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Restate a casa ma restate sintonizzati

L’appello è #restiamoacasa Facciamolo!
Da giornalista e narratore mi chiedo: come posso aiutare le persone a riempire un tempo che rischia di essere “vuoto”? Come posso aiutare a liberare (anche solo ridurre) da ossessiva ricerca di notizie sul 🦠 ? Come posso contribuire a guardare al mondo e non solo a casa nostra (in questo casa letteralmente, le quattro mura)? A salvare un po’ di spazio per storie e notizie che sono ormai cancellate dallo
spazio mediatico?

A giorni lancio un’ iniziativa in”remoto” con il mio documentario afghanistan.

I prossimi aggiornamenti sui miei social ma il modo migliore per restare in contatto è iscriversi alla mailing list

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La prigione della paura

Ho sempre pensato che la paura fosse uno strumento – nel mio caso – di lavoro. In generale l’ho sempre considerata un mezzo per ponderare meglio le proprie scelte e prendersi quel “minuto” in più di riflessione prima di passare all’azione, al passo irreversibile.
Scrivo quindi dal punto di vista di chi diffida delle persone prive di paura non del minimizzatore di professione o dell’allarmista di mestiere.

Vedo il mio Paese in preda ad una forma degenerata e degenerativa di paura, il panico. Ho trascorso un mese, durante l’epidemia di Ebola, in Sierra Leone guardando in faccia un virus dalla mortalità compresa tra il 60 e il 90%. Ho camminato liberamente nelle strade di Kabul, dove ormai i pochi occidentali rimasti in città vivono barricati in compound super-protetti. Mi sono ritrovato in mezzo a combattimenti con copertura aerea o a sassaiole contrastata dalla polizia anti-sommossa usando gas lacrimogeni e cariche. Alla fine, ogni volta, ho sempre ribadito il patto con me stesso: “Se mai la paura dovesse diventare panico, cambi mestiere”.

Con il panico perdi razionalità e controllo, in pratica è una condizione più pericolosa degli eventi che ti hanno fatto così paura da precipitarci in quello stato. Insomma, il panico non è piacevole (per sé e per chi ci sta intorno) ma soprattutto non è utile. Ricordo un corso di primo soccorso in mare, in cui mi venne raccomandato di tenermi pronto a colpire la persona in annegamento, per evitare che mi trascinasse a fondo. Morire insieme a chi è lì per salvarti: fantastica (purtroppo tragicamente vera) sintesi di cosa possa fare il panico.

L’Italia oggi è nel panico per via dell’epidemia di corona virus. Sarà colpa di come l’informazione ha raccontato questa epidemia, della perenne rissa tv tra esperti che esperti non sono, di virologi incapaci di gestire la popolarità e trasformatisi da figure guida in divisivi bulli mediatici. Sarà ma non escludo che un panico del genere si possa diffondere anche all’estero – una volta che i dati del conteggio aumenteranno – anche in Paesi più abituati di noi alla cultura scientifica. Probabilmente perchè il problema non è (solo) mediatico e culturale ma soprattutto politico e riguarda tutta la società occidentale (e non se consideriamo anche il caso russo) dell’ultimo ventennio.

Dopo l’11 settembre la paura è diventata a pieno titolo una categoria politica; l’abbiamo usata per giustificare guerre che dovevano darci sicurezza e hanno finito solo col generare insicurezza (dall’oppio afghano all’Isis iracheno); l’abbiamo usata per giustificare rinunce alla privacy e legittimare l’invadenza dell’invisibile sorveglianza elettronica di cui ci sfugge persino l’entità; l’abbiamo usata per acconsentire nuove forme di controllo del nostro privato, compresa la presenza di bottigliette d’acqua nelle nostre borse all’ingresso di un aeroporto; l’abbiamo usata per giustificare l’odio verso l’estraneo, lo straniero.
L’elenco potrebbe continuare a lungo, di sicuro l’ultimo capitolo di questo percorso della paura come categoria politica è l’epidemia di corona virus.

Come sempre in un contesto epidemico (per giunta con la figura del portatore sano, quello che può non sapere di esser pericoloso) le precauzioni vanno tutte seguite e scrupolosamente ma non ci si può relegare da soli nella prigione della paura: non uscire (ovviamente non dalle zone rosse o nelle aree a rischio!), non socializzare, non riflettere, assecondare quello che ci viene riferito, quello che abbiamo sentito.

Nel caso specifico a me più vicino, trovo inaccettabile e dannoso che il panico spinga le persone a cercare ossessivamente notizie sul contagio e sul virus ma soprattutto a rinunciare al diritto ad essere informati su tutto, a subire un palinsesto monotematico. Anche perchè, strategicamente, è nei momenti in cui l’opinione pubblica guarda altrove che possono accadere eventi destinati a segnare il nostro presente, a volte per poche settimane a volte per anni.

