Tag: bin laden

Dieci candeline per una guerra

Se qualcuno vi dice “11 settembre”, voi a cosa pensate? Ci scommetto: alle immagini degli aerei che finiscono nelle torri gemelle. Troppo facile indovinare, del resto parliamo della tragedia più mediatizzata di sempre, una pagina di storia vissuta in diretta.

A questa domanda credo però sia giusto dare una risposta diversa: Afghanistan.
E non per “mania” monotematica ma perchè lo dicono i fatti. L’11 settembre è cominciato due giorni prima, in una delle più remote province afghane, quella di Takar, quando (il calendario segnava il 9 settembre) due uomini (presumibilmente) di Al Qaeda fecero saltare un ordigno nascosto in una telecamera e uccisero il comandate Massoud ovvero il loro avversario più pericoloso.
Si stavano preparando alla guerra perchè era chiaro che gli Stati Uniti non sarebbero rimasti a guardare dopo quelle che Al Qaida voleva fossero tragedie a New York e Washington.
Anni dopo, con Karzai sulla poltrona presidenziale, avremmo capito quanto letale fosse stata quella mossa per la stabilità futura del Paese.

La guerra puntualmente arrivò il 7 ottobre del 2001. Venne bombardato un Paese dove quasi nessuno sapeva cosa fossero e nemmeno dove fossero le torri gemelli.
I talebani vennero fatti a pezzi da missili e bombe a guida laser. I sopravvissuti finirono a soffocare nei container del signore della guerra Dostum, un altro criminale con il quale l’occidente stava facendo patti. Lo stesso occidente che, ritiratisi i russi, si era felicemente dimenticato dell’Afghanistan e della sua guerra civile (ben peggiore dell’occupazione sovietica) salvo provare a farci passare in mezzo un oleodotto con marchio di fabbrica americano.

Una guerra facile, le “cassandre”  che ricordavano come quel Paese fosse noto come la “tomba degli imperi” vennero subito messe a tacere: una manciata di giorni, per arrivare in una capitale che puzzava perennemente di macerie e di rifiuti.
Ci volle un’altra guerra, basata sulle bugie delle armi di distruzione di massa, quella in Iraq, per dare l’occasione ai capi talebani rifugiatisi in Pakistan di riorganizzarsi.

Del resto a quel punto c’erano meno militari americani in Afghanistan che poliziotti a New York. La spirale della guerra cominciò ad avvitarsi, poche truppe sul terreno, molte bombe dal cielo ovvero vittime civili quindi l’odio della popolazione. Se nel frullatore afghano, metti le mancate promesse della ricostruzione ed un governo corrotto che fa rimpiangere il passato, ecco che ne viene fuori un gran pantano dal quale l’occidente a tutt’oggi non riesci a tirarsi fuori.

L’Afghanistan, lo sperduto Afghanistan, anche in questo nuovo secolo, è tornato ad essere il crovevia del mondo. Lo era stato quando si scontravano l’impero russo e quello britannico, quando si scontravano l’impero americano e quello sovietico o quando un macedone costruiva un nuovo ordine mondiale. Lo è ora che l’America ha perso il nemico di un tempo e si è trovato a combattere alla periferia di un pianeta, riscoperto circolare.

In dieci anni (ma le statistiche delle Nazioni Unite sono disponibili solo dal 2007) sono morti diecimila civili afghani e oltre duemilasettecento militari stranieri (41 erano italiani). Prima dell’aumento delle truppe voluto da Obama, la missione (solo quella americana) è costata 100 milioni di dollari al giorno. Oggi molto di più, contribuendo al tracollo del debito pubblico di Washington.
E Bin Laden? L’uomo per cui era cominciata questa guerra? L’uomo che avrebbero potuto prendere a Tora Bora se solo ci fossero stati più militari americani (70) che giornalisti (100)?
L’hanno ammazzato in Pakistan e per giunta lontano dal confine, a maggio di quest’anno. Ma sembra contare poco, la guerra continua e continuerà. Del resto era chiaro a tutti che Al Qaida c’entrava poco o nulla nella destabilizzazione dell’Afghanistan negli ultimi anni.

