intanto mentre emerge il racconto di un “miracolo” afghano (un pilota britannico di CH-47 impegnato in un evacuazione medica, atterrato in mezzo ad una battaglia e colpito alla testa da un proiettile fermatosi nel suo casco – storia emersa perchè a bordo c’era un documentarista di Discovery Channel), c’è una notizia la cui portata sembra sfuggita ai più forse perchè necessità di ulteriori chiarimenti. Su proposta del generale Petraeus, capo del Centcom, il generale McChrystal che guida la missione Isaf ed ha reinventato la dottrina militare occidentale nel paese vedrà la propria autorità crescere e sarà il primo comandante delle due missioni (Isaf ed Enduring Freedom) ad avere praticamente il controllo di tutte le truppe in campo con alcune piccole eccezioni, per esempio le forze speciali americane. Potrebbe essere un passo avanti nel chiarire la confusione tra missioni diverse sullo stesso terreno, ma bisognerà comprendere bene la portata della decisione. A proposito di McChrystal, ecco la sua prima intervista ad un quotidiano italiano.

Nella provincia di Helmand ©Isaf 2010
Nella provincia di Helmand ©Isaf 2010

Sempre McChrystal, a  cui va riconosciuto il merito di aver individuato e corretto molti degli errori strategici della missione occidentale, ha finalmente emesso (dopo quella del luglio scorso sui bombardamenti aerei) una nuova direttiva sui cosiddetti night-raids, le perquisizioni notturne che tanta rabbia hanno creato tra la popolazione afghana.
Secondo la nuova direttiva, azioni del genere dovranno essere condotte solo in presenza di truppe afghane che dovranno essere le prime ad entrare nelle case e e con la presenza personale femminile per eventuali perquisizioni di donne.

“In the Afghan culture, a man’s home is more than just his residence … He has been conditioned to respond aggressively in defense of his home and his guests whenever he perceives his home or honor is threatened,” scrive McChrystal “In a similar situation most of us would do the same.”

Sabato notte, il reportage “Ritorno a Kunar”

Kunar, postazione americana di mortai np©09

“Ritorno a Kunar” è il titolo del reportage girato con il collega Gianfranco Botta nella valle del fiume Pech, provincia di Kunar, Afghanistan orientale, che andrà in onda sabato 23 gennaio su RaiTre, alle 0.45.

La valle è un corridoio naturale di collegamento con il Pakistan, un’area strategica per il controllo militare e la sicurezza di gran parte dell’Afghanistan sul versante orientale. I militari la chiamano “area altamente cinetica”, una definizione rassicurante per dire che questa è l’area dove si combatte di più di tutto il paese. E’ un’area dove si gioca una partita cruciale per il successo della strategia McChrystal (quella sulla base della quale Obama ha deciso di aumentare drasticamente il numero dei militari americani in Afghanistan). Strategia basata sul tentativo di coinvolgere la popolazione civile, rafforzare le istituzioni locali e dare alla gente quello che i guerriglieri non possono dare ovvero la

Postazione mortai - fob HM valle del fiume pech, provincia di Kunar

ricostruzione del paese: strade, ponti, scuole, lavoro.

Il reportage è un documento esclusivo che racconta di una guerra di cui si parla ormai tutti i giorni sui giornali e in tv ma che è per buona parte invisibile perchè si svolge in aree remote, spesso inaccessibili. E’ stato girato nel settembre del 2009 (quindi nel pieno della “fighting season”) ed è una sorta di seguito del reportage girato nella stessa area, nel marzo del 2008, sempre con il collega Gianfranco Botta, rispetto al quale abbiamo anche potuto formulare un giudizio sull’andamento delle cose.

Il racconto mostra buona parte delle difficoltà e delle contraddizioni
del conflitto afghano. In primo luogo il confronto (imboscate, bombardamenti) con un nemico invisibile capace di “colpire e scappare” mettendo in crisi la mastodontica macchina militare americana. Ma mostra anche luoghi bellissimi che sembrano fermi al Medio Evo ed i tentativi di vincere il supporto della popolazione civile.

