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Che succede in Afghanistan?

Che succede in Afghanistan? Scusate la domanda banale ma è così banale che se la dovrebbero porre tutti (dico proprio tutti, a cominciare dai contribuenti di mezzo occidente che pagano una costosissima missione militare e altrettanto costosi aiuti allo sviluppo). Eppure mi sembra non se la ponga nessuno, tra nuovi conflitti e la vecchia (in fatto di Afghanistan) abitudine a girarsi dall’altra parte perchè tanto – nonostante le dichiarazioni di circostanza – domina la convinzione che raddrizzare quel Paese sia impossibile.

Con questa domanda torno a scrivere di quel Paese lontano chiamato Afghanistan dove muoiono civili afghani e ragazzi/e occidentali; torno a scrivere dopo una lunga pausa nella quale ho pubblicato molto su facebook ma non sono riuscito a lavorare sul blog per mille motivi. Forse ho somatizzato il silenzio che ormai avvolge quel Paese…Ma veniamo a qualche possibile risposta alla domanda.

Partiamo dalla notizia della serata. Dopo l’hotel Serena nel 2008, stasera è toccato all’hotel Intercontinental, l’albergo dove negli anni d’oro si andava in vacanza a Kabul, è stato attaccato da un commando di attentatori suicidi, la battaglia infuria in un complesso che è molto grande, posto su una collina e accessibile da più lati anche se la strada carrabile è unica. Nel 2001 era stato quasi centrato da un razzo ma da allora l’Intercontinental era sembrato come coperto da uno scudo magico (o da un patto di quelli che ti sfuggono in Afghanistan, ma di cui vedi gli effetti). Mai attaccato nonostante sia l’albergo dove – per mille motivi – si riuniscono spesso i governatori di province e i capi distretto o comunque parte della dirigenza governativa e si tengono frequenti conferenze stampa. L’Intercontinental (l’affiliazione alla omonima catena è finita nel ’79) è soprattutto questo oltre che un hotel frequentato anche dagli occidentali, come ormai lo stanno descrivendo quasi tutte le testate.
A Kabul è ormai notte fonda, la battaglia intorno al complesso infuria, si parla di una decina di vittime e almeno sei kamikaze, domani ne sapremo qualcosa in più, sperando in un bilancio meno drammatico di quello che potrebbe essere.

Il governatore della Banca centrale afghana si è dato alla fuga ma non è scappato con la cassa. Ha messo le mani nel pasticcio della Kabul Bank che equivale ad averle messe nella presa della corrente e ora ha paura per la sua vita. E’ all’estero.
La Kabul Bank (ne ho scritto tante volte) è la più importante banca privata del Paese, simbolo del neocapitalismo afghano, ridotta a bancomat dei soliti noti, amici (e parenti) del potere, per spericolate operazioni immobiliari a Dubai. Da quando la banca centrale è intervenuto per salvare l’istituto di credito, ha denunciato il coinvolgimento dei vertici del governo ed ora Abdul Qadeer Fitrat ha paura per la sua vita. Il governo ha risposto emettendo un mandato di cattura e accusandolo di ladrocinii vari.

A pochi mesi dal suo faticoso insediamento (a settembre le elezioni e poi un lungo conteggio dei risultati), 62 neo-eletti in Parlamento su 269, pochi giorni fa, sono stati mandati a casa dalla corte speciale allestita da Karzai per combattere i brogli. Peccato che per questo ci sia la commissione elettorale indipendente e quella anti-frodi anch’essa indipendente e la mossa del presidente è stata quindi anticostituzionale. Del resto ci aveva provato quattro mesi fa a fermare l’insediamento della camera bassa (quella elettiva) di fronte alla sconfitta dei suoi candidati, ora l’esplosione a scoppio ritardato. La commissione elettorale ha rigettato la scelta di Karzai, ribadendo che gli unici risultati validi sono i suoi. Il Parlamento ho sfiduciato Karzai e il procuratore capo della magistratura afghana. Lo scontro istituzionale è totale, va in frantumi l’ultimo simulacro di democrazia a cui poteva aggrapparsi l’occidente.