Ormai qualsiasi cosa faccia l’occidente è chiaro che nel 2014 l’Afghanistan verrà lasciato al suo destino ed è molto poco probabile che non ce la potrò fare viste le forze negative messe in moto in questi anni di guerra, morte, oppio, fiumi di denaro legale ed illegale.

L’Afghanistan deve essere dimenticato come le speranze sollevate in quel Paese dopo il 2001, dove sui tappeti si intessevano immagini di bombardieri americani che  spazzavano via gli aguzzini del mullah Omar. Dimenticare, sembra essere questa l’unica via di uscita per l’occidente da una guerra che potrebbe durare altri dieci anni o forse più. Dimenticare, sembra questo l’ordine di scuderia del potere politico in occidente.
Dimenticare; anche per questo nel decimo anniversario dell’11 settembre penserete solo alle tremila povere vittime degli attacchi barbari al Pentagono, al volo United 93 e alle torri gemelle.
Dieci anni dopo, la guerra continua come il conto dei morti ammazzati in Afghanistan.

Geronimo goes to Hollywood

Finì ad esibirsi alle fiere di paese Geronimo, il capo indiano, il cui nome è stato utilizzato per definire il bersaglio Bin Laden durante l’operazione in cui è stato ucciso meno di tre mesi fa. Bin Laden (da morto) finirà ad Hollywood e questo era già chiaro a tutti, ma la trasposizione cinematografica del raid più famoso della storia delle forze speciali sta già causando un gran dibattito nell’America travolta dalla recessione dove questo successo di Obama sembra già dimenticato di fronte agli indici di borsa in picchiata.
Pochi giorni fa Maureen Dowd, opinionista del Ny Times, ha svelato che la Casa Bianca (che ha poi smentito) sta passando informazioni riservate ad un produzione della Sony sull’uccisione di Bin Laden, un’iniziativa che non ha fatto piacere ai Repubblicani i quali hanno già chiesto un indagine al riguardo (ricordiamo che sulla diffusione anche di un dettaglio cruciale per convinvere gli scettici, ovvero le foto del corpo di Bin Laden, si sollevo’ un dibattito di alto livello negli Stati Uniti).
Intorno alla storia del capo di Al Qaeda sono giorni caldi, il New Yorker nel numero dell’8 agosto ha pubblicato uno straordinario racconto “play-by-play” come si dice nel football americano, diciamo passo dopo passo, di quanto accaduto la notte di Abbottabad. E’ il primo resoconto del genere mai pubblicato e merita di essere letto, qualcuno pero’ nella stampa americana se l’è presa sottolineando come l’autore in realtà non ha precisato di aver mai parlato con i Seal protagonisti dell’operazione.
I nemici, a volte, sanno essere un problema anche da morti.

Al Qaeda, dopo Bin Laden

Chi guiderà Al Qaeda? Cosa succederà all’organizzazione fondata da Bin Laden? Braccato, isolato, lo sceicco era ormai diventato un simbolo più che un capo operativo. Al suo posto arriverà il medico egiziano Al Zawahiri, se l’organizzazione vorrà un’altra icona, un altro veterano del terrore. Se invece si opterà per una figura con più fascino militare, potrebbe essere l’ora del libico Abu Yahya al-Libi, riuscito a fuggire dal carcere di Bagram e sopravvissuto ai bombardamenti in Pakistan. Dalla doppia cittadinanza yemenita ed americana, Anwar al-Awlaki è invece un predicatore capace di farsi ascoltare da vaste platee attraverso la Rete.

Ma Bin Laden sembra aver risolto a priori il problema del suo successore. Ha profondamente cambiato Al Qaeda in questo decennio. Non più l’organizzione monolitica strettamente dipendente dal suo capo com’è stato sino all’11 settembre. L’ha trasformata in un’organizzazione decentrata, un franchising del terrore – come la definiscono alcuni –  che unisce piccole cellule in sonno (come quelle che sarebbero in Europa), ma anche organizzazioni bene articolate.  Al Shabab, che controlla e amministra una vasta parte della Somalia oppure Al Qaeda nella Penisola Arabica. Dai suoi campi nel deserto dello Yemen, è partito l’attentatore più pericoloso degli ultimi anni, Abdullah Mutallah, che stava facendo esplodere un volo per Detroit. Insomma, ucciso Bin Laden è caduto un simbolo ma la sua organizzazione potrebbe non esser stata decapitata.