Agenda del Mondo — Sabato 23 gennaio ore 045 RaiTre

“Fare pace” con Emergency

Emergency - Ospedale in Panshir
Emergency - Ospedale in Panshir np©07

Sabato e Domenica in molte piazze italiane (clicca qui e poi sulla mappa per conoscere quella a te più vicina) sarà possibile aiutare l’organizzazione di Gino Strada. Ne parlo non solo perchè sono un amico di Emergency e sono sicuro che ogni centesimo che arriva a questa organizzazione finisce dove deve finire, ovvero – in forme diverse – agli ammalati nei posti tra i peggiori del mondo; ma anche per il particolare impegno che Emergency ha in Afghanistan sia in aree ancora pacifiche (il Panshir) che nelle retrovie (Kabul) come in prima linea (la provincia di Helmand). Ecco il comunicato su questa iniziativa

La mia idea di pace. IO RIPUDIO LA GUERRA e sostengo Emergency.

“La nostra idea di pace” è da oltre 15 anni un progetto molto concreto: oltre 3 milioni e mezzo di persone curate in ospedali, centri chirurgici, pediatrici e di riabilitazione che Emergency ha costruito e che gestisce per garantire assistenza medico-chirurgica gratuita e altamente specializzata alle popolazioni dei paesi colpiti dalla guerra e dalla povertà.

Se questa idea di pace è anche la tua, puoi sostenerla con la tessera di Emergency.
Contribuirai così a dare attuazione a un diritto umano fondamentale – il diritto alla cura – e diventerai sostenitore e testimone di un progetto di pace possibile e reale.

Puoi fare la tessera di Emergency con una donazione di € 30 – € 20 sotto i 25 anni e oltre i 65.

La tessera di Emergency dà inoltre diritto a ottenere sconti e facilitazioni presso librerie, teatri, gallerie d’arte in tutta Italia.

Il 24 e il 25 ottobre potrai fare la tessera presso i banchetti di Emergency in 200 piazze italiane.
La tessera ha validità da gennaio a dicembre dell’anno in corso

Foto-grafie

Scrutatrice in un seggio elettorale a Kabul - agosto 2009 ©np
Scrutatrice in un seggio elettorale a Kabul - agosto 2009 ©np

Ho aggiunto al blog una nuova pagina, quella delle foto…per vedere basta cliccare qui oppure su uno dei tab, le “linguettine” che compaiono sulla home pagina, sotto la foto di testata. All’interno della pagina ci sono una serie di link che portano direttamente al mio spazio su flickr.com il sito “fotografico” dove conservo il mio materiale, c’è anche un link a fine pagina che porta a tutto l’elenco dei “set”, le gallerie tematiche nel caso a qualcuno potesse interessare.

I talebani, “parola loro”

Il conflitto afghano ha un grande buco nero sul piano dell’informazione, è la mancanza di un punto di vista terzo. Molto delle zone di conflitto, anzi la maggior parte, sono inaccessibili ai giornalisti perchè la sicurezza è inesistente. Quasi mai è possibile verificare in via indipendente le note dell’ufficio stampa di Isaf o di Enduring Freedom e la propaganda talebana, quasi sempre si riescono ad ottenere ricostruzioni indirette grazie agli stringer, ai collaboratori locali delle grandi agenzie internazionali. Allo stesso tempo è impossibile ricostruire la “vita” della guerriglia al di là dei proclami di propaganda. Ai tempi dell’invasione sovietica era possibile da Peshawar seguire i mujaheddin, “embed” con loro, ed avere così l’altra versione della storia rispetto a Mosca e soprattutto a Kabul. Purtroppo oggi non è più possibile, per colpa dei diretti interessati, i talebani, che ammazzano e rapiscono giornalisti, un crimine – se possibile – più imperdonabile degli altri perchè è un crimine non solo contro i diretti interessati ma anche contro l’informazione.