Sul fronte strettamente bellico…beh le notizie continuano (purtroppo) ad abbondare…la Cnn è tornata nella valle del fiume Kunar  per constatare (la sintesi la faccio io) che nulla è cambiato in questi anni, colpi di mortaio arrivano e colpi di mortaio vanno…all day long!
Questo passaggio mi hanno colpito, è esattamente quello che ho visto io di persona: “A few days after the losses here, the unit dropped $3 million in bombs in just 24 hours. That stopped the attacks — for five days”.
Intanto mentre qualche on line italiano dimenticava di aggiornare il bilancio delle vittime ridimensionato rispetto alle prime notizie ben più drammatiche (se i drammi si misurano dal numero dei morti…), nella provincia di Logar morivano circa quaranta persone in un attacco suicida contro un ospedale. La massima attenzione mediatica l’ha avuta, in questi giorni, però la drammatica storia della bambina di otto anni a cui i talebani hanno messo in mano un bomba, fatta esplodere a distanza per colpire un gruppo di poliziotti. Nelle stesse ore (se la memoria non mi inganna), un kamikaze in sedia a rotella si è fatto esplodere in Iraq. Più che per le migliorate capacità delle forze di sicurezza ho come l’impressione che le forze anti-governative cerchino, nella loro macabra follia, espedienti del genere per riconquistare l’attenzione dei media…Un po’ come quel generale americano che ha calcolato i costi dell’aria condizionata per le truppe americane in Iraq e Afghanistan. Roba da mandarlo ad “arrostire” nell’aria a 50 gradi dell’estate nell’Helmand.

A  proposito in Afghanistan che succede? Mah, penso niente…niente di importante…

Assalto alla Banca – 1

Ieri un commando di talebani ha dato l’assalto ad un filiale della Kabul Bank a Jalalabad, città chiave nell’est del Paese, lungo la rotta tra la capitale ed il Pakistan. Il commando di kamikaze ha fatto diciotto vittime e una settantina di feriti. La banca è la tesoreria delle forze di sicurezza ed ieri era giorno di paga per poliziotti e soldati. Ma l’attacco di Jalalabad fa il paio con gli ultimi due avvenuti a Kabul e mette in evidenza come i talebani e le forze anti-governative in genere stiano ormai cambiando tattica nel colpire i centri urbani.

A Kabul pochi giorni fa, un attentatore suicida ha provato a colpire il Kabul City Center, un centro commerciale nel quartiere di Shar-e-Now. Un segno della rinascita della capitale quando aprì alla fine del 2006, con la prima scala mobile e il primo bancomat del Paese. Un posto che conoscono tutti a Kabul, in particolare gli occidentali. L’attentatore suicida è stato fermato dalla guardie del centro, quelle che ogni volta che entravi ti perquisivano e ti facevano lasciare telefonini e chincaglieria varia nella vaschetta prima di passare nel metal detector. Un controllo sommario, che negli aeroporti americani definirebbero “profiling” ovvero guardare in faccia chi entra piuttosto che guardare solo allo scanner. Forse per questo sono riusciti subito a fermare il kamikaze, evitando una strage. Sono morte entrambe le guardie, fa sempre impressione quando muore qualcuno, di più quando muore qualcuno che – anche se non personalmente – hai conosciuto, che ti ha sorriso perchè nelle tasche avevi un chilo di metallo vario. Forse è una consolazione (leggi qui) sapere che sono morti da eroi, hanno salvato vite mentre i poliziotti dell’Anp facevano l’ennesima approssimativa figura.

L’altro attacco recente che a Kabul ha praticamente rotto una tregua che durava da sei mesi e che nemmeno le elezioni parlamentari erano riuscite a scalfire, ha toccato un altro luogo popolare tra gli stanieri e gli afghani più ricchi. Un luogo al quale sono legato perchè la prima volta che sono arrivato in quella palazzina nella piazza di Wazir Akbar Khan, era un mezzo rudere che all’ultimo piano ospitava il satellite di un service turco, dove spesso giornalisti italiani hanno bivaccato per giorni.
Un amico che lavorava in quell’approssimativa struttura, tra generatori che saltavano, freddo e macchine divorate dalla polvere, mi parlava sempre della gente che abitava nel palazzo, per lui ricchi commercianti (vendevano tappeti) e dei bambini che giocavano nel cortile. Quella famiglia era riuscita nell’ultimo anno e mezzo ad aprire un supermercato, con le gigantografie a ricoprire la palazzina in stile “Dubai”, modello estetico di riferimento se a Kabul vuoi costruire qualcosa di “moderno” (proprio come al Kabul City Center e la sua facciata ricoperta di vetri a simulare un grattacielo – vetri sostituiti da lastre di plastica dopo un attacco kamikaze di anno fa, che hanno meglio resistito all’attacco di cui scrivevo sopra).
A fine gennaio, l’attentatore suicida è entrato nel supermarket Finest ed ha fatto otto vittime, sterminando anche la famiglia di un professore dell’università di Kabul che era lì per fare spese.