Il panico genera debolezza anche se l’ “effetto rimbalzo” è quello di un apparente aumento della forza: abbiamo paura e allora giustifichiamo a priori l’autorità (che poi noi italiani, popolo “frammentato”, l’autorità ce la scegliamo spesso su base condominiale più che autorevolezza o legittimazione).
E’ la più grande vittoria del nostro nemico. Oggi è un micro-organismo dalla curiosa forma sferica, domani potrebbe essere un esercito invasore, dopo-domani gli alieni o chissà. In ogni scenario del genere – vero, verosimile o di pura fantasia – a perdere saremmo sempre noi, adoratori del panico e sue vittime sacrificali.

Ps: Non ho ancora raggiunto il numero di post su FaceBook e/o di tweet utili ad ottenere la specializzazione in virologia (all’epoca della tragedia di Genova, mancai anche Scienze delle Costruzioni per pochi like). In genere cerco solo di parlare di cose che conosco e sulle quali ho riflettuto anche attraverso esperienze dirette. Ritenevo che una riflessione come questa potesse essere utile, per tutto il resto affidatevi agli esperti veri!

Europa, Grecia, Lesbos, Turchia: quel “cattivo affare”

A breve si “celebreranno” i quattro anni dell’intesa che per l’Europa non verrà ricordata solo come un tradimento dei propri principi ma anche come un pessimo affare e un “cattivo accordo” (cattivo per noi e per i migranti).
L’accordo tra Bruxelles e Ankara può essere tradotto così: noi vi paghiamo, voi vi tenete i migranti.
Tra le righe: noi vi paghiamo nonostante mettiate in carcere giornalisti, giudici e oppositori di varia natura compresi quelli che accusano il vostro governo di aiutare il nostro nemico, l’ISIS in Siria e in Iraq.

Perchè è stato un pessimo affare per l’Europa? Per una Bruxelles desiderosa solo di archiviare problemi in campagna elettorale per i partiti al potere nei vari Paesi dell’Unione?
Perchè abbiamo consentito ad Erdogan di accumulare nel suo arsenale politico un’enorme “bomba umana” (chiedo scusa per la semplificazione). Quell’ordigno, pieno di disperazione e di dolore, l’aspirante restauratore dell’impero ottomano ha deciso di farlo esplodere in questi giorni. Un’esplosione controllata, un avvertimento all’Europa, un modo per alzare il prezzo.
Cosa accade dall’altro versante: alla frontiera greca, decine di migliaia di profughi premono e vengono respinti con i lacrimogeni, gli sbarchi a Lesbos e nelle isole dell’Egeo nord-orientale continuano e vengono accolti da ronde di picchiatori che colpiscono anche operatori delle ong e giornalisti.

L’aggressione che ho subito a Lesbos ad opera di alcuni residenti mentre cercavo di documentare le cariche della polizia contro i migranti, ha in qualche modo “inaugurato” la stagione delle violenze che oggi sta toccando il culmine (per ora?). Colleghi nell’isola mi riferiscono che è pericoloso persino uscire dagli alberghi, figurarsi provare a riprendere le violenze agli sbarchi o quelle in mare.
Come ho avuto modo di scrivere tornando dall’isola, le ciniche politiche del governo greco (eletto grazie ad un travaso di voti da Alba Dorata, favorito invocando la svolta anti-migranti) hanno scoperchiato il vaso di Pandora del rancore che ora nessuno è in grado di richiudere né sulle isole greche e né al confine.
Su quel rancore soffia Erdogan ma non lo fa usando solo la “bomba umana” puntando a stremare il “nemico” greco (ma poi alleato nella Nato) e ad alzare il prezzo di un nuovo accordo con l’Europa.

Erdogan sta facendo salire la tensione con la Grecia (sollecitandone indirettamente le fasce più nazionaliste) pretendendo che una parte di Mediterraneo (di Egeo) sia esclusiva turca grazie al recente accordo tra Ankara e Tripoli, un accordo che rischia di scatenare con la Grecia e intorno Cipro nuove tensioni ma non quelle legate alle costanti violazioni dello spazio aereo greco ad opera di jet turchi, bensì connesse allo sfruttamento degli idrocarburi e alla complessa partita di pace sull’isola cipriota.

In sintesi, per l’Europa l’accordo con la Turchia è stato, letteralmente, un “cattivo affare”. Meglio sarebbe stata la resa dei conti con quegli stati dell’est che grazie all’Unione hanno ricostruito le loro cadenti infrastrutture post-sovietiche ma che, poi, si sono opposti ad ogni redistribuzione degli arrivi.
Il tema delle migrazioni è una questione enorme, epocale, molto più grande di tutti noi. L’unica certezza è che le soluzioni semplicistiche, felpate quanto urlate, servono magari a vincere le elezioni o a rinviare la resa dei conti ma il problema non lo risolvono, lo aggravano.