Dopo questa lunga premessa, alla quale non sono riuscito a sottrarmi, ecco la segnalazione. Newsweek pubblica una ricostruzione di questi otto anni di guerra per bocca dei principali comandanti talebani (Haqqani jr. incluso), raccolte da uno storico collaboratore del settimanale americano. Per ora ecco il link al testo integrale, nell’attesa di una segnalazione sui passaggi più interessanti (il tempo di leggerlo con calma).

Aggiungo la sintesi e aggiorno l’articolo

I racconti dei talebani, una testimonianza straordinaria, sono interessanti per vari motivi, nel loro complesso descrivono la traiettoria degli studenti coranici, dalla caduta alla loro seconda ascesa (per ora, solo parziale). Di seguito Metto insieme un po’ di estratti (la traduzione non è letterale, omettendo i singoli “autori” (chi vuole può leggersi l’originale) giusto per delineare il loro percorso.
“Vedevo come combattenti talebani feriti, disabili e sconfitti si aggiravano nel villaggio di Wana (Waziristan, Pakistan ndr) e in quelli circostanti, con arabi, ceceni e uzbeki. Ogni mattina andavo a scuola e li vedevo aggirarsi tra le case come mendicati senza tetto”

“Gli arabi avevano perso la battaglia, ma gli afghani erano molto più devastati – avevano perso la loro patria

In fuga dal nord, dopo i bombardamenti americani, camminando a piedi tra le montagne cariche di neve:
“Puntai la mia pistola verso il conducente e gli imposi di fermarmi. Il pulmino era pieno di talebani “sbandati”. Non c’era posto per me, allora li minaccia di sparare alle gomme del veicolo. Salii a bordo, dovetti sdraiarmi sul pavimento, con i piedi degli altri addosso. Era scomodo ma per la prima volta in giorni mi trovavo al caldo”

Insomma una totale disfatta, alla quale però il nocciolo duro dei talebani (come era prevedibile e previsto) prova a reagire sull’onda dell’orgoglio afghano prima che jihadista.
“Il Mullah Obaidullah stava viaggiando in giro per il Pakistan allo scopo di radunare le nostre forze disperse. Metà della dirigenza talebana stava insieme ed era determinata ad avviare un movimento di resistenza per espellere gli americani. Gli ho spiegato che secondo me non era possibile, ma mi ha assicurato che io sarei stato di aiuto”

In tutti i racconti, il Pakistan ed in particolare la regione tribale del Waziristan è centrale per riunire i combattenti sbandati, rifornirli, riorganizzarli. In questo quadro è fondamentale, l’apporto dei combattenti stranieri, veterani di altri conflitti jihadisti.

“Combattenti Arabi e iracheni incominciarono a venirci a trovare, portandoci le ultime tecnologie per le IED e le tattiche per gli attentati esplosivi che aveano imparato dalla resistenza irachene nel conflitto anti-americano. L’invasione americana dell’Iraq era stata una cosa positiva per noi . Aveva distratto gli Stati Uniti dall’Afghanistan. Fino a quel momento avevamo usato armi tradizionali per combatterli come con i sovietici – AK47 ed RPG . Da quel momento in poi la resistenza era diventata più letale, con nuove armi e tecniche: più grandi e migliori IED e attacchi suicidi”.

In generale, i talebani descrivono un clima di ostilità, sfiducia, indifferenza da parte della popolazione nei loro confronti. Nel loro racconto, sono gli errori degli americani e quelli del governo Karzai.
“Le operazioni americani che maltrattavano gli abitanti dei villaggi, bombardamenti che ammazzavano civili e la corruzione dei funzionari del governo Karzai avevano allontano la popolazione di molti villaggi che ora si erano schierati dalla nostra parte.”
“Gli americani ed i loro alleati facevano errori dopo errori, uccidendo ed arrestando innocenti”

In particolare Haqqani (il leader dell’organizzazione anti-governativa più forte di tutto l’Est del paese) racconta di essere tornato nel 2007 per la prima volta in Afghanistan.
“Ho viaggiato in 8 province in 20 giorni. L’impopolarità del regime di Karzai era immensa. Nel 2005 alcuni afghani pensavano che Karzai avrebbe portato cambiamenti positivi. Ma ora la maggior parte ritiene che i talebani siano il futuro.”