Kill Bin

Un po’ di cose, vere, presunte o probabili, che mi vengono in mente pensando all’omicidio del secolo

Afghanistan
La guerra è un vaso di pandora, lo scoperchi e non ne sei più padrone. Quella cominciata nel 2001 (anche) per catturare Osama e smantellare il governo dei complici talebani, è ormai una guerra che ha tutta un’altra natura e si combatte contro una guerriglia diffusa e dalle molte teste.
Lo sanno e lo dicono tutti da anni, ma da quando è stato ucciso Bin Laden l’hanno dimenticato in tantissimi, quelli che vogliono usare la testa di Osama come trofeo della vittoria e riportare a casa le truppe.
Archiviate la democrazia, la tutela delle donne, lo sviluppo economico, i campi d’addestramento terroristi. Si erano sbagliati, era tutta una copertura per distrarre Bin Laden mentre lo cercavano. 

Computer
Non riesco a non immaginare le stanze del pentagono dove centinaia di analisti e traduttori, senza sosta, stanno setacciano i documenti e i dati sui computer di Bin Laden. E’ una corsa contro il tempo che chiarirà vecchi misteri, smaschererà cellule in sonno e forse salverà tante vite. A meno che anche lì dentro ci fosse il virus “bin laden video” che, in queste ore, sta sventrando Facebook.

Elicotteri
Le forze speciali americane devono cambiare santone, ogni volta che c’è un’operazione ad alto rischio con un top target in territorio nemico, va qualcosa storto agli elicotteri. Ricordate i due che si scontrarono nel deserto, annullando il tentativo di salvare gli ostaggi americani a Teheran?

Esecuzione
La scena di Bin Laden che si fa scudo di una donna e viene ammazzato da un commando americano era perfetta come in un film, la Casa Bianca non è riuscita a trattenersi nel raccontarla. Il giorno dopo si è dovuta smentire, Bin Laden era disarmato ma ha opposto resistenza ed è stato ucciso.
Vi immaginate il 54enne Osama che minaccia un commando di Navy Seals, armati fino ai denti? Avrà alzato il bastone con il quale camminava sulle montagne afghane? E’ stata una “kill mission” aveva detto lunedì la Casa Bianca. A me, da quel poco che se ne sa sin’ora, è sembrata proprio un’esecuzione. A meno che, non ci fosse il concreto pericolo che stesse o volesse innescare una bomba.

Dialisi
Ce l’hanno fatto immaginare in fuga, tra le montagne, con la sacca dell’urina attaccata all’Ak-47. Della macchina per la dialisi non se n’è trovata traccia nel covo. Un altro mito sullo sceicco del terrore. Sarei curioso di conoscerne la fonte.

Fantasma
Bin Laden fa più paura da morto, di quanto ne facesse (almeno negli ultimi 6/7 anni) da vivo. Lo dimostra la scelta di non pubblicare le fotografie del suo cadavere mentre di Saddam, per esempio, abbiamo visto anche l’umiliante visita dal medico militare, con tanto di torcia puntata in bocca.

Lussuosa

Capisco che è costata un milione di dollari (con quelle mura!), capisco che fa rabbia a qualcuno saperlo al coperto e non in una grotta…ma continuare a definire lussuosa la villa di Bin Laden è un’esagerazione. Quelle dei signori della guerra a Kabul, gli assomigliano ma sono molto più “decorate”

Momento
Bin Laden è morto nel momento peggiore per la sua causa, i movimenti religiosi estremisti in questa nuova primavera araba vengono agitati (quasi auspicati) solo da tiranni come Mubarak e Bashar. I giovani arabi in piazza portano bandiere di Che Guevara, telefonini connessi a FaceBook e chiamano martire un manager della multinazionale Google in Medio Oriente.