Questi episodi sono ormai troppo simili per dirci che si tratta solo di episodi, anche se l’attacco contro una banca non è una novità, lo è questo determinazione a colpire “soft target”, luoghi in cui si può esercitare del terrorismo puro, obiettivi che non sono nè militari nè politici, obiettivi dove è più facile arrivare e dove si colpisce gente inerme, spingendo ancora di più tante persone a rintanarsi in case protette da filo spinato e guardie armate, diffondendo la paura con l’impressione che si può essere colpiti in ogni luogo e momento.
Mi chiedo se si tratti solo di un cambio di strategia “pensato” oppure di una necessità perchè gli obiettivi “classici” di attacchi del genere sono sempre più protetti (vedi convogli militari e basi varie).
Questa seconda interpretazione sarebbe però smentita da episodi di questa ondata recente di attacchi a Kabul, come quello contro un pulmino di dipendenti dell’NDS, i servizi segreti afghani, il 12 gennaio scorso, e contro un bus di militari dell’Ana a dicembre. Più probabilmente, se nell’ultimo anno e mezzo le truppe occidentali hanno provato a lavorare “sulla popolazione”, ovvero sulle aree più popolate per garantirne la sicurezza, questa potrebbe essere la chiara risposta dei ribelli proprio per sgretolare ogni sensazione che esistono in Afghanistan luoghi sicuri.

Kabul, Irlanda

C’è un bizzarro ombrellone di ferro, colorato di blù, ad ogni incrocio di Kabul. Lo chiamano “Ring of Steele” come c’è scritto anche sui tabelloni che accompagnano ognuno di questi posti di blocco, individuato da un numero. E’ un sistema di sicurezza, gestito dalla polizia afghana, che crea una sorta di rete…se un sospetto passa al check point 20 e non viene fermato, via radio, la segnalazione arriva al 21, al 22 e così via. L’idea – mi spiegava il capo di una squadra di guardie private, qualche giorno fa – è stata importata dai britannici che l’hanno utilizzata negli anni più buii del conflitto in ‘Irlanda del Nord. Non so quanto dipenda da questo nuovo sistema (il dubbio mi viene perchè in molti posti di blocco continuo a vedere il classico bivacco sonnacchio dell’ANP, la polizia locale) e quanto dagli effetti dello schieramento di truppe occidentali intorno alla città, cominciato con la surge di Bush quasi due anni fa. Eppure l’unica buona notizia della giornata del voto è che a Kabul non è successo nulla, tranne che per i razzi lanciati la notte precedente che sono però un tipo di attacco difficilmente fermabile come tutto quello che cade dal cielo.

In un momento in cui scoppiavano incidenti in praticamente tutto il Paese, un record senza precedenti, la capitale è rimasta tranquilla tanto da offrire scene impensabili di donne che si accalcavano con allegria sei seggi e pulmini di candidati che portavano tranquillamente gli elettori ai seggi. Non poco se si considera che fino a qualche mese fa (vedi la peace jiirga di fine primavera) Kabul è stata bersaglio di attacchi clamorosi e spavaldi della guerriglia quanto devastanti, pensiamo per esempio all’attacco al quartier generale della Nato pochi giorni prima delle presidenziali di un anno fa.

C’è da esserne felici
ma l’immagine che continua a tornarmi in mente è quella della Kabul di Najibullah e dei sovietici in genere, una città dove la modernità avanzava (come avanza oggi, con tutte le contraddizioni del caso ora come allora) dove si viveva una vita da capitale se consideriamo il paragone con il medioevo rurale che inizia già a pochi chilometri dalla sua periferia, eppure quella era una città sotto assedio. Un assedio certo virtuale perchè il nemico non era alle porte e non ci sarebbe riuscito ad arrivare che in anni, ma il grosso del Paese era fuori controllo.  Non siamo ancora a quel livello, ma guardando la mappa degli incidenti della giornata del voto, per la prima volta forse, quasi uniformemente diffusi in tutto il territorio, beh il ring of steele mi consola molto poco.