Mi sembra di aver sintetizzato i pilastri del racconto, che sono poi i dati raccontati in numerose cronache sul campo come quelli che hanno spinto McChrystal a provare a cambiare registro. Le testimonianze continuano parlando delle difficoltà di combattare gli americani, dei finanziamenti stranieri alla guerriglia e di specifici episodi di combattimento.
Chiuderei con questa testimonianza che confermo anche per esperienza diretta:

“Nel sud i mujaheddin si sono adattati alla nuova crociata di Obama con una ritirata strategica e combattendo prevalentemente con le IED. Ma noi mujaheddin a Kunar e nel Nuristan siamo più fortunati. Queste montagne e foreste sono le nostre protettrici. Alberi e rocce ci offrono riparo dappertutto. Due o tre anni fa i soldati americani nella regione si comportavano come fossero in vacanza. Si facevano foto mentre passeggiavano in montagna per divertimento. Ora li obblighiamo a tenere il dito sul grilletto per 24 ore al giorno”.

Allarme rosso ad Herat

Ismail Khan guida la prima riunione dei mujaheddin anti-sovietici (herat, museo della jihad)
Ismail Khan guida la prima riunione dei mujaheddin anti-sovietici (herat, museo della jihad) ©np 09

E’ passato inosservato sull’informazione italiana e non, l’episodio di questa mattina ad Herat, principale città del Nord-Ovest del paese, nonchè principale base delle nostre truppe in Afghanistan. Eppure è un episodio assolutamente preoccupante che sancisce come i talebani siano sempre più attivi in aree a loro non “etnicamente” nè “storicamente” favorevoli.

Il convoglio di Ismail Khan si stava dirigendo verso l’aeroporto quando è esplosa una IED che non l’ha ferito (tanto che ha poi raggiunto, per via aerea, la sua destinazione, Kabul) ma ha fatto – al solito… – tra le tre e le quattro vittime civili (vedi la notizia qui) oltre a circa diciassette feriti tra i passanti, pare poco distante da una scuola.
Ismail Khan è uno dei principali capi Mujaheddin nonchè attuale Ministro dell’Energia e delle risorse idriche, ministero che di fatto ha trasferito nella “sua” Herat.

Ismail Khan era un ufficiale dell’esercito afghano quando alla fine degli anni ’70 avvio la rivoltà (oggi celebrata in un museo proprio ad Herat) contro i soprusi dell’esercito filo-sovietico. E’ stato anche fiero avversario dei talebani (che lo costrinsero alla fuga in Iran) fino alla loro cacciata nel 2001.
Senza girarci troppo intorno è un’espressione (pur tra le più alte) della frammentazione del Paese e dell’organizzazione del potere per aree di stampo feudale. Ma il fatto che venga colpito in maniera tanto clamorosa nella “sua” Herat, per giunta con un’esplicita rivendicazione talebana (per bocca del portavoce Zabihullah Mujahid), è la riprova che i guerriglieri stanno sempre più lavorando sul fronte nord (est ed ovest). Fronte che ha una doppia valenza: strategica, perchè anche negli anni ’90 da qui passò la conquista dell’intero paese, e politica, perchè agire qui significa colpire Italia e Germania, alleati indispensabili per l’America nel conflitto afghano ma esposti ai dubbi dell’opinione pubblica interna e quindi ritenuti particolarmente fragili verso attacchi ad alto impatto mediatico.