Nemico
Non possono fare a meno di sintetizzare un problema in un volto, gli americani hanno la cultura e il culto del nemico. L’evangelico Bush l’ha esasperata facendogli credere che “dead or alive” il problema del terrorismo si sarebbe risolto uccidendo lo sceicco cattivo. Anche per questo gli americani hanno (non usualmente) fatto festa in strada domenica notte.
In questi anni, purtroppo, è basta un gruppo di amici anglopakistani per fare macelleria sui mezzi pubblici londinesi e un acquirente di auto usate, poco pratico di nitrato d’ammonio, per provare a far saltare Time Square. Problemi che la morte del nemico non risolve.

Nomi
Per fortuna Osama può essere chiamato anche Bin Laden. E’ l’unica via di fuga che hanno i conduttori tv per evitare di scivolare su Obama che diventa Osama e viceversa.

Pizzini
Anche Bin Laden, come Provenzano, si è fatto fregare da un “postino”, l’uomo che lo teneva in contatto con il mondo esterno.

Roulette Russa
Obama ha puntato tutto su un numero e ha vinto ma aveva solo il 50% di possibilità: do or die!
Scontro a fuoco con forze pakistane che si trovano in casa quattro elicotteri non identificati; massacro di una famiglia innocente (nessuno aveva la certezza che lì ci fosse Bin Laden); vittime civili tra gli abitanti della zona; soldati americani catturati…Pensare a tutto quello che poteva andare storto quella notte è uno sport per coronarie forti.

Scienziato
Thomas Gillespie dell’UCLA nel 2009, con il suo algoritmo geografico, aveva individuato la località e descritto il tipo di casa in cui poteva vivere Bin Laden. Nessuno l’ha preso sul serio, oggi sappiamo che aveva ragione.

Sospetti
Bin Laden è morto, anzi no festeggia con Elvis e Jim Morrison. Il comportamento della Casa Bianca (in puro stile-slow Obama) tra smentite, annunci e ripensamenti sta alimentando i fuochi dei complottisti che avrebbero dubitato lo stesso, ma francamente gli stanno rendendo la vita fin troppo facile!


Smentite
Lo sport ufficiale del Pakistan negli ultimi tre giorni non è più il cricket ma la smentita di aver partecipato all’operazione, il capo della Cia è arrivato alla mortificazione massima dell’alleato pakistano: non li abbiamo avvertiti perchè l’operazione sarebbe saltata. Una fonte dell’Isi dice alla BBC: eravamo stati in quella casa quand’era in costruzione (ispettorato del lavoro o servizi segreti?). C’è un tale accanimento su questo tema che sembra quasi voler nascondere la collaborazione di Islamabad. Del resto se i pakistani lo avessero fatto, avrebbero solo mollato un’ospite ingombrante e ormai utile a molto poco…altro che il Mullah Omar!

Successore
Tutti si chiedono chi sia il successore di Bin Laden,  si favoleggia anche di una shura in corso tra i vertici di Al Qaeda per eleggerlo. E’ un falso problema, l’organizzazione ormai è decentrata – l’ultimo successo di Osama – non ha bisogno di un capo per andare avanti (ne ha tanti, ognuno al posto giusto) ha bisogno solo di un altro uomo simbolo, lavoro che Al Zawahiri fa bene e da tempo (lui si mostrava in video quando Osama non poteva farlo più).

Testamento
Possibile che Osama non abbia lasciato un video-testamento in caso di morte? Un caso tutto sommato probabile? Che fine ha fatto il video che l’AP lunedì sera dava di imminente diffusione?

