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Debole prova di forza

E’ un intervento autorevole, per la firma che porta, e durissimo per i suoi contenuti di critica alla missione afghana della Folgore quello pubblicato su l’Espresso del 30 luglio. Ecco alcuni passaggi dell’articolo del Tenente Generale Fabio Mini (dalla vasta esperienza internazionale e come analista), intervento che rilancio con un po’ di ritardo vista l’attesa (vana) che venisse messo on-line sul sito de l’Espresso.

“Tra le forze del nostro esercito i paracadutisti sono quelli meglio preparati alle operazioni ma anche i più vulnerabili alla propaganda dell’uso della forza. Sono immersi nella retorica delle maniera spicce, dello show di forza fisica ed armata. I nostri parà hanno perciò ritenuto logico e naturale seguire l’onda sciagurata di quelle parti della nostra politica, della nostra stampa e dei nostri generali che assecondando il rambismo hanno creduto di fare un favore agli americani e agli altri alleati. Hanno creduto a chi facendo leva sul loro spirito di corpo, reclamava il riscatto dell’onore nazionale macchiato dai precedenti contingenti, comandanti e governi ritenuti imbecilli e incapaci solo perchè avevano sparato e si erano fatti sparare meno degli altri.”

In pratica secondo Mini, la Folgore (nell’indifferenza dei nostri politici e vertici militari) ha deciso e attuato un nuovo atteggiamento operativo (l’uscita dalle basi, il presidio del territorio) che ha portato ad una serie di effetti negativi: “Quattro mesi di questo attegiamento hanno contribuito ad alterare equilibri fragilissimi e hanno smontato il lavoro fatto dagli altri contingenti”. Il tutto senza pensare al dopo, ad ottobre quando arriverà come di consueto un altro contingente: “Hanno creduto che la missione internazionale si sarebbe conclusa con la loro operazione: nell’apoteosi”. Ad essere carente, secondo Mini, è il quadro di tutto la missione: “Non si sa quale sia la missione da compiere e così tutti possono reclamare di averla compiuta. E si oscilla tra l’assistenzialismo e le operazioni da seconda guerra mondiale”. In conclusione secondo Mini: “E’ necessario che qualcuno si assuma la responsabilità di stabilire se si possa lasciare alle pulsioni o alle percezioni di ogni contingente l’iniziativa di scegliersi procedure e priorità”.

Nonostante la densità di contenuti (piacciano o meno) l’articolo del generale Fabio Mini è caduto nel vuoto. Unica eccezione, tra le reazioni, la risposta, altrettanto dura, dell’On. Gianfranco Paglia del Pdl (nonchè medaglia d’oro al valor militari, ferito durante la battaglia del check-point Pasta a Mogadiscio) intervistato da “Il Giornale” (secondo Paglia – sintetizzo – le critiche sono legate ad una mancata candidatura al Parlamento dello stesso Mini). La sostanziale assenza di reazioni ad un articolo del genere (che tra l’altro probabilmente esprime anche il disagio di una parte delle stesse forze armate) è il segno di come in Italia il tema (e il dibattito sull’) Afghanistan sia trascurato e carente. Una carenza (bipartisan) che prima o poi arriverà al dunque, con esiti – prevedibilmente – disastrosi.