In serata ho visto che la Bbc si è occupata della vicenda, vedi qui

Attacco a Kabul

L’autobomba che ha colpito stamane il quartier generale della Nato a Kabul nel quartiere più centrale e sorvegliato della capitale è preoccupante per diversi motivi. Prima di elencarli, preciso che secondo altre fonti l’attentatore (solo a bordo) volesse colpire l’ambasciata americana poco distante, mi sembra improbabile visto che l’ambasciata americana è costituita su un’area così vasta che è impossibile colpirla con un auto bomba (tentativo già fatto in passato)

Nonostante la sicurezza rafforzata (su Kabul, in questi giorni, sta entrando in azione un dirigibile americano con potentissimi occhi elettronici), i Talebani hanno dimostrato di nuovo di poter colpire la capitale come non accadeva da molti mesi (dall’attacco al Ministero alla Giustizia – l’ultimo attentato suicida di questa portata è quello all’ambasciata indiana del luglio 2008). Hanno colpito in una maniera nuova che apre tutta una serie di quesiti sulla loro rete logistica e di supporto, ovvero non con la “solita” toyota corolla bianca arrivata dalle province vicine per farsi esplodere dentro Kabul (o con un camion, come accaduto ai primi di luglio, esploso però durante il tragitto verso la capitale nella provincia di Logar, dopo un incidente). I talebani hanno usato un suv di lusso esattamente come quelli utilizzati dalle scorte di diplomatici stranieri, militari (quelli con compiti civili), autorità locali e signori della guerra. Si tratta quindi di mezzi virtualmente fuori controllo da parte dei check point della polizia locale, del resto fermare un suv del genere (se trasportasse un’autorità o un “target” qualsiasi) significherebbe renderlo per qualche minuto un bersaglio facile da colpire. Suv davvero comuni nel quartiere delle ambasciate dove, per giunta, il traffico è canalizzato da muri anti-esplosione e new jersey di cemento.

Il bilancio è, come sempre in questi casi, provvisorio. I morti sono almeno sette, tutti civili, ci sono molti militari feriti compreso un italiano (ferite lievi). Questa la nota ufficiale di Isaf: Reports indicate that there were several civilians killed, a number of civilians wounded.  There were injuries to several ISAF service members; no ISAF personnel were  killed in the blast. Ma è chiaro che l’entità dell’attacco sarà chiara solo nelle prossime ore. Non posso smettere di pensare ai bambini che passano la loro giornata davanti all’HQ di Isaf provando a vendere penne e cartine dell’Afghanistan a militari e giornalisti.

L’attacco di oggi è anche un attacco ai giornalisti. Da quell’ingresso dell’Isaf HQ, entrano i reporter per le conferenze stampa ma soprattutto per il ritiro degli accrediti (il media badge di Isaf, uno dei pochi documenti universalmente riconosciuti in tutto il Paese). Tantissimi i reporter stranieri a Kabul in questi giorni.
La procedura di ritiro, almeno per come l’ho vissuta io più volte negli anni scorsi, è lunga e complicata, anche perchè l’ufficio stampa di Isaf è stato spesso in condizioni di sotto-organico e con mille impegni. Potrei aggiungere, giusto per sdrammatizzare, anche perchè i soldati macedoni che gestiscono i check point all’ingresso non hanno un ottimo rapporto con l’inglese. Di recente la procedura è cambiata anche perchè il pass contiene dati biometrici, ma l’ingresso dei giornalisti resta sempre lo stesso ovvero il “main gate”.