Vivo
Sarebbe stato un gran problema. Un Bin Laden trascinato via in catene, processato, condannato e poi portato al patibolo. Tra polemiche nel mondo, offese all’orgoglio arabo, alleati europei scettici, dubbi giuridici, allarme attentati per tribunali superprotetti e magari il riutilizzo della Guantanamo che Obama vorrebbe chiudere, da morto lo sceicco del terrore previene molti problemi. Difficile che alla Casa Bianca in questi dieci anni non ci abbiamo pensato, tra power point, analisi e teoria dei giochi…Era una “kill mission”…

Uccidete Geronimo

situation room
situation room

E’ stato come vedere un film, solo che i minuti sembravano ore – racconta chi c’era. Nella situation room della Casa Bianca, Obama, la Clinton e tutti i vertici della sicurezza americana si sono riuniti domenica per guardare su uno schermo quello che stava succedendo in Pakistan. Come quando si va al cinema o si vede una partita importante qualcuno era andato da Costco (il supermercato delle grandi quantità e dei grandi sconti) per comprare panini e bibite. Il racconto di questo e di altri aspetti del blitz contro Bin Laden è contenuto in questo articolo del Ny Times.

Il Pentagono non ha ancora mostrato immagini nè del blitz nè del corpo (sarebbe ora…) e dopo l’uscita, da fonte pakistana, della falsa foto diffusa ieri, le teorie della cospirazione stanno alimentando dubbi e scetticismi che, del resto, non potevano non mancare quando si tratta dell’uccisione dell’uomo la cui stessa esistenza in vita ha giustificato guerre e morti. Ci vorranno forse mesi, sicuramente anni per capire cosa è successo davvero ad Abbottabad e a Washington.

Ora sappiamo un po’ di cose in più rispetto ad ieri. “Geronimo”, nome in codice per Bin Laden, era stato individuato da mesi grazie al suo corriere, rintracciato sul campo ma individuato grazie alle confessioni estorte a Guantanamo.
L’ultimo uscita di WikiLeaks stava mettendo tutto a rischio, in qualche modo, perchè un documento tra i più recenti diffusi parlavo proprio di questo “corriere”, il postino del grande capo. Sappiamo anche che i pakistani erano all’oscuro di tutto, militarmente è stato un capolavoro, entrare in un territorio di un altro Paese ed entrarci tanto in profondità e in una zona tanto popolata (50 km dalla capitale) è un rischio enorme e richiede piloti (di ben quattro elicotteri) con un’abilità assoluta, quella di volare praticamente “pancia a terra” per sfuggire ai radar (se fossero stati abbattuti, intercettati sarebbe finita come “black hawk down”).
Sappiamo che Bin Laden è stato riconosciuto prima con il sistema biometrico e poi con un campione di dna. Sappiamo anche un suo video (fonte Ap) potrebbe essere diffuso nelle prossime ore, potrebbe essere il testamento del leader di Al Qaeda preparato da tempo e consegnato a qualcuno fidato proprio per l’evenienza di una sua morte.

Al di là di che faccia avesse Bin Laden oggi, nel senso di come fosse cambiato visto che non lo si vedeva da anni, quello che non sappiamo è cosa succederà adesso. Al Qaeda è profondamente indebolita e comunque non è più l’organizzazione monolitica degli anni ’90, nella quale se uccidevi il capo avevi ucciso l’organizzazione. Ieri è stato ucciso solo un simbolo. Al Qaeda ormai è un “franchising” del terrore, vedi il suo braccio somalo, quello magrebino, quello yemenita; una galassia che si ispira a Bin Laden ma dove “ogni punto vendita” è autonomo, come si direbbe nel commercio (passatemi il sarcasmo). Il fatto che sia indebolita non però significa (gli attentati di Londra insegnano) che non possa avviare una rappresaglia, colpire da qualche parte.
L’altra cosa che sappiamo è che non ci sono più scuse per gli Stati Uniti sul versante Pakistan. La comoda vita del fuggitivo Bin Laden, non in una caverna ma in una villa, confermano la verità di cui tutti parlano e scrivono da anni, il Pakistan attraverso l’Isi protegge, direttamente o indirettamente, gli uomini di Al Qaeda e quelli che fanno la guerra in Afghanistan. Sulle prime ieri, mi sembrava impossibile che gli americani avessero osato un blitz del genere senza avvertire i pakistani, troppi rischi. Ho immaginato che ci fosse stato qualche sorta di scambio tra americani, l’Isi e il governo di Islamabad dopo queste settimane di tensione sul contractor della Cia arrestato per omicidio e i bombardamenti dei droni. Se sono stati presi quei rischi, vuol dire che affidarsi ai pakistani avrebbe significato far saltare l’operazione, di cui persino i Navy Seals hanno saputo solo alla fine.