Sulle orme di Alessandro Magno. Un Altro Afghanistan a Roma

L’Afghanistan non è solo un Paese di guerre e grandi tragedie. E’ anche un luogo dai paesaggi bellissimi, carico di una storia straordinaria e teatro di avventure straordinarie. Di questo parleremo alle 18 dell’11 marzo a Roma, a Magazzino Scipioni  in via degli Scipioni 30 (metro Ottaviano, linea A). Sarà una presentazione diversa del mio libro “Corrispondenze Afghane”.

Dalle 20 è prevista una cena con i vini e i piatti del Magazzino ma anche con alcuni piatti afghani, fedelmente cucinati dallo chef del locale sulla base di ricette tradizionali. Ecco quelli che potrete scegliere:

Kabuli palaw. Riso con uvetta, carote, mandorle e pistacchi

Kabuli uzbeko. Riso con carne di manzo speziato

Kabuli. Riso con carne di pollo speziato

Bolani Ripieni di patate e verdure, accompagnate da salse speziate

Borani banjan. Melanzane con salsa di yogurt, menta e coriandolo

Firini. Budino di latte con cardamomo, pistacchio e zafferano.

La presentazione è gratuita, la cena a pagamento. Per entrambi gli eventi è necessaria una prenotazione che potete effettuare via mail cliccando qui oppure al telefono, chiamando allo 06/39745233
PER FAVORE PRECISATE SE VI INTERESSA SOLO LA PRESENTAZIONE O ANCHE LA CENA

I partecipanti potranno acquistare tutte le bottiglie da asporto con il 20% di sconto e il libro con 10% (ovviamente so che tra le due opzioni sceglierete le bottiglie!)

Il 6 marzo vi aspetto a Torino

Prima proiezione per “Un Ospedale in Guerra” il mio nuovo documentario che racconta la guerra afghana vista dalle corsie dell’ospedale di Emergency nel cuore di Kabul.
Appuntamento a Torino il 6 marzo 2020 alle ore 21 presso l’Infopoint (Corso Valdocco, 3)
La proiezione è gratuita (fino ad esaurimento posti) ma verrà preceduta – alle ore 19 – da una cena afghana, nell’ambito delle tradizionali “Cento cene per Emergency”, che sarà invece a pagamento e il cui incasso sosterrà le attività della ONG nel mondo.

Parole non pietre

Il mio intervento all’iniziativa di FNSI (Federazione Nazionale della Stampa) e Articolo 21 a Roma, il 29 febbraio 2020. Per ascoltarlo di seguito (tratto dalla diretta FB dell’evento)

Migranti, Isole alla deriva

La puntata di FuoriTg con i miei reportage da Lesbos. Per rivederla clicca qui 

Da alcune settimane le isole greche, nel nord-est dell’Egeo sono in tumulto.
Parliamo di Samos, Chios, Leros, Kos e in particolare Lesbos, quelle più vicine alla costa turca che – per motivi geografici – sono da anni il punto d’accesso all’Europa per i migranti in fuga dalla guerra in Siria e da quella in Afghanistan.

Su queste isole da alcune settimane si registrano tensioni e violenze. Le politiche anti-migranti del governo greco hanno contribuito al sovraffollamento dei campi per migranti, a Lesbos dove la struttura di Moria può ospitare tremila persone ce ne sono in realtà ventimila, in condizioni disumane,

A scontrarsi sono strati prima polizia e migranti, che hanno provato a manifestare chiedendo di proseguire il loro viaggio, si sono poi registrate tensioni con attacchi di locali contro giornalisti e operatori delle ONG. Da martedì invece a scontrarsi sono residenti e polizia anti-sommossa. Gli abitanti delle isole non vogliono la costruzione di centri di detenzione – annunciati dal governo – che finirebbero con aggravare la situazione.

Ne parliamo a FuoriTg, la rubrica quotidiana del Tg3, in onda alle 12.20 di venerdì 28 febbraio.

Conduce Maria Rosaria De Medici. In studio Nico Piro, inviato del Tg3, appena tornata da Lesbos, la più grande di quelle isole, dove la situazione è più grave.

“Dell’isola sono tutti prigionieri – racconta Nico Piro – migranti, residenti, operatori delle ong, poliziotti. Il governo greco ha vinto le elezioni grazie alla promessa di politiche anti-migranti, politiche che ora gli stanno «scoppiando» in mano in un Paese dove sette abitanti su dieci sono in povertà o rischiano di diventare poveri”.