What’s next?
Purtroppo attacchi del genere potrebbero moltiplicarsi nei prossimi giorni anche considerando (vedi post precedente) che il periodo elettorale andrà ben oltre il 20 agosto. Nota a margine: oggi volevo fare il punto sui candidati alle elezioni ma come sta avvenendo da un po’ di tempo la cronaca afghana reclama, purtroppo, il suo spazio

Elezioni afghane, istruzioni per l’uso

Sono state aggettivate in ogni modo per sottolinearne il valore storico, di certo dagli esiti delle elezioni presidenziali e provinciali di giovedì 20 agosto si potrà leggere il futuro prossimo dell’Afghanistan; a contare non sarà tanto la vittoria di questo o di quel candidato quanto il numero degli afghani che si recheranno alle urne (ennesimo test della pazienza per un popolo provato da tre decenni di guerre e otto anni di promesse mancate) e gli episodi di violenza che caratterizzeranno il voto (i talebani hanno affermato di voler impedire il voto). Sono elezioni cruciali anche per l’occidente che si attende qualche segnale di speranza e qualche bella immagine da mandare in tv per continuare a sostenere con le singole opinioni pubbliche nazionali la missione afghana segnata dal crescente numero di militari caduti, vittime civili e una ricostruzione che resta un miraggio.

Ecco un quadro con i dati più rilevanti sulle consultazioni elettorali, le seconde dopo quelle del 2004.

Le urne resteranno aperte solo il 20 agosto, dalle 7 alle 16, i seggi – almeno sulla carta – saranno 7000 ma secondo la commissione elettorale c’è il rischio che il 10% non apra perchè è impossibile garantirne la sicurezza. Gli elettorali usciranno dai seggi con un dito macchiato di inchiostro indelebile, per evitare tentativi multipli di voto in un paese dove l’anagrafe non esiste.  Potranno andare a votare 17 milioni di elettori (nel 2005 erano 12) ovvero coloro i quali si sono “registrati” nei mesi scorsi come nuovi elettori oppure negli anni precedenti. Purtroppo i dati sugli elettori registrati variano di provincia in provincia e raggiungono livelli minimi nelle roccaforti talebani del sud. La popolazione in Afghanistan è pari a circa 33 milioni di persone, un terzo dei quali sono analfabeti.

Si voterà
sia per eleggere il presidente della Repubblica Islamica d’Afghanistan (scheda verde) che per eleggere i membri dei consigli distrettuali (scheda marrone). I seggi in palio sono oltre 400 per oltre 3000 candidati (sono 34 le provincie afghane, che in realtà sono entità territoriale ed amministrative paragonabili alle regioni italiane). Alle provinciali ci sono le “quote rosa” pari a circa il 25% degli eletti. I candidati alle presidenziali (dopo qualche ritiro delle ultime settimane) sono 36 ma in realtà la corsa è ristrettera a meno di cinque tra loro, con in testa il presidente Karzai. Oltre a lui, solo l’ex-ministro degli esteri Dr. Abdullah Abdullah, l’ex-ministro della pianificazione Ramazan Bashardost e l’ex-ministro delle finanze Ashraf Ghani sono considerati in grado di superare una soglia minima di voti del 2%.

Lo spoglio. Chi si attende il direttone” elettorale su ToloTv o sulla RTA è meglio che si scelga qualcos’altro da fare la sera del 20 agosto! Lo spoglio delle schede sarà lunghissimo. Verrà effettuato sul posto, i singoli seggi, e non a Kabul ma nonostante ciò ci vorranno giorni per avere un vero quadro elettorale viste le difficoltà logistico-belliche dell’Afghanistan (in alcuni seggi le schede sono arrivate a dorso di mulo). I primi risultati dovrebbero essere annunciati il 3 settembre, il quadro definitivo è atteso per il 17. Il punto chiave delle elezioni è se il vincitore delle presidenziali riuscirà o meno a superare il quorum del 50% altrimenti si dovrà ricorrere al ballottaggio che si dovrebbe svolgere ad ottobre. Molto probabile, anche secondo fonti diplomatiche britanniche, che si andrà al secondo turno previsto per il primo ottobre (almeno in linea teorica).

Alla sicurezza delle elezioni
contribuiranno i circa centomila soldati stranieri nel paese, i militari italiani (tutto il contingente è impegnato) hanno allestito una task force elettorale con circa 500 uomini che fanno base a Shindnad, distretto caldo della provincia di Herat.