I simboli hanno un loro valore, sia per vincere le campagne elettorali che per far sentire alla generazione di ground zero che una pagina si è chiusa, ma se si vuole per davvero rendere il mondo più sicuro o quantomeno sbrogliare il groviglio della guerra afghana bisogna agire proprio in Pakistan, tagliando quelle complicità che consentivano a Bin Laden di vivere di fronte ad un’accademia militare ed al mullah Omar chissà dove. Ma questa è una strada lunga (diplomatica, politica, di intelligence) e che nessun blitz armato risolvere in quaranta minuti…

La Caccia

Gli americani lo cercavano dagli anni ’90, quando lo mancarono almeno in tre occasioni; un ipoteca che ancora grava sulla presidenza Clinton. All’epoca Bin Laden guidava la sua milizia privata in Afghanstan, viveva in una cittadella fortificata alle porte di Kandahar e viaggiava sulle strade al confine col Pakistan che aveva fatto costruire durante la guerra anti-sovietica con i mezzi dell’azienda edile di famiglia. Ma il grande fallimento americano risale alla fine del 2001, ad Afghanistan ormai invaso, le radiotrasmittenti gracchiavano gli ultimi ordini dello sceicco del terrore ai suoi uomini, rintanato nelle grotte di Tora Bora.

L’assedio venne condotto da soli 70 militari americani. A seguire l’operazione c’erano 100 giornalisti. Ormai spacciato Bin Laden fuggi’ comprandosi i mercenari afghani che aiutavano gli americani. Da allora si è favoleggiato sul suo nascondiglio, ma era ormai chiaro che non fosse in uno dei remoti scenari montani dove amava farsi riprendere.

E così l’hanno preso dove la resistenza afghana anti-sovietica ha fatto base per anni, tra Peshawar e Islamabad in Pakistan, a cento metri da una base militare pakistana. La vera novità che racconta la morte di Bin Laden è proprio l’atteggiamento dei servizi pakistani. L’Isi che negli anni hanno organizzato i mujaheddin, poi creato i talebani e che ora sostengono la guerriglia anti-occidentale in Afghanistan.

Sin’ora avevano bloccato ogni operazione americana sul loro territorio, tra sabotaggi e soffiate, come quando avevano arrestato a Karachi il capo militare dei talebani afghani per far fallire le trattative di pace sul governo Karzai. Se davvero l’Isi ha cambiato rotta, le prossime fermate per le forze speciali americane potrebbero essere il rifugio di Al Zawahiri, braccio destro di Bin Laden, e quello del Mullah Omar, leader indisscusso dei talebani. Entrambi rifuggiati in Pakistan, secondo più fonti.

A proposito di fonti, a chi sarà andata la taglia di 25 milioni di dollari che pesava sulla testa di Osama?

Morto Bin Laden, la guerra continua

Ormai avevano smesso di cercarlo sulle montagne al confine con il Pakistan, ormai da almeno tre anni la missione delle migliaia di soldati americani in Afghanistan era diventata fermare i ribelli anti-governativi, identificati dai media come talebani solo per comodità verbale ma in realtà un misto di bande locali, truppe di signori della guerra e appunto uomini degli studenti coranici. L’attenzione dell’intelligence era rivolta ormai oltre confine in Pakistan appunto dove gli aerei senza pilota hanno bombardato mai come nel 2010 e nel 2011.

Eppure la notizia dell’uccisione di Bin Laden è un gran sollievo per l’Afghanistan. “Abbiamo sempre detto per anni e ogni giorno che la guerra al terrorismo non va condotta nei villaggi afghani, non nelle case degli afghani poveri e oppressi”, ha dichiarato stamane il presidente Karzai che da anni, come tutti gli afghani, punta il dito contro il Pakistan, dove non solo Bin Laden aveva la sua base, ma dove la guerriglia afghana prepara e rifornisce il suo conflitto contando sulla compiacenza del governo di Islamabad.

Nonostante Karzai abbia detto ai talebani di considerare questa morte come un monito, l’uccisione di Bin Laden non apre spiragli di pace, la presenza di Al Qaeda nel Paese era ormai ridotta ai minimi termini: un centinaio di uomini aveva spiegato il capo della Cia qualche tempo fa. Addirittura l’uccisione, pochi giorni fa, del leader della filiale afghana di Al Qaeda era passata sotto silenzio, una notizia minore per il suo impatto sulla guerra.
Guerra che inevitabilmente continua.

La lezione di Tora Bora – “Rewind”

All’epoca – erano l’autunno del 2001 – i bombardieri americani falciavano i talebani a centinaia e di lì a poco sarebbero finiti (ricamati con la loro scia di bombe) sui tappeti made-in-china venduti in molti negozi afghani: icona di un trionfo.
Con un pugno di uomini delle forze speciali sul terreno per fare “laser painting” degli obiettivi e tanta forza aerea a bombardare seguendo quelle tracce laser, la dottrina Rumsfeld di “economy of force” si stava dimostrando un successo totale – uno “stato canaglia” (anche se forse all’epoca questa definizione non era stata ancora coniata) veniva sconfitto a costi ridotti e in meno di un mese. Insomma guerra da discount, con la qualità di un negozio di grandi marche…

In questo quadro da riscossa post-11 settembre (o almeno così era stata venduta al mondo, oscurando i dubbi di molti sui pericoli di ogni campagna afghana) era sembrata poca roba il fallimento di Tora Bora. Un nome che molti ricordano per la sua musicalità (sembrava quasi scelto apposta dagli uomini del marketing della Casa Bianca per fare da palcoscenico al trionfo finale) e per l’assedio all’estremo rifugio di Bin Laden, conclusosi con (quasi sicuramente) la fuga di Bin Laden al termine di un assedio con più giornalisti sul campo (un centinaio) che militari americani (una settantina).
Di Tora Bora di recente si è tornare a parlare perchè quella sconfitta, all’epoca liquidata come un dettaglio (“…e poi mica era certo che lì ci fosse Bin Laden” – la scrollatina di spalle di fonti dell’amministrazione Usa) è diventata un modello da analizzare per capire il fallimento militare statunitense nel paese. Il senatore (democratico ex-candidato anti-Bush) John Kerry di recente ha denunciato la “sconfitta” di Tora Bora, attraverso il rapporto della commissione parlamentare affari esteri; definita come un fallimento della strategia di “economy of force”. Un assist al presidente Obama che di lì a pochi giorni avrebbe presentato la sua escalation militare e l’aumento di truppe nel paese (qui, l’intervento di Kerry sull’LA Times). In realtà si è parlato molto di questo rapporto perchè per la prima volta c’è un’ammissione ufficiale del fatto che Bin Laden sia scappato all’epoca e non morto in qualche oscuro recesso della montagna. A me, però, la storia sembra interessante per motivi più vasti.

Ma al di là della politica
, per rileggere Tora Bora oggi c’è una grande occasione, il saggio scritto da Peter Berger per The New Repubblic, Bergen è l’analista sul terrorismo della Cnn, autore anche di alcuni libri (uno di questi disponibile anche in italiano).  Chi non conosce le difficoltà del terreno dell’Afghanistan orientale (il complesso di grotte si trova nella provincia di Nangharar) e a maggior ragione chi lo conosce dovrebbe leggere questo saggio. Quella di Tora Bora è una storia esemplare delle difficoltà afghane (in generale, compresa la corruttibilità delle truppe locali e l’odio inter-etnico e tra fazioni) e di come l’atteggiamento americano (mi riferisco alle scelte strategiche della Casa Bianca) abbiano trasformato una guerra vinta facilmente nell’incubo di oggi.
E per chi volesse saperne di più, c’è “Kill Bill Laden” scritto da Dalton Fury, pseudonimo di un commando della delta force che a Tora Bora ha combattuto. Il libro è uscito alla fine del 2008 ben prima di Bergen e Kerry, ma forse all’epoca l’Afghanistan interessava ancora a pochi. Purtroppo…